XII Domenica del tempo ordinario
Commento a Mc 4,35-39
Subito dopo il grande sermone dato alla folla di Cafarnao, Gesù decide di intraprendere una pericolosa traversata notturna affrontando il Mare di Tiberiade. Sembra quasi che il maestro stia mettendo a rischio la vita dei suoi seguaci, costringendoli ad attraversare al buio una minacciosa burrasca. Gesù ha però in serbo un prezioso insegnamento che resterà per sempre impresso nel cuore dei discepoli.
+In quel giorno, venuta la sera, Gesù disse ai suoi discepoli: «Passiamo all’altra riva». E, congedata la folla, lo presero con sé, così com’era, nella barca. C’erano anche altre barche con lui.+
L’affresco suggestivo che Marco dipinge con i suoi tratti essenziali, ci fa contemplare un piccolo gruppo di pescatori distaccatosi da una folla più grande, segno che in qualche modo sottolinea un’elezione speciale. Umili barche di pescatori prendono il largo ed affrontano un viaggio notturno, iniziativa inusuale, a quell’ora era infatti pericoloso prendere il largo, tuttavia i seguaci di Gesù si fidano del loro maestro. Attraversare l’acqua nel linguaggio biblico indica sempre un cammino di purificazione profonda che implica morte e rinascita; pensiamo al passaggio del Mar Rosso, a quello del Giordano; allo stesso concetto si rifà anche Giovanni il Battista attraverso il segno che gli ha dato il nome. Le barche, in questo specifico contesto, sono il mezzo attraverso cui questo avviene, esse simboleggiano le chiese. Così l’evangelista ci vuol far capire che proprio la comunità pensata e voluta da Gesù, è lo strumento eletto, la barca, per questo percorso di rigenerazione battesimale. Come si è già fatto notare la barca che compie questo viaggio non è l’unica, infatti altre comunità seguono Gesù; forse esse rappresentano le diverse chiese che sorgono ispirate e guidate dallo Spirito.
+Ci fu una grande tempesta di vento e le onde si rovesciavano nella barca, tanto che ormai era piena. Egli se ne stava a poppa, sul cuscino, e dormiva. Allora lo svegliarono e gli dissero: «Maestro, non t’importa che siamo perduti?». +
La tempesta rappresenta le varie avversità che la Chiesa ha affrontato, e dovrà attraversare, per compiere il suo viaggio verso l’alba definitiva della sua venuta alla fine dei tempi. La paura provata dai discepoli, umanamente comprensibile, è invece prefigurazione della tentazione che i cristiani provano durante le persecuzioni e le prove della vita, quelle stesse che ci fanno chiedere: “Dov’è Dio nella prova? Pechè non non interviene nei momenti più difficili?”. L’acqua oscura della tribolazione inonda la barca, segno che far parte di una comunità eletta, non rende esenti da problemi e tribolazioni.
+Si destò, minacciò il vento e disse al mare: «Taci, calmati!». Il vento cessò e ci fu grande bonaccia. Poi disse loro: «Perché avete paura? Non avete ancora fede?».+
Il sonno di Gesù ci fa pensare all’apparente distanza che Dio sembra avere dalle vicende del mondo. Ma, non appena viene interpellato, egli interviene. Tuttavia il Cristo rimprovera chi lo ha svegliato, denunciando una mancanza di fede. Gesù non ha mai vietato di pregare per se stessi e la propria incolumità fisica, tuttavia egli stesso ci invita a dare la vita (Gv 15,13), prendere la croce ((Mc 8,34) e non temere ciò che può uccidere il corpo (Mt 10,28). Le prove che la vita ci offre, sono il mezzo attraverso cui “testiamo la nostra maturità umana e spirituale”. Dio non ci abbandona nelle avversità, egli è sempre nostro compagno di cammino “conosce i passi del nostro vagare e raccoglie le nostre lacrime nel suo otre, tutto è scritto nel suo libro (cfr Sal 56,8).
+E furono presi da grande timore e si dicevano l’un l’altro: «Chi è dunque costui, che anche il vento e il mare gli obbediscono?».+
Lo stupore provato dai discepoli segna indelebilmente questo insegnamento/esperienza nella loro memoria. La natura obbedisce al suo Signore che a sua volta non ne diventa mai il tiranno, essa è infatti libera. Tuttavia questo tipo di autorità non è ancora compreso e riconosciuto dai più. Stentiamo ad accettare di essere responsabili del creato senza sentircene anche i padroni; un vizio comportamentale che spesso estendiamo anche ai nostri stessi simili. Resto convinto che nel Vangelo c’è una dottrina morale e spirituale che è ancora ben lontana dall’essere completamente sviscerata, e forse non lo sarà mai. La Vita di Gesù è come uno squarcio che si apre sull’infinito splendore del divino, una luce che rischiara le tenebre e rimane inaccessibile.
Felice Domenica.
Fra Umberto Panipucci