“No Hijab day”, al via le proteste delle donne islamiche

di Di Bartolomeo Ilaria

«Quando lo indossi ti senti un fantasma, come se non fossi un essere umano, solo che tu cammini fra gli umani. Ma sei invisibile».

Queste le parole di Yasmine Mohammed, la blogger di origini egiziane, cresciuta in una famiglia integralista, pur in Occidente, dove il secondo marito della madre, musulmano e poligamo, la picchiava e la obbligava prima ad indossare l’hijab e poi successivamente il niqab.

Il 1 Febbraio è stato riconosciuto come il “no Hihab day”, giornata in cui le proteste delle donne islamiche attiviste contro l’obbligo del velo, raggiungono il culmine. Da giorni ormai impazza nel web l’hashtag  #freefromjihab, per sensibilizzare sempre più individui su questo argomento, ma la vera domanda è quanto ne sanno le persone di questo tema?

Innanzitutto il primo errore in cui comunemente si incorre è quello di parlare di velo al singolare, dal momento che le tipologie esistenti sono almeno quattro. Quello più comune, usato dalla stragrande maggioranza è l’Hijab, il velo che copre il capo e al massimo il collo, lasciando scoperto il viso. A seguire lo Chador, il Niqab e infine il Burqa, tipico dell’Afghanistan che copre tutto il corpo, compreso viso e occhi alla cui corrispondenza è applicato un tessuto traforato. Lo “hijab” è stato più volte oggetto di discussione all’interno di enti governativi di vari stati europei, perché in realtà esso può essere interpretato in due modi differenti e al tempo stesso contrastanti tra loro. Da un lato lo “hijab” può essere visto come un elemento distintivo della cultura e della religione musulmana, dall’altro come una limitazione della dignità femminile. Tuttavia una donna che è costretta ad indossarlo senza il proprio volere, soltanto perché una società prettamente patriarcale glielo impone, non ha senso. Essere donna non è un male. È proprio per questa ragione che molte islamiche si stanno battendo per far valere i propri diritti. Le protagoniste della rivolta invitano tutte e tutti, compresi gli uomini, a postare sui social network la foto di un foulard appeso a un bastone. È la rievocazione della potentissima immagine della giovane attivista iraniana Vida Movahed, che sfidando il regime della Repubblica islamica di Teheran si era tolta il velo in strada ma era finita in carcere, poi liberata grazie alla pressione di un’imponente campagna internazionale.