di Sergio Genovese
Come forse avrebbe detto Nicola (Palladino): “Giove Pluvio questa volta ci ha tradito”. La pioggia ed il maltempo hanno, in Do minore, intonato la colonna sonora della quarantanovesima edizione della “Su e Giù”. Molti non si sono fatti condizionare, una maglia in più ed un cappellino per proteggere il capo e via. Con proposito voglio superare tutta la ragione del valore sportivo che ha rappresentato e rappresenta la corsa all’aria aperta e gli aneliti di liberazione e di libertà che in essa sono contenuti. Per amplificare certi principi ci hanno pensato Nicola Baranello, Francesco e Roberto Palladino e Carmine Dato. La manifestazione nata, quando anche io ero in gialloblu, dopo le prime timidezze, ha assunto una dimensione in cui è stato curato anche l’aspetto commerciale con sponsor che sono diventati sempre più connotativi a dimostrazione che l’evento si è stabilmente radicato nel tessuto connettivo della città. La “Su e Giù” ha regalato e regala gioia ai bambini e ardimento agli adulti che misurano e commisurano il tempo impiegato con gli inevitabili riferimenti ai risultati degli anni precedenti e alle prestazioni del collega d’ufficio. Sin qui l’aspetto popolare, per entrare nella profondità del fenomeno “Su e Giù” bisogna chiedersi come ha fatto a resistere senza farsi assalire da propositi di abbandono dopo quasi mezzo secolo di vita. E’ questo il fenomeno. In una regione, meglio dire una città, ( Campobasso) che ha assistito inerme allo sfratto dei bambini dall’ edificio di Via Roma cioè dalla Casa della Scuola interrompendo una storia che aveva segnato una staffetta di vita tra le generazioni dei campobassani, in una regione che ha paesi in cui non esiste più una bottega di falegnameria o in cui non è possibile trovare una rivendita dei giornali, trovarsi al cospetto di una manifestazione che l’anno prossimo festeggerà il mezzo secolo di vita peraltro organizzata da una Società, la Virtus, che di anni ne ha sessantatré, c’è materia importante per caricare le ugole e dire :” Bravi!” Vale sempre ciò che dura. Ritrovare oggi con le rughe e senza capelli, quei ragazzi che quando iniziarono con me a tracciare il percorso nel centro storico, avevano il volto pieno di foruncoli e la testa ricco crinita, è una soddisfazione che racchiude una emotività di cui non si riesce a rendere spiegazione. Tre emblemi della Virtus vanno spinti sul banco della notorietà se ce ne fosse bisogno: Roberto Palladino, Maurizio Paladino e Franco Passerella. Ritrovarli ancora a montare le transenne, a rovinarsi le mani per quello striscione che non vuole saperne di stare tirato come dovrebbe o di appendere palloncini, è anche una occasione per capire che molti di noi non sarebbero stati capaci di durare così a lungo. Vale ciò che dura! Il tempo che si è allungato così tanto è il successo di una intera città che per una volta ha contribuito a non far morire una storia bella e colorata anzi l’ha spinta disinteressandosi persino dei capricci di Giove Pluvio che Nicola (Palladino) alla fine avrebbe addirittura citato come un alleato funzionale alla corsa che toglie le ragnatele agli angoli bellissimi del nostro centro storico.