di Marianna Meffe
Qualche giorno fa YouTube ha rimosso alcuni video dal canale del Presidente brasiliano Jair Bolsonaro per “violazione delle politiche contro la diffusione di notizie false sulla Covid-19”.
Non è la prima volta che una cosa del genere succede: importanti figure politiche che, sulla base del nulla e senza apportare nessuna evidenza scientifica, rilasciano dichiarazioni che possiamo definire solo come allarmistiche.
È triste che in questi casi a fare da filtro per una corretta informazione debbano essere le piattaforme social, che devono sobbarcarsi un compito che sarebbe di competenza dei governatori.
La questione si presentò già qualche mese fa quando Twitter decise di bloccare in maniera permanente l’account di Donald Trump dopo l’assalto al Congresso, per evitare i rischi di “ulteriori incitamenti alla violenza”.
Decisioni senza precedenti, queste, ma che ci pongono di fronte a un complicato dilemma etico.
Certo, se l’informazione passa principalmente attraverso questi canali, dato che non sono pochi i giovani (e non) che a queste piattaforme affidano il delicato compito di informarli, è cosa buona e giusta che esse si dotino di un apparato di controllo e filtraggio.
Appellarsi ai fasti dei tempi d’oro, quando “si leggevano i giornali”, è un atteggiamento anacronistico: nel corso degli anni gli strumenti di informazione si sono sempre susseguiti, a volte magari convivendo, ma sempre evolvendosi.
E nel 2021 non possiamo ignorare il fatto che l’informazione passa soprattutto dai social, per forza di cose: sono loro i media del nuovo millennio. Proprio per questo la necessità di una regolamentazione decisa ma non soffocante, si fa sempre più necessaria affinché l’informazione possa passare limpida, corretta e oggettiva, senza che influenze politiche o credenze personali di qualsiasi sorta possano offuscarla.
L’annosa questione però è sempre la stessa: chi controlla i controllori? Se Twitter pone un freno alle delirazioni del controllori del passato, assumendo una funzione di “controllore” del nuovo presente, chi controlla Twitter?
La speranza è che sia la sua stessa comunità: forse proprio l’assetto comunitario dei social, il loro ‘essere di tutti e di nessuno’ ma sostanzialmente in balia dei propri utenti per sopravvivere, potrebbe essere la soluzione.
Gli utenti con le loro azioni sono in grado di influenzare le risposte e l’offerta dei social: la comunità potrebbe quindi svolgere il delicato ruolo di freno verso possibili derive esageratamente censorie dei social. Delle quali per ora, comunque, non c’è traccia.