GENNARO VENTRESCA
Questa è una storia che merita di essere raccontata ai giovani calciatori. Che, spesso e a sproposito si danno arie da campioni, senza rendersi conto di non esserlo. Non solo per mancanza di qualità tecniche e agonistiche, ma soprattutto di doti umane che fanno grandi gli uomini prima dei calciatori. E che durano una vita, non solo nei pochi anni in cui i muscoli e l’uzzolo rispondono.
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Porto indietro il tempo di molti anni. Diciamo a metà degli anni Sessanta. In cui nel mio piccolo qualche calcio ben assestato al pallone l’ho sferrato anch’io, indossando la maglietta rossoblù di lana pesante, unica e sola per tutte le stagioni. Vi voglio raccontare di Sergio Vatta che la vulgata non ricorda, benchè sia stato un “grande”, prima nel settore giovanile del Torino e poi della Nazionale.
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Giuliano di Zara, arrivò dall’Aquila e si portava sulla fronte i primi segni di una precoce calvizie che faceva presagire un cervello capace di ragionare non solo in campo. Vatta era il tipico numero 10. Legò con Bruno Persich, fiumano con cui aveva giocato in Abruzzo. Mise insieme 32 presenze, firmando anche due reti. Il suo contributo fu decisivo per il raggiungimento della tranquilla salvezza.
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Presidente Adolfo Colagiovanni, professore con pochi soldi. E siamo alla trasferta siciliana. In cassa non c’è una lira. Colagiovanni fa il solito giro di telefonate per reperire contributi, ma senza fortuna. Non senza imbarazzo si presenta all’allenatore Mario Perazzolo, già campione del mondo con Pozzo, e ai ragazzi e annuncia che per motivi finanziari la squadra avrebbe dovuto dare forfait.
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Cala il gelo nel già gelato e misero spogliatoio. Ma a far risalire la
temperatura ci pensa Vatta che anticipa personalmente le spese. Si parte, e si torna a casa anche con un
croccante pareggio. La notizia, in quegli anni in cui non c’erano i social e la
comunicazione era molto ingessata, passò sotto silenzio. L’opinione pubblica,
del resto era abituata alle situazioni più paradossali.
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Sergio Vatta, a fine carriera ha scritto un magnifico libro sulle sue memorie.
Avendo avuto la delicatezza di sfiorare appena l’argomento. Della sua
esperienza campobassana in modo rimarchevole cita la civiltà della gente, il
concetto dell’ospitalità, e… sorride sui soldi. Dopo aver lanciato decine di
giocatori di A, forgiati nelle giovanili del Toro (Cravero, Comi, Zago, Fuser,
Corradini, Benedetti) ora fa il pensionato nella città sabauda a cui è rimasto
profondamente legato. E non smette di ammettere di aver pianto per la caduta in
B dei granata.
P.S. Caro Sergio Vatta sulla mia pelle ho pagato numerose retrocessioni rossoblù, ho pianto una sola volta. Al termine dello spareggio perso a Napoli contro il Taranto. Nel pomeriggio in cui perdemmo la B e abortimmo un sogno.