Santità: salvezza, giustificazione e divinizzazione dell’uomo

(Solennità di Tutti i Santi)

«Il serpente era la più astuta di tutte le bestie selvatiche fatte dal Signore Dio. Egli disse alla donna: «È vero che Dio ha detto: Non dovete mangiare di nessun albero del giardino?». Rispose la donna al serpente: «Dei frutti degli alberi del giardino noi possiamo mangiare,  ma del frutto dell’albero che sta in mezzo al giardino Dio ha detto: Non ne dovete mangiare e non lo dovete toccare, altrimenti morirete». Ma il serpente disse alla donna: «Non morirete affatto! Anzi, Dio sa che quando voi ne mangiaste, si aprirebbero i vostri occhi e diventereste come Dio, conoscendo il bene e il male» (Genesi 3, 1-5).

Prima di parlare della santità, occorre comprendere cosa non lo è, per questo faremo partire la nostra riflessione dall’origene del peccato. La grande tentazione dell’uomo, quella che lo esclude dall’Eden, nasce da un equivoco insidioso: “perché Dio prima ci offre la libertà  e poi la limita?”.  Per capire questo concetto dobbiamo tornare con la memoria alla nostra infanzia, quando i nostri genitori ci esortavano, più o meno minacciosamente, a non trasgredire i loro divieti, pena terribili conseguenze (non di rado anche improbabili rapimenti). Siamo sicuri che ciascuno di noi conserva il ricordo di qualche esito infelice causato dalla disobbedienza: cadute, bruciature, scosse e quant’altro. Semplicemente, Dio ha raccomandato all’umanità nascente di fare ciò che vuole, eccetto ciò che ha come conseguenza la morte. Il “serpente antico” (cfr. Ap 20,2 ) fa apparire Dio quasi come una mamma, quelle di una volta, che ponevano la marmellata sulla mensola più alta, minacciando terribili punizioni per chi osasse trasgredire il comando di non toccarla, ma non è così. Il lettore attento avrà notato però che c’è in gioco qualcosa di importante, la vita stessa per la precisione. Dio comanda di non mangiare il frutto “che sta in mezzo” perchè “mortale”.  Assistiamo così al grande inganno del “serpente antico”, quello attraverso cui ha evaso le difese dell’uomo, ovvero: fargli credere di essere una creatura subordinata al capriccio di un’entità vanagloriosa e attaccata alla suo ruolo di divinità più forte, tant’è che avrebbe vietato ai nostri due progenitori di nutrirsi all’albero della conoscenza del bene e del male per evitare di avere dei futuri competitori. Abilmente imprime in loro la figura di un dio meschino, “padre padrone”, che tiene sotto la sua tirannia i figli togliendo ad essi preziose opportunità e la possibilità di eguagliarlo. L’altro inganno è stato quello di indurli all’autodeterminazione etica (definire da se il bene è il male), cosa disastrosa, i motivi sono ovvi: se ognuno giudica arbitrariamente cosa è un crimine e cosa no, com’è possibile costruire una qualsiasi forma di convivenza? I principi etici fondamentali sono insindacabili: non uccidere, non rubare, non testimoniare il falso, ecc, tutti riassunti nella regola aurea (cfr. Mt 7,12). L’inganno ha avuto così un doppio malefico effetto: rompere l’amicizia con il Creatore e compromettere la buona convivenza fra gli uomini: esattamente l’opposto di quello che avrebbe voluto realizzare Dio. Esiste inoltre un terzo tragico effetto: la morte. Quella spirituale perchè lontani dall’autore della vita (di cui è anche fonte) e quella fisica in quanto il peccato genera discordia, odio, violenza e, inevitabilmente, morte.
Il serpente incarna così quell’infantile desiderio di rivalsa e ribellione verso le proibizioni materne e paterne, quelle che nascevano dal loro amore, per tutelare il nostro e altrui bene. Una tentazione che non ci abbandona in età adulta, la dove il ruolo di tutore e garante viene assunto dalle autorità istituzionali politiche e religiose. Ovviamente quanto detto è solo una semplificazione, sappiamo bene come non sempre le proibizioni sono per il nostro bene, a volte ribellarsi è giusto.

Possiamo interpretare l’episodio della caduta, oltre come evento a-temporale, che ha avuto come conseguenza il peccato originale, anche come qualcosa che ridiventa attuale nella storia comune ed individuale: l’uomo è tentato di allontanarsi da Dio quando non comprende il suo disegno e commette azioni contro i suoi simili autogiustificandosi e disprezzando i principi etici, così da diventare causa di dolore, morte e distruzione.

I piani di Dio, rivelati lungo il corso storico della Rivelazione, sono invece esattamente l’opposto: darci la Vita eterna nella resurrezione di Cristo; farci conoscere il bene ed il male nelle parole del Verbo ( cfr. Gv 14,6); divinizzarci attraverso lo Spirito mandato all’uomo dal Padre per mezzo del Figlio morto, risorto e asceso al cielo (Gv 14,15-17): in un certo qual senso, anche noi “saremo Dio”, sopratutto perché  innestati in Cristo Gesù, in quanto formeremo con Lui un solo corpo (cfr. Gv 15; 17,23-24; 1Cr 12,13). Tutto questo può essere riassunto in una sola parola: santità.

Il termine santo deriva dal latino “sanctus”, ovvero il participio passato di “sancire”, usato sia in ambito legale (sancire una legge), sia per quello religioso (sacro; destinare al culto; legare al divino). In ebraico abbiamo invece “kadosh”, usato nell’antico testamento per la prima volta proprio in relazione al sabato, giorno in cui tutto deve essere sospeso per il culto. Anche in questo caso il termine non è molto dissimile da “sacro”: messo da parte perché destinato al culto o in relazione con il divino. È interessante notare che Gesù mette in crisi proprio questa concezione di santità. Sappiamo bene come egli si avvicina ai peccatori e “trasgredisce”, anche se solo apparentemente, il riposo sabbatico. Ciò che contamina è il peccato, non il peccatore; l’amore verso il bisognoso non è lavoro, ma culto gradito a Dio e quindi non trasgredisce il sabato. Gesù rivoluziona l’idea di santità, che non è più “restare sotto una teca”, ma piuttosto lo spendersi per amore di Dio e del prossimo.

Il Signore adotta per noi una triplice strategia nell’attuare il suo progetto di santità e e sostenerci nella difficoltà della prova. Per comodità abbiamo individuato tre parole chiave: salvezza, giustificazione e divinizzazione. In realtà sono tre prospettive di un’unica realtà, ovvero: l’azione di Dio nella storia.

Salvezza: Dio ci redime dal peccato innestandoci nella nuova umanità incarnata da Cristo. Egli inghiotte la maledizione del peccato nell’amore sconfinato che dimostra sulla croce; Risorgendo e ascendendo al Cielo invia lo Spirito che ci unisce e rende partecipi della sua stessa eredità (Rm 8, 15-17).

Giustificazione: continuamente ci sorprendiamo a fare il male, anche quando vorremmo fare il bene, pecchiamo e inciampiamo ripetutamente nella nostra fragilità, ma Dio ci giustifica per mezzo dello Spirito, ravvivando continuamente nel cuore anelante al perdono la Grazia misericordiosa, attraverso la fede e la riconciliazione, preservandoci così dalla morte eterna. Siamo resi giusti (giustificati), pur non meritandolo, solo per il suo amore, a noi non resta che desiderare con tutto il cuore di fare la sua Volontà e chiedere la Grazia necessaria, tenendo aperta ogni via possibile allo Spirito.

Divinizzazione (o Theosis): l’amorevole progetto di Dio prevede per l’uomo la glorificazione e la partecipazione alla vita divina (cfr. Gv 17,23-24; 2Cr 3,17; 2Pt 1,4 ). Sant’Atanasio nel “De Incarnatione” affermava: “Il Figlio di Dio si è fatto uomo per farci Dio”, anche San Cirillo nel suo commento al vangelo di Giovanni affermerà: “Ricevuto Lui [lo Spirito], diventiamo partecipi della natura divina e riceviamo in tal modo, mediante il Figlio e nel Figlio, il Padre Stesso”.

Il santo è salvato, giustificato e divinizzato già su questa terra (anche se la pienezza di questa “trasformazione” avverrà solo nella resurrezione), diventa “alter Christus” nella misura in cui si rende disponibile alla Grazia dello Spirito. Carissimi celebriamo la  santità come speranza di pace, giustizia e ogni bene nel mondo! Onoriamo coloro che nel passato e nel presente sono perseveranti nella Via maestra!

Felice solennità di Ognissanti.

Fra Umberto Panipucci