La storia del pellegrino russo ci insegna quanto è importate l’invocazione Gesù Figlio di Dio, abbi pietà di me
di don Mario Colavita
“Rendere grazie, glorificare Dio è infatti riconoscere che l’attore principale nella nostra non è il nostro io, ma Dio; è decentrarsi per trovare il proprio baricentro non più in se stessi, ma fuori di sé”. Così Daniel Attinger monaco di Bose circa il senso del rendere grazie.
Spesso e volentieri dimentichiamo come la parola grazie apre e facilita molte situazioni difficili.
Il ringraziare aiuta l’uomo a vivere meglio con se stesso e gli altri. C’è chi si è preso la briga di studiare scientificamente il fenomeno arrivando alla conclusione che la gratitudine accresce positività e volontà, è un toccasana per l’umore, incrementa l’efficienza sul lavoro e migliora anche la salute, combatte la depressione, diminuisce la pressione sanguigna e migliora la qualità del sonno, rinforza la resilienza, diminuisce la sofferenza fisica, influisce positivamente su salute e longevità.
In una catechesi del mercoledì papa Francesco ha affermato che alla porta della famiglia deve esserci la parola grazie. La gratitudine per un credente, – dice il papa – è nel cuore stesso della fede: un cristiano che non sa ringraziare è uno che ha dimenticato la lingua di Dio.
Si, Dio ci insegna sempre a ringraziare, del resto la messa è, dall’inizio alla fine, un rendere grazie a Dio per il dono del Figlio che si dona a noi nel corpo e nel sangue.
Il vangelo di questa domenica pone la scena di guarigione di dieci lebbrosi. Tutti furono sanati ma solo uno fu salvato, quello che ha avuto la forza e la gioia di dire grazie a Gesù. Scrive l’evangelista Luca: “[Uno dei dieci lebbrosi] vedendosi guarito, tornò indietro lodando Dio a gran voce, e si prostrò davanti a Gesù, ai suoi piedi, per ringraziarlo” (Lc 17,15).
Nei dieci lebbrosi ci siamo tutti noi, è l’umanità diversificata e infetta di peccato e di morte, incapace di fare il cammino della vita.
Gesù invita tutti a camminare così come siamo, con i nostri difetti e pregi con le nostre aperture e chiusure, nel cammino verso Gerusalemme ci guarirà donandoci la vita.
Dei lebbrosi sanati chi prende coscienza del dono ricevuto, torna per ringraziarlo della salvezza data. E Gesù lo invia agli altri perché faccia altrettanto e possa vivere la comunione con lui, con il Padre e con i fratelli.
Il grido dei lebbrosi Gesù Maestro abbi pietà di noi è il grido di chi confida in Dio, lui il Signore è pieno di misericordia e perdono. Questa invocazione ripetuta più volte diventa chiave per entrare nel mistero dell’amore del Figlio.
Nella storia del cammino di fede del pellegrino Russo troviamo l’episodio dove il pellegrino russo cerca con insistenza la pace del cuore con la preghiera. Alla fine un monaco gli insegna come pregare per ottenere la pace. La preghiera è l’invocazione: Gesù Figlio di Dio, abbi pietà di me. Il monaco incoraggia il pellegrino russo e gli dice: “Siedi in silenzio e appartato; china il capo, chiudi gli occhi; respira più lentamente, guarda con l’immaginazione dentro il cuore, porta la mente, cioè il pensiero, dalla testa al cuore. Mentre respiri, di: Signore Gesù Cristo Figlio di Dio, abbi pietà di me peccatore, sottovoce con le labbra, oppure solo con la mente. Cerca di scacciare i pensieri, sii tranquillo e paziente, e ripeti spesso questo esercizio”.
La fede del lebbroso è la fede che capisce che ringraziare è all’origine della salvezza. Essa non è qualcosa che si compra è dono gratuito di Dio per chi l’accoglie con altrettanta gratuità. La fede è relazione in colui che può salvare, il lebbroso crea una relazione ringraziando, così forte e bella che è inviato ad annunciare la bellezza di una relazione che rende la vita buona e bella.