Puoi, se pensi di potere

GENNARO VENTRESCA

Non voleva solo correre, ma stupire, eccitare, vincere. Voleva essere strano, moderno, inzupparsi di finte, di dribbling, di assist e di gol. “Puoi, se pensi di potere”, si diceva incitandosi nell’autoaffermazione. Dopo avere bruciato troppe opportunità pensava di poter fare il condottiero della squadra del capoluogo della sua piccola regione. Tutto gli stava andando a pennello, come un abito di Giorgio Armani che, per scelta non ha mai indossato.

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Vittorio Esposito è stato tante cose: il più imprevedibile, il fantasista più fantasioso, le cosce più svelte e il tocco musicale come un violino. Ha sempre accettato lo scherzo e non ha mai risparmiato un sorriso beato. Con Bontà ci aveva messo un niente a fare una invidiabile coppia. Il capitano a fare il  verso a Sandokan e lui ad eccitare i cuori rossoblù. Negli occhi di tutti, almeno per un po’ resterà la sua giocata regale che ha portato al gol di Ladu. Lo aspettiamo che torni come e meglio di prima. Intanto, lo ringraziamo.

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Ma come ti viene di riesumare Amarildo? Mi ha detto un amico di vecchia pezza. Nel 1962, quando a sorpresa vestì la maglia che fu di Pelè, portò i brasiliani al secondo titolo mondiale consecutivo. Ero un ragazzo e me ne innamorai quando arrivò al Milan. Il suo sinistro era come l’archetto di un violino. Ma dalla sua boccuccia uscirono parole dure nei confronti di arbitri e avversari, tanto da farne uno dei giocatori più squalificati della Serie A. Una volta, a San Siro, il nostro concittadino e arbitro Antonio Vitullo, lo tenne un minuto sugli attenti. Prima di indicargli la via dello spogliatoio.

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Vincere con la Juventus è più facile che vincere altrove. Qualità dell’organico, ricchezza finanziaria e aiutini arbitrali fanno la differenza. Ma noi, oltre a tutto il resto non abbiamo neppure la maglia uguale alla squadra rappresentata dalla zebra. Le vittorie arrivano solo per meriti. Inoltre non siamo neppure fortunati. Direi di più, quest’anno tra virus, traumi, problemi muscolari e accidenti vari non ce n’è andata bene una. Meno male che siamo riusciti a tenerci sempre in quota. E pronti ad affrontare gli ultimi sforzi. Prima di presentarci in dirittura d’arrivo.

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Siamo stati la Juventus fino a quando non hanno chiuso gli stadi. Una Juventus solo per il sostegno di pubblico che ci seguiva fuori casa. Facendo sentire i nostri ragazzi gasati. In questa categoria e soprattutto nel nostro girone i rossoblù sono stati sempre accompagnati dal tifo. Non era così in passato, specie in taluni impianti della Campania e della Puglia. In cui il fattore campo era sempre determinante. Con sassi che fischiavano agli orecchi e minacce nel buio degli spogliatoi.

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Non mi sembra il caso di sentirci sempre vittime. A Selva Piana, Armanetti non riuscì a gestire i nervi: scambiò il corridoio del sottopassaggio per un ring. Le suonò e le prese da un “gigante”, un certo Monti, che gli costarono una squalifica chilometrica. Dicono i bene informati che al Santiago Bernabeu gli sguardi di certi addetti ai lavori madridisti siano più velenosi di frecce indiane.