Neonato positivo al Covid con febbre alta: nessun ospedale lo accoglie, costretto ad andare fuori regione
L’odissea di una giovane mamma che si è dovuta recare fuori regione per far visitare il piccolo lasciando le altre due bimbe infette a casa: “Siamo completamente abbandonati”
di Antonio Di Monaco
Ad oltre duemila anni di distanza quel “non c’era posto per loro nell’albergo”, riportato nei Vangeli e riferito al lungo peregrinare della Vergine Maria incinta del Bambino Gesù accompagnata da Giuseppe a Betlemme, si è trasformato in “non c’è posto per i neonati positivi al Covid negli ospedali molisani”. Lungi da paragoni inutili e fuori luogo, nella storia di una giovane mamma di un piccolo paese in provincia di Isernia si è avuto lo stesso peregrinare lungo e angoscioso non per alberghi o locande, ma per strutture ospedaliere. “Ho un bimbo di quasi tre mesi che due settimane fa è risultato positivo al Covid insieme con le altre sorelle più grandi – racconta Lucia (nome di fantasia) – e, quando ha avuto la febbre, ho pensato di farlo visitare per prevenire eventuali sviluppi gravi dell’infezione. Ho contattato il mio pediatra e non lo ha visitato in quanto positivo, ma mi ha consigliato di rivolgermi alle Usca (Unità Territoriali di Continuità Assistenziale deputate alla presa in carico e al monitoraggio dei pazienti in isolamento domiciliare in un progetto di potenziamento dell’assistenza territoriale deciso dal governo nazionale, ndr) che verranno a casa e lo visiteranno. Per attivare il servizio, si è impiegata una mattinata intera”.
Purtroppo, “i medici della Usca erano scettici sulla possibilità di venire a casa nostra per non prendersi una tale responsabilità e, in cuor mio – ammette Lucia – li ho capiti: medici senza esperienza e attrezzatura di base, sprovvisti persino di stetoscopio pediatrico, ma con il saturimetro per adulti che, evidentemente, non è adeguato ad un neonato. Per tutta risposta, loro stessi si sono messi in contatto con le strutture ospedaliere regionali: ‘Ad Isernia – gli è stato risposto – non si può perché non sono attrezzati e nemmeno a Campobasso esiste la possibilità di accogliere ed eventualmente ricoverare un neonato positivo al Covid’. Poi, hanno sentito alcune strutture di fuori regione. Alla fine, hanno ci hanno consigliato di recarci a Pescara e così abbiamo fatto”.
A questo punto, si potrebbe pensare ad un lieto fine della storia. Invece no, perché Lucia si mette in viaggio verso Pescara lasciando a casa le altre due bimbe positive e trascorre una notte non certo tranquilla nella struttura ospedaliera abruzzese dove il neonato viene accolto con tutte le accortezze del caso, “ma senza far pensare all’emergenza che nei nostri ospedali ci trasmettono essendo bardati come astronauti”, racconta Lucia e, finalmente, visitato. Per fortuna, “il bimbo non ha problemi alle vie respiratorie e, tantomeno, rischia complicazioni”, dice Lucia in un soffio. Il piccolo, però, è ancora positivo. “Dovrò farlo rivisitare e mi recherò di nuovo a Pescara”, afferma senza esitazioni la giovane mamma che, però, non le risparmia alla sua regione di residenza e a chi gestisce la sanità sul territorio: “Non abbiamo alcuna possibilità di accedere alle strutture con un neonato in quelle condizioni: siamo completamente abbandonati”. La stalla di Betlemme (in senso figurato), dopo oltre duemila anni, è (ancora) qui.