Ryan non ce l’ha fatta, adesso è il nostro turno

di Ilhame Soufi

Ryan un bambino di 5 anni è caduto in un pozzo profondo circa 60 metri, nella provincia di Chefchaouen nel nord del Marocco, rimanendo incastrato a circa 32 metri per 100 ore. Con la notizia che il piccolo era ancora vivo in fondo al pozzo, si è accesa la speranza che sarebbe stato salvato alla fine della saga di perforazione. Cinque intere giornate durante le quali i media internazionali hanno seguito da vicino i tentativi di recuperare il bambino. I soccorritori hanno deciso di scavare un tunnel parallelo a causa della composizione del terreno formata sia da sabbia che roccia. La difficoltà dell’impresa è stata aggravata dalla ristrettezza del pozzo, che non supera i 45 centimetri, e dalla fragilità dell’area, che ha costretto le ruspe a ritirarsi più volte per evitare crolli. Purtroppo il bambino non ce l’ha fatta, è morto a causa delle ferite riportate in seguito alla caduta. E’ stata la corte reale ad annunciare la morte del piccolo Ryan, e Mohammed VI ha affermato di aver contattato Khaled Oram e Wassima Kharsheesh, i genitori del bambino Ryan per esprimere le sue condoglianze e simpatia a loro. Il Re ha espresso “l’apprezzamento per gli instancabili sforzi compiuti dalle varie autorità e forze pubbliche, nonché per le attività collettive, e per la forte solidarietà e l’ampia simpatia che la famiglia del defunto ha goduto da parte dei vari gruppi e famiglie marocchine in questa dolorosa circostanza».

A tal proposito una domanda sorge spontanea e lascia l’interrogativo aperto:

“perché il mondo intero ha seguito in modo specifico il caso del bambino Ryan, e al contempo trascura i casi di centinaia di migliaia di bambini che soffrono nel mondo ogni giorno?

Il romanziere egiziano Youssef Zeidan ha espresso pubblicamente su Facebook la sua opinione a riguardo  

<< Tristezza e dolore per la mancata opportunità di salvare l’innocente bambino marocchino “Ryan” dal pozzo in cui è caduto vicino alla provincia di “Chefchaouen”. E io sono uno di loro…davanti a loro c’è la possibilità di salvare decine di migliaia di bambini innocenti dalla guerra in Yemen, e decine di migliaia di bambini siriani addormentati ora sotto le ali della distruzione nei campi gettati al gelo>>

Secondo un rapporto pubblicato dall’UNICEF nel marzo 2021, la Siria ha assistito all’uccisione e al ferimento di almeno 12.000 bambini dal 2011, rilevando che questo numero è quello che è stato confermato, con la possibilità che i numeri effettivi siano molto di più. Questo numero significa che nel corso di 10 anni un bambino siriano muore ogni 8 ore, a causa di circostanze legate alle tragiche situazioni della crisi siriana. Il rapporto indica inoltre, citando le statistiche delle Nazioni Unite, che almeno mezzo milione di bambini siriani soffre di arresto della crescita a causa della malnutrizione e che ci sono circa 3,5 milioni di bambini che non si sono iscritti o sono stati costretti a lasciare la scuola, di cui il 40% sono ragazze.

In Yemen la situazione non è molto diversa. Secondo il rapporto dell’UNICEF, la guerra in Yemen ha ucciso e ferito circa 10.000 bambini, l’equivalente dell’uccisione di 4 bambini al giorno dall’inizio della guerra.

400.000 bambini soffrono di malnutrizione acuta, più di due milioni di bambini non vanno a scuola e 4 milioni di bambini rischiano di abbandonare l’istruzione.                                

Secondo il sito web “The World Count”, qualificato in statistiche, ogni anno muoiono nel mondo 3 milioni di bambini a causa di fame e malnutrizione.

“Una morte è una tragedia, un milione di morti è statistica” (Stalin)

Si potrebbe rimanere inorriditi dai numeri appena menzionati, ma il sentimento che si potrebbe provare nei confronti di questi bambini non è concepibilmente paragonabile a quello provato durante il salvataggio del piccolo Ryan, infatti la morte del piccolo ha scosso il mondo intero, un incidente che ha riscontrato un’ampia interazione locale e araba. Ma ci sono anche milioni di bambini che soffrono come lui. Quindi qual è il motivo di questa contraddizione?

In un famoso studio intitolato “The More Victims, the Less We Care Psychological Numbing and Genocide” è stato scoperto dai ricercatori in psicologia presso l’Università dell’Oregon, guidato dal famoso psicologo professor Paul Slovik, che le persone mostrano reazioni emotive molto maggiori alla morte di una persona rispetto alla morte di un numero maggiore, anche in circostanze simili. Lo studio ha concluso che maggiore è il numero di vittime o feriti in una particolare situazione, minore è l’empatia nei loro confronti e quindi minore è la disponibilità ad essere coinvolti per fornire assistenza. Questo risultato, secondo Slovik, spiega il segreto del freddo sentimento delle persone nei confronti delle grandi tragedie di massa, come il genocidio o le vittime di disastri e carestie, o l’aumento del numero di persone contagiate dal Corona virus, o anche la mossa per affrontare una crisi globale come il riscaldamento globale

Questo fenomeno è chiamato dagli studi psicologici con il termine “intorpidimento psichico”, e in breve, significa che più alti sono i numeri, meno sarà la probabilità di fornire aiuto al soggetto in questione.

“Un bambino che si ammala o muore di fame ci strappa il cuore e muove le nostre mani (e i nostri portafogli) all’azione. Ma una volta che il numero delle vittime aumenta a due o più, l’empatia, sia profonda che comportamentale, inizia a svanire” (Paul Slovik).