Quando il lutto si trasforma in festa

XVIII Domenica del tempo ordinario

Commento a MT 14, 13-21

Gesù, con i suoi discepoli, si reca in un luogo deserto dopo l’esecuzione sommaria e “orridamente frivola” di Giovanni Battista (cfr Mt 14,1-12). Tutto fa pensare a una fuga disperata segnata dalla tragica scomparsa del grande profeta, ma succede qualcosa di inaspettato: Gesù, visceralmente commosso dalla folla di bisognosi che lo seguiva, trasforma il terribile lutto in un momento di gioia e speranza sovrabbondanti, vediamo come.

Il capitolo 13, prevalentemente costituito dalle 7 parabole sul Regno, si conclude con un breve riferimento alla predicazione di Gesù in Galilea (Mt 13, 53-58). Se da un lato egli raccoglie attorno a se una folla che lo segue per essere soccorsa e consolata, dall’altro notiamo il diffondersi di un movimento, ancora informale, “anti Gesù”, questo gruppo, più che criticarlo per i contenuti del suo messaggio e i segni compiuti, si scandalizza del fatto che un carpentiere possa essere investito dall’alto di simili carismi: “Non è egli forse il figlio del carpentiere? … Da dove gli vengono dunque tutte queste cose?” (Cfr. Mt 13,55-56). Proprio in questo contesto nasce la celebre espressione: “Un profeta non è disprezzato se non nella sua patria e in casa sua” (Mt 13,57).

“In quel tempo, avendo udito [della morte di Giovanni Battista], Gesù partì di là su una barca e si ritirò in un luogo deserto, in disparte.”

Il capitolo 14 esordisce con lo sconcertante racconto del martirio di Giovanni Battista, voce dell’Israele fedele che aspettava il vero Messia. Il cristianesimo delle origini deve molto alla figura di Giovanni Battista: come ben sappiamo, l’Elia che doveva venire (cfr. Mt 11,14) era, a quel tempo, il profeta più amato e accreditato in Israele, e radunava attorno lui notevoli folle, tanto da lasciare un segno nella storia: viene menzionato infatti da Flavio Giuseppe (37-100 dC), nel sua opera “Antichità Giudaiche”. Fu lui, secondo il racconto dell’evangelista Giovanni, a indicarlo come messia ed a consegnarli la sua eredità di guida profetica, definendolo L’Agnello di Dio (Gv 1,29-34) .

Sapere della morte di Giovanni Battista, spinge Gesù, probabilmente sconvolto, a cercare un luogo deserto per se e i suoi discepoli. L’uccisione del grande profeta è già un preludio al mistero pasquale: sembra che tutto si a finito, ma proprio in quel momento, sorge un’inaspettata speranza. Simbolicamente, la ritirata di Gesù, può rappresentare l’esilio a cui è destinato il portatore del messaggio divino, sempre foriero di una novità che provoca scandalo, rabbia e odio, perché sono proprio queste le dolorose ferite che lo Spirito vuole sanare.

“Ma le folle, avendolo saputo, lo seguirono a piedi dalle città. Sceso dalla barca, egli vide una grande folla, sentì compassione per loro e guarì i loro malati.”

Sapendo quanto è stato già esposto, non risulta difficile comprendere perché la folla comincia a seguire Gesù: essa vede in lui il nuovo Giovanni Battista, fatto che emerge molto chiaramente dal testo che stiamo meditando; del resto persino Erode, già terrorizzato, lo pensa. Il mondo ha una sete disperata di profezia e la gente ne è così bisognosa da essere disposta avventurarsi in un ambiente solitario e ostile. Così, quel luogo desrto, da esilio sta per diventare festa di vita e speranza, dove chi ha fame di verità, amore e giustizia, si ritrova a far parte di una grande famiglia. Gesù sente “σπλαγχνίζομαι” (splagchnìzomai), sentimento tradotto con un vocabolo poco efficace: “compassione”; il termine greco indica piuttosto come il Maestro fosse “visceralmente commosso” per quella gente. Tutte le emozioni forti e coinvolgenti toccano le viscere, amore, gioia, paura. Infatti diciamo: “Ho le farfalle allo stomaco”, quando siamo attraversati da sensazioni intense. Gesù non sopporta di vedere tutto quel dolore e, come può, cerca di alleviarlo guarendo i malati, ma per le malattie dell’anima l’unica medicina è la conversione.

“Sul far della sera, gli si avvicinarono i discepoli e gli dissero: «Il luogo è deserto ed è ormai tardi; congeda la folla perché vada nei villaggi a comprarsi da mangiare». Ma Gesù disse loro: «Non occorre che vadano; voi stessi date loro da mangiare.”

I discepoli non credono ancora abbastanza nel loro maestro, anzi, pensano che stia trascinando quella gente verso la rovina. Tuttavia Gesù non congeda la gente, perché se resta con lui, non mancherà di nulla. “l’Emmanuele” è il “Dio con noi” , dove lui passa fiorisce il deserto (cfr. Isaia 35,1-6) Ed è proprio questo l’insegnamento che sta per impartire attraverso uno dei segni più eclatanti narrati dai Vangeli. È degni di nota il fatto che Gesù non attribuisce solo a se stesso questa capacità, ma anche chi accoglie e persegue il suo insegnamento, egli infatti risponde: “voi stessi date loro da mangiare”.

Gli risposero: «Qui non abbiamo altro che cinque pani e due pesci!». Ed egli disse: «Portatemeli qui».

Nel compiere i suoi segni Gesù spesso aspetta la disponibilità del cuore, un gesto di amore gratuito e generoso. È il caso di questo ragazzo: consegnando quel cibo aveva affidato “tutto ciò che aveva per vivere” (Mc 12,41-44), poco agli occhi dell’umanità, ma più che sufficiente a quelli di Dio. I numeri 5 e 2 sono metaforici, il primo nel simbolismo ebraico indica l’umanità (abbiamo 5 dita, cinque sporgenze: testa, braccia e piedi), il 2 rappresenta il dualismo male-bene, molto presente nel linguaggio degli evangelisti. Il Gesto va quindi letto come un totale affidare a Gesù la propria persona con i pregi e le fragilità. Ciò che è insufficiente per l’uomo, nelle mani di Dio, può diventare sovrabbondanza di ogni bene.

“E, dopo aver ordinato alla folla di sedersi sull’erba, prese i cinque pani e i due pesci, alzò gli occhi al cielo, recitò la benedizione, spezzò i pani e li diede ai discepoli, e i discepoli alla folla. “

Il Signore sceglie di “passare” attraverso i nostri gesti autentici riempiendoli della potenza dello Spirito. Egli benedice e santifica quella offerta piccola ma veramente generosa. È prefigurata anche la Chiesa che, sopratutto nell’eucarestia, condivide fra i suoi membri l’unico sacerdozio di Cristo.

“Tutti mangiarono a sazietà, e portarono via i pezzi avanzati: dodici ceste piene. Quelli che avevano mangiato erano circa cinquemila uomini, senza contare le donne e i bambini.”

Quello che doveva essere un momento di lutto per la morte di Giovanni e che doveva sancire la fine del suo  movimento di riforma, si trasforma in una festa che riempie tutti di un’incontenibile gioia: ecco un altro gli ossimori di Dio. La speranza donata non solo è piena, ma “sovrabbondante”. Le 12 ceste che avanzano (pronte per le dodici tribù di Isreale), sono simbolo il che questa Grazia è per tutti, anche per quell’umanità che non è ancora presente e aspetta di parteciparvi.

Felice Domenica

Fra Umberto Panipucci