Un tempo nei paesi del Molise, il primo gennaio dell’anno nuovo era dedicato al maiale, detto “ Ceccon’ “, allevato nella stalla di famiglia
Le differenze tra i tempi appena trascorsi nei paesi del Molise e quelli attuali. Sono tantissime ed assai profonde, tanto da sembrare che siano passati anni luce piuttosto che appena pochi decenni. Oggi, alle soglie del 2020, le prime luci dell’alba del nuovo anno troveranno tanti che staranno rientrando dai festosissimi veglioni di fine 2019, trascorsi tra tavole imbandite, musica, canti ed un mare di divertimento. Si sarà stanchi di tanto coinvolgimento, con l’augurio che gl’immancabili botti di fine anno abbiano fatto solo sorridere senza arrecare problemi di sorta. Il primo gennaio di cinquanta, settanta anni addietro nei paesi del Molise, giusto per fissare una data di massima ? Tutt’altra scena, atmosfera ben diversa … ! Si, si era ugualmente svegli alle prime luci dell’alba del nuovo anno, ma per “dedicarsi” a “ Ceccon’ “, così com’era chiamato in genere il maiale dalla pelle nera allevato un anni intero nella stalla di famiglia, animale che serviva a rendere felice l’intera famiglia che l’aveva comprato e cresciuto riempiendo finalmente di tanto ben di Dio fondaco, credenza e tavola di casa per tutta un’annualità. In piena notte, intorno alle due, le tre del primo gennaio, la donna di casa aiutata da parenti e vicini metteva a bollire in strada l’acqua nell’abbondante contenitore, badando che fuoco e fiamme fossero sostenute. Intorno alle cinque ecco comparire in fondo alla stradina di casa il macellaio, con coltelli e coltellacci avvolti in un panno bianco tenuto sotto il braccio. Personaggio unico, il macellaio, con atteggiamenti da primario! A quel punto la padrona di casa al marito, “Dai Francì …, andate a prendere “ Ceccon’ “ alla stalla !” E l’uomo, aiutato a sua volta da parenti e conoscenti, si avviava verso la stalla. Finalmente l’animale, apertamente recalcitrante avendo di sicuro capito quanto stava per capitargli, arrivava sotto casa tirato con le funi alle quali era stato legato. Quindi sollevato di peso e disteso sulla “scannella” (poggio in legno solitamente malandato …) per l’atto finale, mentre il macellaio si sincerava che l’acqua bollisse al punto giusto immergendovi il gomito destro. A quel punto, e mentre una donna teneva il bacile di alluminio sotto il collo dell’animale che continuava ad agitarsi, il macellaio affondava il colpo ! Erano attimi concitati, con l’animale che si dimenava, con la donna che raccoglieva quanto usciva dal collo e col macellaio che a sua volta non mollava la presa ! Finalmente, ma dopo minuti intensi, tornava la calma e lì iniziava il lavoro di squadra. Ma prima ecco comparire il vassoio con tonificanti bicchierini di cognac per gli uomini che si erano impegnati, offerti dalla padrona di casa. Era intanto sorta l’alba ed in molti, per strada dov’era avvenuto il tutto, si davano da fare per completare l’opera. Bisognava affrettarsi a rimuovere i peli dalla pelle di “ Ceccon’ “ ed occorrevano acqua bollente, coltelli affilati e tante braccia lavorative. Un’ora buona e l’opera esterna era completata, per cui si passava all’interno. Altra ora di lavoro, rimozione e pulizia, e finalmente l’animale era in bella mostra appena dietro l’uscio di casa appeso a “ i cussal’ “, attrezzo in legno, perché la carne arieggiasse. Nel frattempo il macellaio, su invito della padrona di casa, tagliava pezzi di carne che venivano messi immediatamente a cuocere sulla brace in strada assieme ai peperoni per servirli a coloro che avevano lavorato, i quali non disdegnavano affatto i tanti bicchieri di rosso locale offerti loro sempre dalla proprietaria di “ Ceccon’ “. Intanto il vicinato si era svegliato e le vicine di casa con sincerità, “ Flmé … Dì benerica …, che beglie anmal …, quanta lard’ e quanta carn’ !“, sottolineando così l’abbondanza appena arrivata in quella casa. “ Ceccon’ “ restava disteso sul “ cussal “ ed il primo giorno del nuovo anno di allora era arrivato tra tradizioni, usi, personaggi, abitudini e costumi dei tempi trascorsi ! Quanta differenza con l’attualità …
Tonino Atella