Quell’incontro di Luca Serianni con i liceali di Isernia

Il più grande linguista italiano è morto qualche giorno fa dopo essere stato investito sulle strisce pedonali a Ostia. Poco tempo fa, invitato da Angelica Zappitelli, sua ex allieva e oggi docente al Classico, incontrò gli studenti nel capoluogo pentro

Luca Serianni, il più grande linguista italiano è morto qualche giorno fa, dopo essere stato investito sulle strisce pedonali a Ostia. Una perdita irreparabile per la cultura italiana. Serianni, poco tempo fa, venne a Isernia, invitato da Angelica Zappitelli, ieri sua ex allieva, oggi docente del Liceo Classico, per un incontro con gli studenti del Fascitelli.

E così Angelica Zappitelli lo ricorda: “Era il 16 maggio 2019 e lo rivedo ancora uscire dalla stazione di Isernia davanti alla quale lo aspettavo per condurlo con la mia macchina nella sede centrale della mia scuola. Aveva accettato subito l’invito per un duplice incontro: con gli studenti la mattina, con i docenti e altri studenti venuti da Santa Croce di Magliano nel pomeriggio. Per me era un sogno che si realizzava, vagheggiato da anni: glielo dissi subito, nel saluto con cui lo accolsi, e lui sorrise ringraziando e schermendosi, con quella dolcezza inconfondibile che gli era propria. L’anno successivo concesse una memorabile lezione sulla lingua di Pascoli, forzatamente a distanza, negli ultimi giorni di scuola alla mia quinta liceo classico, una classe indimenticabile come lui.

In questi giorni di immenso dolore per la sua prematura e ingiusta scomparsa, leggendo solo alcuni degli innumerevoli ricordi a lui dedicati, mi sono chiesta per la prima volta cosa possa tenere insieme una comunità così ampia di persone, nel vincolo di un’ammirazione, di una stima e di un affetto per la figura di un docente universitario che nelle esperienze più comuni è al massimo celebrato per la sua cultura o erudizione ma molto, molto raramente amato per la sua umanità. Ed era proprio questo che lo rendeva diverso: in un mondo accademico in cui tanti, troppi colleghi vivevano il proprio ruolo come esercizio di potere, lui lo viveva sommessamente come spirito di servizio, dimostrando l’attenzione e il rispetto per i singoli studenti in molti modi significativi. Pur essendo uno dei docenti più autorevoli, rigorosi ed esigenti della facoltà di Lettere della Sapienza, concedeva la tesi con lui a chiunque gliela chiedesse, non badando alla media degli esami: tutti gli studenti, anche i meno brillanti, avevano per lui pari dignità e meritavano una possibilità di crescita allo stesso modo. Agli appelli d’esame, era l’unico che evitava agli allievi le lunghe e snervanti attese a cui normalmente i suoi colleghi li sottoponevano: stilava lui stesso, con la sua inconfondibile e nitida grafia, la calendarizzazione secondo cui ognuno doveva presentarsi nell’orario indicato, e la affiggeva con il dovuto anticipo fuori dalla porta del suo studio. Sapeva stemperare come nessun altro la tensione di chi si sedeva davanti a lui agli esami, grazie al suo sguardo mite e profondo, da ascoltatore attento prima ancora che da giudice. Il tutto, con la ricchezza di un bagaglio culturale immenso, impareggiabile per ampiezza e profondità (si diceva che conoscesse a memoria tutti i versi della Divina commedia, per dare un’idea).

L’elenco dei ricordi sarebbe ancora lunghissimo, ma mi sembra che quanto ho rievocato testimoni il principio che più gli stava a cuore: la fiducia nei giovani e nel valore della cultura che, attraverso la disciplina, il metodo, la precisione rigorosa, la fatica, rende l’essere umano migliore, secondo la mirabile sintesi del sommo poeta: “Fatti non foste a viver come bruti/ ma per seguir virtute e canoscenza”.

Scrive Leopardi che non è sommo in alcuna professione chi non è modesto, perché la modestia è il segno distintivo dell’uomo grande: niente di più efficace per descrivere Luca Serianni, “il francescano ricco solo della parola”, come lo ha definito Andrea Riccardi in questi giorni su “L’avvenire”. E quale, quanta ricchezza! Ha insegnato a tutti noi l’importanza, il peso, la storia delle parole, perché sapessimo usarle, nel corso della nostra vita, con cognizione, attenzione, rispetto, responsabilità. Perché la parola è espressione del pensiero che nobilita l’uomo e il pensiero ispira le azioni. Per questo, ci educava con sapienza, ovvero con naturalezza, a cogliere i dettagli, le fessure nascoste da cui, nelle sue lezioni memorabili, emergevano le sue convinzioni etiche: come quando, per inciso, invitava a riciclare i fogli di carta riutilizzandoli per appunti di minore importanza, o come quando, a proposito del lusso nel vestire, ricordò l’esempio evangelico dei gigli del campo, la cui bellezza derivante dalla semplicità non poteva essere uguagliata neppure dal re Salomone in tutta la sua gloria.

È stato un modello di serietà, di coerenza, ma anche di garbo, di finezza e squisitezza nei modi, apprezzati con stupore anche dai più giovani: durante la lezione nella nostra scuola, un ragazzo sbagliò l’accento di una parola nel rivolgergli una domanda; alla fine dell’incontro, lui raggiunse quello studente in fondo all’aula e lo corresse in disparte, senza mortificarlo platealmente agli occhi di tutti. Molti notarono, compresero, si stupirono e certamente tuttora ricordano.

Tutto questo mi sembra ci insegni che gli esseri umani, e soprattutto i ragazzi che ne sono la parte migliore perché la meno contaminata, hanno in sé gli strumenti per riconoscere e apprezzare la vera grandezza di un Maestro, che non potrà mai essere raggiunta con l’ossessivo culto della digitalizzazione della didattica a tutti i costi. I mezzi informatici restano appunto mezzi, e non fini. A Serianni bastavano un gesso, una lavagna di ardesia e l’uso magistrale della parola, per ottenere i risultati eccezionali che ha raggiunto.

Scrive Erri De Luca in uno splendido racconto in cui rievoca il suo maestro di liceo: “Ci sono uomini che morendo chiudono dietro di loro un mondo intero”. Ma prima di lui Lorenzo Milani scriveva: “Il maestro dà al ragazzo tutto quello che crede, ama, spera. Il ragazzo crescendo ci aggiunge qualche cosa e così l’umanità va avanti”. Ora tocca a tutti noi che lo abbiamo conosciuto, ammirato e amato, il compito di onorarne la memoria con passione e dedizione, al nostro lavoro e alla parte di tenera umanità che abbiamo il privilegio di poter educare”.