GENNARO VENTRESCA
Non si contano i decaffeinati che ho bevuto con Peppe. Che conobbi ragazzo col cuore bambino, di innamorato dei colori del Napoli e del nostro Campobasso. Come il cugino Fred iniziò a sferrare quattro calci al pallone davanti a Santa Maria. O in via Benevento, sotto le finestre di casa, dove lo proteggeva con lo sguardo mamma Emilia, una meravigliosa napoletana che il padre Michele sposò non ancora ventenne.
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Precoce negli studi e negli apprendimenti Giuseppe Buongusto fece l’esame di ammissione alle Medie senza aver frequentato la Quinta. Mangiammo l’ultimo gelato insieme ai tavoli di Lupacchioli, il “nostro” bar. Da sempre. Anche in quella occasione ci fu un tale, per me sconosciuto, che senza la minima accortezza venne a disturbarlo. Per una consulenza all’impronta. Una delle tante che regalava alla gente. Neppure a pensare al compenso.
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Non aveva raggiunto i settanta il dottor Buongusto quando una mattina di primavera, era il 6 maggio di due anni fa, chiuse per sempre gli occhi. In ospedale, al Cardarelli, dove ha vissuto una brillante vita professionale. Partendo dal pronto soccorso in via Ugo Petrella, e concludendo la carriera da direttore della divisione di Medicina, al quarto piano del plesso di Tappino.
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Peppe aveva 69 anni, una miseria se solo si pensa a quanti pensionati arrivano a festeggiare i cento anni. Tra le sue specializzazioni, per amore dello sport non solo del pallone, ci aggiunse anche quella di medicina sportiva. Fu grazie a quel titolo che di lì a poco venne chiamato a occuparsi dei rossoblù. Gli anni più belli, ovviamente, furono quelli di Molinari. Ma non mancarono i rimpianti anche per quelli con l’Adelmo, con Ferruccio, con Paolo Rizzi e con altri patron. Come dire: io ci sono sempre stato.
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Non si contano i certificati di idoneità sportiva che ha rilasciato e i contatti telefonici con i grandi medici degli ospedali della capitale e del nord. Peppe era amico dei campobassani di tutti i ceti, mai obsoleto o un ricordo da soffitta. Si mise a disposizione senza farsi usare. Senza secondi fini, a differenza di altri che si aprirono la strada per successi elettorali. Fece tutto per lasciare ai figli qualche valore. E se ne avesse avuto il tempo avrebbe fatto lo stesso con l’unico nipote, col suo stesso nome e luce dei suoi occhi. Che racconta agli amichetti che la moto elettrica di cui fa vanto gli fu regalata dal nonno.
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Per una serie di intuibili ragioni da quando Peppe non c’è più piazza polmonite ha perduto l’effervescenza di un tempo. Un caro amico e un medico per tutte le ore. Sempre pronto a consultare esami clinici, e a dare le dritte su strappi, stiramenti e problemi articolari.
Dopo la curva della Banca d’Italia, là dove la mattina spuntava Peppe è rimasto il silenzio. E tanta malinconia. Per non correre il rischio che la gente lo dimenticasse ho voluto dedicargli le odierne Perline che leggeva da sempre. A cui aggiungo un abbraccio e una carezza.