Spazio per l’anima: «Il narcisismo ci esilia dalla pace»

XXX Domenica del Tempo Ordinario, il commento di Fra Umberto Panipucci

«In quel tempo, Gesù disse ancora questa parabola per alcuni che avevano l’intima presunzione di essere giusti e disprezzavano gli altri: «Due uomini salirono al tempio a pregare: uno era fariseo e l’altro pubblicano. “Sii umile e avrai sciolto i legami del peccato” (S. Giovanni Crisostomo, La Penitenza)».

L’evangelista Luca, introducendo questa parabola ci fornisce una chiave d’interpretazione che concede poco spazio agli errori. Chi disprezza gli altri chiude il suo cuore alla Grazia divina e mette la sua anima in grave pericolo. Già l’essere superbi è indice di narcisismo: una condizione psichica e

spirituale che si pone agli antipodi di quella che è la vera maturità in Cristo, la quale, rendendoci simili a Lui, non ci pone al di sopra del prossimo, ma ci abbassa ai suoi piedi per lavarli, come Egli stesso ha fatto (LC 18, 1-15). Un narcisista in realtà disprezza profondamente se stesso, ma non riesce ad ammetterlo. Così, per fuggire dal dolore che gli comporterebbe una sana presa di coscienza, dedica molta energia nell’individuare i punti deboli degli altri per trasformarli così, solo alla sua percezione, in esseri inferiori. Inoltre si impegna molto a costruire un’immagine di se carismatica, per nutrirsi di elogi ed ammirazione. Tuttavia chiunque conosce bene queste persone sa molto della loro fragilità. Per dare rilevanza al messaggio che vuole trasmettere, il Cristo ci mette davanti a una situazione estrema, quasi paradossale: Il fariseo: un uomo che applicava scrupolosamente la legge, ritenuto giusto; il pubblicano: corrotto, collaborazionista dei romani e tutto dedito all’accumulo di ricchezze e alla soddisfazione dei propri desideri mondani.

«Il fariseo, stando in piedi, pregava così tra sé: “O Dio, ti ringrazio perché non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adùlteri, e neppure come questo pubblicano. Digiuno due volte alla settimana e pago le decime di tutto quello che possiedo”.”Non cessar mai di esaminarti se la tua vita si attiene al precetto; ciò che è intorno a te, non lo guardare, perché non ti si presenti l`occasione di imitare quel fariseo, che giustificava se stesso e disprezzava il pubblicano” (Basilio di Cesarea)»

Il fariseo non disprezza solo il pubblicano, ma tutta l’umanità da lui classificata come una massa di peccatori, da cui si guarda bene dal prendere le distanze, come se lui stesso non ne facesse parte. Egli la divide in tre categorie: i ladri, rappresentano tutti coloro che hanno un rapporto egoistico e disonesto con i beni materiali; gli ingiusti, i quali abusano del proprio potere; gli adulteri, chi vive disordinatamene la propria affettività ferendo se stessi e gli altri. Il pubblicano simboleggiava la sintesi di queste tre grandi dimensioni del peccato: sesso, potere e denaro. Se, come il fariseo, pensiamo che Dio disprezza chi è nel peccato, dobbiamo ammettere di aver capito davvero poco degli insegnamenti di Gesù. Un vero padre non disprezza mai i suoi figli quando sono nell’errore, ma piuttosto ne soffre e si adopera con tutte le sue forze per il loro bene. Il Dio di Gesù Cristo è molto più di un padre terreno, per chi pecca egli non ha che Amore e volontà di Salvezza, frenata solo dal limite che si è autoimposto: il rispetto della nostra libertà. Come può entrare in comunione con questo Dio chi ha l’odio nel cuore?

«Il pubblicano invece, fermatosi a distanza, non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo: “O Dio, abbi pietà di me peccatore”.»

Il peccato è un labirinto che intrappola la ragione, la volontà e, quando non lo si riconosce con sincero pentimento, anche l’anima. Il pubblicano di cui parla Gesù ha avuto una grande Grazia: la sua coscienza si è svegliata, gli occhi dell’anima gli si sono aperti ed ha avuto la possibilità di guardare la sua miseria. Egli, pur sentendosi intrappolato in un meccanismo di peccato da cui non riesce a liberarsi, non cessa si sperare e chiedere il perdono di Dio. Proprio questa condizione di completa prostrazione e di “resa” dell’io, spalanca le porte del cuore all’opera redentrice dello Spirito Santo.

«Io vi dico: questi, a differenza dell’altro, tornò a casa sua giustificato, perché chiunque si esalta sarà umiliato, chi invece si umilia sarà esaltato».

L’umiliazione in se non ha nessuna correlazione con la qualità della vita spirituale. In questo caso il disprezzo di se diventa funzionale rispetto alla salvezza perché rivolto alla propria condizione di peccatore. Questo dà la forza al pubblicano di reagire sostenuto dalla Grazia, oltre che dal rinascere

di un giusto amor proprio. La dignità della persona è un bene che dobbiamo tutelare. Tuttavia, se ci riteniamo perfetti, come potremo mai individuare i nostri punti deboli per crescere e migliorare? Quale grande delusione ci aspetterà quando capiremo che la condizione del più grande e potente uomo sulla terra è simile a quella d’una foglia d’albero alla mercé di uno spietato vento autunnale? Nella misura in cui ci crogioliamo nel sognarci magnifici e potenti, tanto sarà doloroso il risveglio. L’umile non teme queste cadute, perché conosce se stesso e sa quanto sia pericolosa l’ubriachezza che induce il vino della superbia. Il suo occhio è limpido e sa ben valutare ogni sua impresa. Tanto nel cammino di santità, quanto in ogni altra impresa, egli ha un grande vantaggio su tutti coloro che sono accecati da loro ego, per questo sarà esaltato!