di Maria Letizia Grossi*
Rispondendo all’invito dell’amica Anna Corallo, voglio raccontare in breve come è nata in me la passione per la scrittura. Una passione precoce: la mia prima poesia, o qualcosa che poteva assomigliare a una poesia, l’ho composta a sei anni ed è stata conservata con orgoglio da mia madre. In effetti questa attrazione è comparsa contemporaneamente al piacere della lettura, compulsiva fin da quando ho imparato a decifrare le lettere sulle pagine. Per me scrivere è cercare e spesso trovare un filo, come dice Anna Maria Ortese, entrare nella mia interiorità, ma anche volare fuori, a incontrare luoghi, personaggi, storie. Mi piace il lavoro dell’invenzione, la scrittura come aggiunta e mutamento, come la definisce sempre la Ortese. È una terapia della parola, che pratico con me stessa e mi è stata sempre di grande aiuto nei momenti di difficoltà o di solitudine, come è successo nei mesi del lockdown. Ma non si tratta per me di una attività che mira ad arricchire solo me stessa. Scrivere è un modo per comunicare, soprattutto quando poi si decide di pubblicare le proprie invenzioni narrative.
Ho sempre scritto per dire qualcosa, con la speranza che qualcosa arrivi a chi legge, è la mia forma di interessarmi e occuparmi della società, della comunità, delle relazioni tra persone. Ho scelto di farlo raccontando storie. Anche se ho scritto diversi saggi di urbanistica storica e sulla letteratura femminile, la mia modalità preferita è quella narrativa, perché mette in moto non solo la riflessione ma anche le emozioni, mie, dei personaggi e, spero, di chi leggerà.
Il primo libro di racconti che ho pubblicato, Ci salveranno i fulmini e il deserto? (Luciana Tufani Editrice, 2009) parla di come la specie umana tende a distruggere l’ambiente e di come la stessa natura cerca di rimediare.
I miei libri più recenti sono gialli, entrambi pubblicati dalla casa editrice Giunti. Ho scelto questo genere perché mi ha offerto una chiave per toccare temi sociali, anche difficili e dolorosi, evitando il pamphlet politico, stimolando alla lettura attraverso un intreccio coinvolgente, e perché il giallo è un genere ottimista. Rientra nelle sue regole che la giustizia si affermi e i colpevoli vengano scoperti e condannati.
La commissaria Bardi, la protagonista di entrambi, considera il suo un lavoro di pulizia nello spazio di mondo che le è stato assegnato, per riportare un ordine e un’armonia, incrinati dal crimine. Un ordine imperfetto, perché subito rimesso in crisi da altre azioni umane delittuose, per cui il compito di chi investiga non ha fine.
In realtà non credo a una separazione netta dei generi, i miei libri hanno l’intreccio del giallo, pongono al centro l’indagine, ma sono anche un percorso nell’animo dei personaggi, nei luoghi, a loro volta protagonisti, nelle mie letture e amori letterari ̶ infatti riportano frequenti citazioni, talvolta in chiave ironica ̶ , nella società, di cui esplorano aspetti problematici. Il mondo oscuro dei delitti riflette gli aspetti negativi della società più ampia. Tuttavia queste tematiche sono toccate in modo positivo, come dicevo; la protagonista è una donna vitale, appassionata del suo lavoro, intuitiva, energica, benché abbia i suoi aspetti dolenti, come un divorzio alle spalle, un rapporto abbastanza complicato con la figlia ventenne, un innamorato che – per ora – respinge, a causa della passata esperienza negativa.
Tutto il romanzo è percorso dall’ironia, che è un carattere specifico del mio modo di scrivere, da sempre. Senza mettere in ombra le tematiche difficili narrate, il risvolto ironico e divertito suscita nuove energie positive per affrontarle. L’ironia è un modo per osservare i personaggi, le vicende, anche l’io di chi narra, con un punto di vista diverso, che introduce lo spirito critico. È anche un modo, per me mentre scrivo, per alleggerire l’impegno e la fatica delle ore trascorse al computer, in solitudine.
Mi è stato chiesto se la commissaria sia un personaggio autobiografico; naturalmente in ogni figura che si inventa c’è qualcosa di chi scrive, solo qualcosa, altre tracce sono disseminate in altri personaggi, persino maschili.
Il primo giallo L’ordine imperfetto, pubblicato da Giunti nel giugno 2018 come ebook e in forma cartacea nel gennaio 2020, tocca i temi dell’inquinamento ambientale, della speculazione edilizia e del tentativo di espellere i residenti dal centro storico di Firenze (come avviene anche in altre città d’arte), per far spazio a strutture ricettive, a case vacanza e ridurre strade e piazze a un parco a tema medieval-rinascimentale ad uso di un turismo veloce e consumistico.
Il secondo Le streghe bruciano al rogo, sempre per Giunti, luglio 2021, tocca il tema drammatico e purtroppo attualissimo dei femminicidi, ma anche della forza delle donne autonome, indomite, che si riprendono la loro vita, definite streghe perché disobbedienti e ribelli alle regole stabilite dalla società patriarcale. Rifacendomi alle figure della mia nonna materna, nello stesso tempo forte, ma che pur accettava alcune imposizioni del marito, della mammana, un’anziana levatrice che incarna un sapere femminile tramandato tra donne ed estraneo alla medicina ufficiale e alle imposizioni della chiesa, e di una giovanissima guaritrice, in realtà una ragazza capace di ipnotizzare, che viene definita strega dai paesani, ho voluto riflettere sull’energia e sul potere delle donne che, nei secoli passati, pur sottomesse e controllate da padri, fratelli e mariti, hanno avuto sempre una grande capacità di resilienza e sono state in grado di far sopravvivere le famiglie e sostenere i figli. Mentre il primo romanzo con protagonista la commissaria si svolge a Firenze e nella piana di Sesto, questo da Firenze si sposta in Irpinia, terra natale della commissaria, dell’altra protagonista, la scrittrice Eugenia Ortesi, della giovane ipnotizzatrice e anche mia.
Il tema del paese è per me molto sentito. “Un paese vuol dire non essere soli” per citare Pavese, perché qualcosa di noi rimane nei nostri luoghi anche quando siamo lontani. Ci sono dunque le radici e c’è anche il tempo che si intreccia, il presente e quello degli anni trenta e quaranta della piccola strega e della famiglia di Eugenia Ortesi. Sfilano decenni di storia, di vicende familiari, di storie che si tramandano, di leggende paesane.
Il paesaggio è molto importante, in esso si muovono i personaggi e si riflettono i loro sentimenti. Talvolta è oggetto di contemplazione, in altri casi dialoga con i protagonisti. È un memento per l’impegno in difesa dell’ambiente. “La bellezza ci mette la scopa in mano” dice Valeria Bardi, dobbiamo pulire, riordinare, conservare la bellezza, perché possa rimanere anche per i nostri nipoti, per chi ci seguirà sulla Terra.
In entrambi i libri ci sono espressioni in dialetto, in questo caso sia in vernacolo fiorentino che in napoletano, parlato in Irpinia. Questo soprattutto perché nei dialoghi penso sia importante dare a ciascun personaggio la propria voce, e alcuni appunto si esprimono così, ma anche perché i dialetti sono vere e proprie lingue, per tanti e tante di noi sono la lingua madre, hanno una storia secolare alle spalle e una capacità comunicativa vivace e intima. Penso sia importante difenderli e farli vivere, accanto alla lingua nazionale che permette a tutti gli italiani di comunicare tra di loro. In questa epoca storica sono minacciati dall’omologazione operata dai media, soprattutto dalla televisione, che tende ad appiattire l’espressione di tutti su un italiano impoverito e banalizzato.
Il terzo libro sulla commissaria è già finito, riserverà sorprese sentimentali alla commissaria, parlerà di migranti, di Mediterraneo, di guerre civili. Il quarto è in via di gestazione.
Ho scritto un altro romanzo, una biografia romanzata, Autobiografia di mio padre, pubblicato nel
2013 da ecoinformazioni, destinato solo a familiari e amici, che forse si trasformerà in un libro per un pubblico più ampio. Ho voluto lasciare tracce di un uomo buono, comandante partigiano e padre amorevole. La scrittura è un tentativo di conservare qualcosa, di tramandare, almeno finché ci sarà qualcuno a leggere. Come scrive Wislawa Szymborska è “la vendetta di una mano mortale”.
Maria Letizia Grossi
Nota biografica.
Nata in Irpinia, ho studiato all’Università di Firenze, dove vivo. Ho insegnato nelle Scuole Secondarie Superiori, tengo da 16 anni un corso di lettura e scrittura creativa, prima presso la Libreria delle Donne, ora presso l’Associazione Fiesolana 2 b. Faccio parte del Direttivo del Giardino dei Ciliegi e della Società Italiana delle Letterate. Ho una figlia e un nipotino di tre anni.