Riparto del fondo di solidarietà, Comuni contro il Governo: in 60 vanno al Tar

Fanelli: «Speriamo di vincere questo ricorso per avere più risorse, ma soprattutto per affermare un principio che ci aiuterà a bloccare processi autonomistici»

Sessanta comuni si ribellano contro il riparto del fondo di solidarietà 2019. Quel fondo che dovrebbe garantire lo stesso livello di servizi essenziali su tutto il territorio nazionale a prescindere dalla ricchezza e dalla capacità fiscale dei comuni. E questa mattina, nella sala Caduti di Nassirya di Palazzo Madama si è svolta la conferenza stampa di presentazione del ricorso amministrativo che vede uniti 60 comuni italiani in un’azione legale al Tar contro le norme contenute nella legge di bilancio e interpretate dal Ministero dell’Interno. Le stesse che tagliano 500 milioni e basano le erogazioni sui fabbisogni storici e non sulle esigenze attuali dei cittadini.

L’iniziativa legale, avviata su impulso della Consigliera regionale Micaela Fanelli, è nata in seguito alle decisioni del Governo gialloverde e delle gravi conseguenze prodotte sui bilanci e quindi sui servizi di competenza comunale, a seguito di una erronea applicazione dei principi e dei parametri del federalismo fiscale. «Dal blocco del 2019, che è andato a finanziare le promesse del governo gialloverde, è nata la rivolta dei Comuni italiani – ha spiegato la consigliera – da Sindaco, in dieci anni ho cercato di assicurare tutti i servizi per i miei cittadini e, ad esempio, ho fatto partire l’asilo nido, ma solo grazie alle risorse addizionali. Attraverso il fondo di solidarietà, ho sempre sperato di poter fornire risposte in più. Ed è bene tornare a sottolineare che uno dei motivi principali per cui le aree interne si spopolano sta soprattutto nella mancanza dei servizi essenziali. Il controesodo e la coesione si fa innanzitutto con una reale perequazione e poi con le risorse aggiuntive. Speriamo di vincere questo ricorso per avere più risorse, ma soprattutto per affermare un principio che ci aiuterà a bloccare processi autonomistici targati Lega, che mirano ad aiutare i Comuni più ricchi, a discapito del raggiungimento dell’esercizio dei diritti fondamentali garantiti a tutti dalla Costituzione».

Come spiegato dall’avvocato Salvatore Di Pardo, che ha curato la redazione del ricorso, «la Costituzione garantisce le autonomie locali e attribuisce ad essi compiti e funzioni proprie, tra le quali istituire asili nido ed altri istituti di istruzione; assicurare i trasporti locali; garantire assistenza sociale. La Costituzione garantisce altresì che i Comuni abbiano le risorse necessarie per assicurare l’erogazione di tali servizi nella misura tale da assicurare i livelli essenziali (minimi) di assistenza al cittadino. Da qui, la decisione di adire il Tar e successivamente la Corte Costituzionale, per ristabilire la legalità negata dal Governo.
Per finanziare le proprie funzioni ai Comuni è riconosciuta una fiscalità propria (IMU). Essi, quindi, non ricevono risorse in via derivata dallo Stato, ma applicano proprie imposte (previste dalla legge) e con il ricavato finanziano i servizi che erogano ai cittadini.
Accade però che, soprattutto nelle aree più povere e meno sviluppate del paese (Molise, Calabria, Basilicata, Campania ecc.) le risorse che i Comuni ottengono da detta fiscalità non sono sufficienti a garantire i livelli essenziali (minimi) di assistenza e la copertura delle spese per i servizi minimi che la Costituzione attribuisce ai Comuni e che i cittadini hanno diritto di avere».

«Per evitare che ciò accada – ha detto Lorenzo Coia, Presidente della Provincia di Isernia e Sindaco di Filignano –  la Costituzione, sempre all’art. 119, prevede che sia istituito un “fondo perequativo”, che serve a redistribuire risorse in favore dei Comuni più “deboli”, evitando così che in Italia esistano Comuni di serie A (cioè quelli che vengono prima, prevalentemente quelli del Nord Italia) e cittadini di serie B (quelli che vengono dopo, prevalentemente quelli del Sud) e garantendo così i principi di solidarietà e di eguaglianza stabiliti dalla Costituzione italiana.
Il fondo ripartisce le risorse in favore dei Comuni secondo due criteri quello della spesa storica (e cioè attribuisce ad ogni Comune le risorse sulla base di quanto già in passato attribuito); quello perequativo (e cioè quello finalizzato a riequilibrare il deficit di alcuni Comuni). La legge ha previsto che gradualmente entro il 2021 si dovrà passare dal sistema storico a quello perequativo (basato sul fabbisogno di ogni Comune). Tale previsione è però non gradita ai Comuni più ricchi che dovrebbero trattenere le maggiori risorse e non vorrebbero dover contribuire a quelli più deboli».

«Il Ministro dell’Interno, infatti, con la sua singolare interpretazione della legge finanziaria, ha fatto quattro cose, di cui solo la prima è espressamente prevista dalla legge – ha illustrato il Sindaco di Ferrazzano (CB) Antonio Cerio:

«Primo: ha bloccato la progressione prevista dalla legge verso il sistema perequativo. La legge prevedeva infatti che nel 2019 la quota ripartita secondo il criterio perequativo passasse dal 45% del 2018 al 60% del 2019. Ha congelato anche per il 2019 la quota al 45%. Ciò è stato un regalo ai Comuni più ricchi ed a quelli che storicamente hanno avuto più risorse pubbliche a prescindere dalle loro esigenze (prevalentemente ai Comuni del Nord).
È stato, invece, un danno per chi storicamente ha avuto meno risorse e ha comunque un fabbisogno da fronteggiare non garantito da copertura finanziaria;

  1. oltre a congelare la quota perequativa al 45%, il Ministero dell’Interno ha confermato per tutti i Comuni gli identici importi assegnati al 2018, malgrado i fabbisogni del 2019 fossero diversi.
  2. nella necessità di reperire risorse per le novità del nuovo corso, il Governo ha pensato bene di attingere dal fondo dei Comuni decurtandolo di oltre 500 milioni di Euro.

La cosa più sconcertante è che tale decurtazione non risulta espressamente stabilita anche per il 2019 da una norma di legge, ma è frutto di una discutibile interpretazione della legge finanziaria fatta dal Ministro dell’Interno e si arriva al paradosso, quindi, che sono i Comuni a dover finanziare lo Stato. Dunque, in palese violazione del dettato costituzionale, si tolgono soldi indispensabili per assicurare i livelli minimi di assistenza ai soggetti più deboli (bambini, disabili, ecc. ), per finanziare politiche governative quantomeno discutibili e certo non garantite dalla Costituzione (reddito di cittadinanza, flat tax, ecc.).

  1. i criteri di determinazione del fabbisogno sono fatti in modo strano. Più che strano illegittimo, perché lo stesso fabbisogno di alcuni settori è calcolato non sulla base delle necessità di anno in anno manifestatesi, ma ancora una volta sulla base dello storico».