Reperti di San Vincenzo finiscono fuori regione: i sindaci scrivono al MiBACT
Chiedono a Bonisoli che entri in funzione il polo museale e vengano maggiormente tutelati e valorizzati
REDAZIONE
ISERNIA
L’importante scoperta avvenuta qualche settimana fa nei pressi dell’Abbazia di San Vincenzo al Volturno – un’olla del IX secolo unica nel suo genere – ha fatto riaccendere i riflettori su un sito archeologico per il quale molto si deve ancora fare in termini di valorizzazione e promozione. Motivo per cui i sindaci di Rocchetta al Volturno, Teodoro Santilli, e di Castel San Vincenzo, Marisa Margiotta, insieme al delegato dell’Arciabate di Montecassino e San Vincenzo al Volturno, per l’Abbazia di San Vincenzo al Volturno, Gian Carlo Pozzo, hanno scritto al Ministro per i Beni e le Attività Culturali, Alberto Bonisoli. La missiva, inoltre, è indirizzato anche al governatore Toma. All’interno della stessa si chiede innanzitutto un maggior coinvolgimento nella attività di promozione degli scavi, considerato che il polo archeologico dovrebbe essere la maggiore attrattiva del territorio della Valle del Volturno. I sindaci, infatti, non hanno lesinato nel togliersi qualche sassolino dalla scarpa riguardo la recente scoperta. A loro detta, infatti, gli inviti a Napoli, presso il museo archeologico di Napoli “Mann”, dove sono stati presentati i risultati relativi agli scavi condotti a settembre dello scorso anno, sotto la direzione del professor Federico Marazzi dell’Università partenopea “Suor Orsola Benincasa”, presso la città monastica di San Vincenzo al Volturno, sarebbero arrivati solo qualche giorno prima dell’appuntamento già fissato. Ma in generale, gli stessi denunciano un modus operandi molto diffuso: i più importanti reperti vengono trasferiti fuori regione, anche a causa di strutture idonee a poter “ospitare” tali oggetti di inestimabile valore culturale.
Inoltre gli amministratori locali, di concerto con l’Abbazia di Montecassino, pongono l’accento sulle condizioni in cui versa il polo archeologico e museale di San Vincenzo al Volturno. «La grande quantità dei reperti nel tempo rinvenuti (migliaia di cassette oltre ad affreschi, colonne, capitelli ed altro) indusse, agli inizi del millennio, a realizzare un museo (tanto costoso quanto esteticamente discutibile) – si legge nella missiva –; tuttavia, trascorso un ventennio, esso non è ancora entrato in funzione. L’abbandono sofferto dalla struttura (che pure rimane staticamente solida e che costituisce “deposito” di quanto emerso dagli scavi) ha peraltro provocato il suo progressivo degrado. Le locali articolazioni del Mibac hanno tuttavia privilegiato il proseguimento degli scavi che, del resto, continuano a conferire ulteriori preziosi ritrovamenti. Ovviamente, dopo che i reperti sono stati estratti, le nuove aree scavate vengono solo sommariamente ricoperte al suolo (con ogni negativa conseguenza) non sussistendo risorse per la relativa adeguata e dignitosa tutela, valorizzazione e fruizione.
Gli amministratori locali parlano di una situazione ormai non più sostenibile, soprattutto alla luce del recente accordo stipulato tra enti e Abbazia con cui si vuole valorizzare il sito archeologico e museale in un’ottica occupazionale. Motivo per cui chiedono che venga sospesa ogni ulteriore attività di scavo nell’area archeologica e che questa venga ripresa solo ove siano disponibili i fondi necessari alla successiva, adeguata e dignitosa copertura. Infine, gli stessi chiedono che vengano catalogati e resi noti tutti i reperti rinvenuti nel sito e portati fuori regione.