GENNARO VENTRESCA
Avevo invocato la partita perfetta. E i ragazzi me l’hanno regalata. Non solo a me, naturalmente. Ma a tutta la città dei calci d’angolo. Non credo di sbagliare se allargo la taglia e ci aggiungo anche il resto del Molise, questo piccolo occhio di terra che amiamo e dove, se ci ragioniamo a mente serena, si vive bene. E si potrebbe stare molto meglio se solo invece del particulare la classe politica avesse pensato un po’ più ai giovani. Creando loro le prospettive per non farli partire per terre sconosciute.
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Non banalizzo il concetto se sottolineo che la vittoria ha cento padri, in questo caso forse anche di più. Quando si vince spuntano tanti papà. Papà putativi che scopri anche all’ultimo momento. Nessun dorma, canta Bocelli. E, nel nostro caso, anche Nello Toti. Intanto, nel loro piccolo, Gino e Gina, dal condominio di via Lombardia continuano a ritmare la loro canzone. Che va sotto il titolo di Forza Lupi, anche se dal primo momento l’abbiamo sempre etichettata come E la dumenuca (a Campuasce). Si, proprio Campuasce, come era solito dire Fred, quando lo intervistavano nei grandi studi televisivi
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Ci vorrebbe un libro per ficcarci dentro tutto ciò che è accaduto dal giorno in cui, in punta di piedi, è arrivato Mario Gesuè. Di cui nessuno aveva sentito parlare e che, un po’ alla volta, con la sua voce soffice e col saper fare abbiamo imparato a conoscere e quindi ad apprezzare. In questa era del tweet figuriamoci se c’è tempo e voglia di pesanti tomi. Con dittatoriale prepotenza comanda il web, svelto, facilmente fruibile, alla portata di tutte le tastiere. Anche quelle traballanti sotto la veste letteraria.
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Mi sento orgoglioso di aver chiamato SuperMario il patron rossoblù, quando i fumogeni della festa erano ancora così lontani. Intravidi nella sua faccia sincera le qualità di un uomo nuovo, così diverso dai suoi predecessori. Un uomo che senza mai alzare i toni ha portato nella tana del Lupo la metodologia nordica, fondata sul lavoro serio e non certo sulla smargiassate. Lavorando sotto traccia Gesuè ha costruito un po’ alla volta un piccolo fortino, entro cui ci ha messo soldati e generali. Che si sono mostrati all’altezza del compito loro assegnato.
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La notte è stata addirittura troppo piccola per chi ha avuto voglia di viverla intensamente. Fumogeni, fuochi d’artificio, birrette, fumo, canti e clacson l’hanno fatta da padroni. Magicamente abbiamo dimenticato i terribili guasti del covid e anche le misure di sicurezza se ne sono andate a benedire. La città è stata padroneggiata da migliaia di persone mercuriali che l’hanno attraversata impugnando drappi e bandiere rossoblù.
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Torno alla partita perfetta. Il più bel regalo per chi vive di sport come mezzo privilegiato per conoscere e trasmettere le emozioni e i sentimenti più intimi. Il popolo rossoblù ha atteso 32 anni fatti di 11.690 giorni per sapere che cosa voleva veramente. Io, intanto scrivo. Provando a piantare l’albero di questa magnifica storia, per poi riprendere il cammino un po’; ristorato e fiducioso. Pensando che un giorno qualche viandante deciderà di riposare alla sua ombra, per raccontarla alle nuove generazioni.