“Marketing mix”, co-marketing e co-branding: quando collaborare conviene

Rubrica a cura di Camilla Arco

Two is megl che uan”, diceva una vecchia pubblicità.

“L’unione fa la forza”, recita un famoso proverbio.

Nel mercato troppo spesso si pensa che questo non possa accadere. Che “collaborare” non sia il verbo da utilizzare ma che ci si debba focalizzare solo ed esclusivamente sul verbo “competere”.

Niente di più errato.

Certo è importante – per la sopravvivenza di un’azienda e dei suoi prodotti – che questa tenga bene a mente i suoi punti deboli e i suoi punti di forza e che li utilizzi sapientemente per conquistare la fetta di mercato che le consente di sopravvivere o, addirittura, vivere più che bene.

Ma, alcune volte, è importante anche allargare il campo di visione e sapersi coalizzare. Magari non proprio con un competitor, ma con qualcun altro, che condivide lo stesso sguardo ampio.

È quanto accade nel co-marketing, abbreviazione di cooperative marketing. Si tratta dell’alleanza tra più imprese che – insieme – intendono sfruttare le proprie risorse e le proprie competenze al fine di accrescere la propria appetibilità sul mercato o – più semplicemente – le proprie vendite.

Le attività messe in campo nel co-marketing, sono di natura temporanea ma si svolgono in maniera sinergica e richiedono una comunità di intenti e di visione. Gli obiettivi delle due aziende coinvolte possono magari differire, ma la sfera di valori che condividono deve essere la medesima.

Altrimenti il contratto – perché di questo si tratta in realtà – rischia inevitabilmente di venire meno.

Ma andiamo con ordine. La collaborazione tra due aziende può essere legata a diverse necessità: ottimizzare i costi di comunicazione; migliorare i servizi offerti al cliente; accrescere la propria immagine agli occhi del consumatore.

In ognuno di questi casi, si parla di co-marketing quando, entrambe le aziende, beneficiano in maniera reciproca della propria collaborazione.

Nel 2009, Coca-Cola lanciò la campagna “Tribute to Fashion”: le più grandi firme della moda avevano “vestito” alcune bottigliette di Coca-Cola con un abito che racchiudeva la loro filosofia e il loro credo. Il successo era garantito: un prodotto iconico con un outfit esclusivo.

I benefici lampanti: un percepito maggiore per Coca-Cola e una parvenza di accessibilità per i brand di lusso.

Nel 2011, Philadelphia & Milka hanno creato, insieme, una crema di formaggio spalmabile al cioccolato. Un’attività di co-marketing più impegnativa, che non si è limitata esclusivamente ad una collaborazione pubblicitaria ma ha dato vita ad un nuovo prodotto lanciato sul mercato sfruttando l’awareness di entrambi.

Esiste un altro termine che viene usato (e abusato) per definire alcune tipologie di collaborazioni di questo tipo: è co-branding. Vediamo insieme quali sono le differenze.

In letteratura, il co-marketing è definito “il processo mediante il quale due o piò operatori, privati o pubblici, svolgono in partnership una serie d’iniziative di marketing (organizzate, programmate, controllate) al fine di raggiungere obiettivi di marketing (comuni o autonomi ma tra loro compatibili), attraverso la soddisfazione dei consumatori” (Cherubini, 1999).

Mentre il co-branding è “un’alleanza tra due o più marche note che vengono presentate contestualmente al consumatore, dando luogo ad una nuova offerta o ad un’offerta percepita come diversa dal consumatore, grazie al supporto e alla presenza di una seconda marca (marca invitata)” (Hillyer e Tikoo, 1995).

Dalle due definizioni emergono due differenze fondamentali: il co-branding è da utilizzare nel caso in cui si alleino due marche note, mentre il co-marketing è più democratico; il co-marketing prevede l’organizzazione e la programmazione di iniziative marketing mentre il co-branding include anche la creazione di nuovi prodotti o nuovi servizi.

Un altro esempio di co-branding è il formato di pasta “Effe” creato da pasta Rummo e firmato da Fendi, divenuto oggetto di desiderio durante la Fashion Week di settembre 2020. Un’iniziativa innovativa e groundbreaking per Fendi (chi aveva mai inviato – come invito ad una sfilata – un pacco di pasta?) e quanto mai allettante per Rummo – che di certo non poteva esimersi dal cavalcare una passerella così importante (anche se digitale).

E poi Dolce & Gabbana e Fiasconaro (storica pasticceria siciliana) che unendo la creatività dell’uno e l’arte dell’altro, hanno creato una linea di panettoni in grado di fondere, encomiabilmente, le tradizioni e i valori cari ad entrambi.

E ancora H&M che, negli ultimi anni, è stata in grado di rendere la moda ancora più democratica grazie alla sua capacità di collaborare e creare collezioni con brand – fino ad allora – inarrivabili ai più: Moschino, Balmain, Roberto Cavalli, Karl Lagerfeld, Versace.

L’ultima, in ordine cronologico, la collaborazione tra The North Face & Gucci che hanno realizzato una linea esclusiva che unisce il mondo pratico ed essenziale del primo al mondo onirico e irriverente del secondo.

Insomma, la moda sembra non poter più fare a meno del co-branding – che sia con altre aziende di moda o con pasticcerie e pastifici.

Mentre Ferrero, insieme ad ENIT, l’Agenzia Nazionale del Turismo italiana, negli ultimi mesi del 2020 ha lanciato una nuova campagna: “Ti Amo Italia”, per celebrare la nostra meravigliosa penisola e le sue infinite bellezze. Una collezione esclusiva di barattoli di Nutella con le immagini più suggestive d’Italia e un tour virtuale nella nostra bella nazione: questi gli ingredienti di un’attività di co-marketing il cui obiettivo (comune sia a Ferrero che a ENIT) è quello di farci vedere da quanta bellezza siamo circondati.

E, incredibile ma vero, c’è anche il nostro Molise e le cascate di Santa Maria del Molise a rappresentarlo.