“Racconti per Alesia” seconda parte

“Alesia ed i suoi compagni di viaggio” sono felici ed onorati di condividere con i lettori le bellissime parole di alcuni dei Giovani partecipanti al laboratorio di scrittura “Ticket to write” condotto da Valentina Farinaccio all’interno della Rassegna “Clamori” tenutasi nella “Villa De Capoa” di Campobasso nel luglio 2021

VANESSA

La prima volta che ho preso la Freccia Bianca avevo paura che accadesse qualcosa di bello. Tra i binari 2 e 3 della stazione di Termoli, la valigia pesante oltrepassava la linea gialla in uno spazio strettissimo.
Poco prima, sulla Bifernina, che, come un fiume, scorre via da Campobasso, la gola bruciava come ad ogni abbandono e gli occhi scoppiavano per il peso delle parole non dette.
Alla stazione papà mi lascia senza voltarsi e sulle guance mi rimane l’odore dell’Acqua di Gió. Era la prima volta che prendevo il treno. Avevo ventidue anni e una paura fottuta.
La Freccia parte. L’ultimo saluto rassicurante della casa del mare, a seguire la stazione di Pescara. Poi il treno diventa una spola a filo d’acqua su posti sconosciuti.
Dopo tre ore e mezza vedo il grattacielo. “Rimini, stazione di Rimini. We are now arrived in Rimini.” Ero terrorizzata, ma era solo paura di vivere, di essere felice.
Il 18 novembre del 2014 nasco per la seconda volta tra le cosce di via Gambalunga 28, nella camera rosa con il riscaldamento centralizzato e la parrucca Fucsia attaccata alla lampada. Il letto sfondato è al centro di una stanza che prima era un salone. I vetri della porta tremano ogni volta che qualcuno entra in casa. Ma non m’importa. Dalla mia camera si vedono i mille campanili di Rimini e le vetrine “della Luisa” colorate di vestiti stupendi. Non me li posso permettere ma mi sento bellissima.
Se mi sporgo bene dal balcone vedo pure la ruota panoramica e se chiudo gli occhi – ma forse no, non ce n’è bisogno – l’odore di piada mi riporta alla vita.
Rimini, Rimini. Le lettere del tuo nome formano gli archi rassicuranti dei portici di piazza Tre Martiri.
Rimini. Il tuo nome è perfetto come i cerchi che il ponte di Tiberio traccia sul fiume Marecchia.
Rimini, le corse nella notte in bici per raggiungerlo.
Rimini, Rimini. Rimani.

VERONICA

È l’essenza del tutto che spesso si affaccia alla mente, mentre l’ogni rimane nascosto agli occhi. Veronica, silenziosa, è lì ferma che indaga e dai piccoli ai grandi pensieri cerca di scovare le cose più diafane. Vivere per sentimenti, seguendo la conoscenza: questo è quello che prova a fare.

Le cose grandi sono quelle che vengono sempre colte dagli occhi, forse perché più visibili, forse perché più luminose o forse più semplicemente perché poste sotto i riflettori. Le piccole cose, quelle veramente minuscole, sono invece lì che silenziose passano via, che scorrono, che vanno o che restano per sempre e noi, fermi, passivamente le dimentichiamo. Una catena ingarbugliata di spregiudicati sogni nasce dalla frivola sottigliezza del diafano, l’animo è mosso nel naufragante palpitare che senza voler insegue l’istinto primordiale dell’infinito e lo porta lì.
Tra quelle sedie innumerevoli storie sono raccontate. Tra quelle sedie chiavi nascoste aprono la porta in attesa del cuore e lo portano per la prima volta a comprendere, forse, un esile fardello del focoso perché. Tra quelle sedie la vita appare scorrere quando al contrario penetrante e crostosa si attacca all’agire, al pensare, ai muri, alle future proiezioni, come carta da parati ricorderanno le sensazioni.
Non è solamente l’odore pungente dei burrosi popcorn, o il buio della sala o il vuoto che tutto avvolge nel suo esser datato, non è solo fisicità, percezione, ma soprattutto visione. Visione di come eri, di come sei, di come potresti essere. Visione di quello che mai si è compreso di sé o su cui mai si ha avuto la forza e il coraggio di soffermarsi. Nell’esatto illimitato attimo in cui assordante il buio trionfa e il suono si unisce all’orchestrante volteggiare dei colori, dei corpi, delle vite, la propria vita dà le sue più vere manifestazioni. Calano tutti i costrutti, il muro di difesa si abbassa, apparentemente si è lì per scoprire una nuova storia e non per, finalmente, scoprire la propria.
Quello spostarsi di poltrone, quel divagare di volta in volta, quel sussultare per capire se è la strada giusta rivolta a quei numeri, quei nuovi numeri, di sale, di file, di poltrone, che rimarranno per sempre dentro l’io, inconscio che non è oblio.
Il fremere delle novità, la gioia del continuo cambiare essendo, però, sempre lì, quel sorridere, confondersi, perdersi, tutto riassume la totalità dell’esistenza.
In quell’intrecciarsi di voci, nella piccolezza assoluta di ciò che si rivolge all’obsoleta invalidità dell’indifferente modernità, epopee danzano nella musicalità imperfetta e disarmonica del proprio singolare respirare e con esso la visione che lo schermo bianco inonda entra dentro di sé per restarvi. Sogni hanno inizio vedendo, non guardando, a quelle piccole cose grandiose che racchiudono la potenza di riuscire ad essere descritte. Lì, su quei braccioli del Maestoso, ho capito davvero cosa essere e non solo esistere.

SIMONE

Simone: musica, libri, cinema e matematica. L’arte in tutte le sue forme e nella bellezza del ragionamento. La gentilezza e il sorriso come strumento per affrontare ogni situazione.
E se fosse anche facile, sarebbe il massimo!

Una volpe, un corpo, uno sguardo.
Simbolo di grandezza e di potere quando vive, dell’arte e della vita quando è dimenticata. La torre quinta ha dentro sé due troni, ma soprattutto il dolce gusto dell’abbandono.
Modi pratici per catturare una volpe. Gli strumenti essenziali che servono e come costruirli in poco tempo. Situazioni estreme da analizzare e sulle quali riflettere più o meno seriamente. Nell’eternità della superstrada qui davanti, sospendere nel tempo discorsi quotidiani, ma che restano qui. Davanti a questa torre che può vedere il sole soltanto nel pomeriggio, che tutto vede senza mai esser vista.
Tornare da lei, sfiorare il suo corpo spigoloso e sedere in braccio in lei. Quando il cielo si tinge di rosa, i brividi anche d’estate, il profumo melodioso ovunque, non sentito da nessuno: l’essenza, il tempo, l’armonia, la cifra.
Non so se è davvero così, ma è bello pensarlo.
Che sono l’unico a pensare a lei, quando da quella superstrada sono di ritorno da una vacanza. Che mentre tutti guardano il castello e le torri principali, io alzo lo sguardo e sempre incontro tenero il tuo.

FEDERICA

Solarità, allegria e simpatia è tutto ciò che sento e che cerco di trasmettere sempre. L’essenziale è essere sempre sinceri! Mi chiamo Federica, ho 23 anni, amo stare sempre in compagnia e ho la passione per il mondo del giornalismo sportivo, della comunicazione e del marketing.

Vasto, o meglio “lu Vast”, è il posto dove da tantissimi anni ci ritroviamo. Tutti lì. Meta comune di tanti ragazzi che arrivano da tantissime località d’Italia: Puglia, Molise, Lazio, Umbria e persino Lombardia. Tutti in Abruzzo in questa città speciale che ci accomuna tutti. Sole, spiaggia, mare, serate e tanto divertimento. Ma non è tutto. E’ quello il posto dove minimo un mese l’anno bisogna rimanere. Gruppi di ragazzi che crescono e con l’età volano anche i sogni. Il lungomare alla marina, il belvedere al paese. Si può visitare tutto il mondo ma lì, solo lì, si torna ad essere bambini. Si ferma il tempo, come se gli anni non passassero.

FRANCESCO PIO

Esattamente 20 anni fa la mia famiglia cambiava casa. Vivevamo in appartamento, in 5 persone si stava stretti. Così i miei decisero di vendere e comprare una villetta in un luogo che non avrei mai immaginato potesse essere così bello ai miei occhi. Non che fosse oggettivamente bella via Sicilia, sia chiaro, ma offriva ed offre tutt’ora (seppur poco trafficato dalle generazioni odierne) uno spiazzo che è stato coprotagonista d’eccezione insieme a tutte le persone con le quali ho condiviso i tempi indimenticabili della mia gioventù. Avevo 9 anni.
Oggi quel posto è ancora conosciuto ai più (maggiormente ai personaggi leggendari che come me lo hanno vissuto) con il nome di Piazzale della Margherita, per via della adiacente omonima pizzeria di Rosina ed Umberto e del loro figlio Toni.
Un spiazzo che non è altro che il tetto piastrellato della palestra sottostante, oggi box21, all’epoca Odissea… neanche a farlo apposta per rimarcare l’epicità di quegli anni. È circondato a ferro di cavallo da un grosso condominio che offriva la giusta ombra quando d’estate la superficie diventava rovente. E non solo a causa del sole, perché questo posto era palcoscenico di scorribande di biciclette, skateboards, monopattini, rollers e chi più ne aveva più né metteva, le cui ruote piccole o grandi che fossero, facevano fuoco e fiamme! Le gare erano all’ordine del giorno e condivamo le giornate con le partite a UNO, le sfide a Bayblade, e gli interminabili incontri a pallone, che poi però una fine comunque ce l’avevano, quando arrivava l’ineluttabile richiamo dei genitori che ricordava che fosse ora di cena.
Sarebbe stato un campo da calcio perfetto tranne che per un piccolo particolare: ad un paio di metri dalla ringhiera che circoscriveva un lato di quello che pretendevamo fosse il rettangolo di gioco, c’erano le finestre delle case che affacciavano sul piazzale. Quanti danni risarciti, ad oggi incalcolabili. Però c’è da dire che i danneggiati non ci hanno mai pagato il biglietto per aver avuto l’onore ed il privilegio di assistere ai nostri match nella comodità delle loro abitazioni. Forse dovremmo presentare un ricorso.

TERESA

Non ho mai girato da nessuna parte così bene come nella mia testa. L’unico posto che mi fa sentire a casa. Il treno conosce i pensieri e li ascolta, tu parli in silenzio, le cuffiette narrano una melodia al finestrino e le rotaie corrono dritte. Un’altra storia se ne va. Come quando cammini senza meta con un posto riservato nel cuore e stai bene nella tua casa.