Lo sport nelle case circondariali

di Sergio Genovese

Molto spazio in questi giorni è stato dato alla notizia che in Regione il Coni risulta impegnato per portare un pallone o un bilanciere all’interno del carcere. Attività sempre da consolidare e da elogiare tuttavia non nuove considerando che negli anni novanta ( cioè  trent’anni fa) un gruppo di docenti di Educazione Fisica, misero in piedi una organizzazione che grazie alla disponibilità  dell’allora Direttrice del Carcere  Anna Maria Valerio, delle educatrici Giovanna Testa  e Daniela Brancaleoni e dell’energico Cappellano Don Saverio Di Tommaso,  ebbe una eco in campo nazionale al punto che si riuscì a portare al Campo Scuola tantissimi detenuti impegnati a sfidare in più di un’occasione, gli studenti del Liceo Scientifico di Campobasso nelle corse, nei lanci, nei salti nel calcio e nella pallavolo.  Non passi sotto gamba la notizia poiché è facile immaginare quali siano le difficoltà burocratiche  per portare decine di giovani fuori dall’Istituto in cui erano reclusi. Non furono manifestazioni in cerca di autori o di sciatta pubblicità progresso ma organizzazioni che partivano da lontano presupponendo un impegno settimanale all’interno delle celle gestito da esperti in  regime di autentico e non finto volontariato. Una sponda organizzativa veniva fornita anche dall’indimenticabile Giovanni Di Risio, purtroppo scomparso qualche giorno fa, che abbandonando i copioni delle attività teatrali che tanto lo prendevano, una mano per lo sport che pure lo appassionava, l’assicurava sempre. A mio parere però non è sufficiente  portare aria di sport nelle carceri se non si hanno preparazioni specifiche e soprattutto chiare predisposizioni nel materializzare la indole da educatore attento e propositivo.  Nelle carceri non deve andare un istruttore che valorizzi solo  la positività di un aspetto salutistico, versante questo sempre di più caratterizzante,   ma soprattutto colui che nello sport deve ricercare quel corredo di valori  per un compendio  educativo  e rieducativo che oggi persino il mondo accademico sembra voler abbandonare frustrato come è, ad idealizzare  massicciamente la forma igienico/fisica. Percorso assolutamente non facile ma da percorrere altrimenti qualsiasi iniziativa rischia di servire solo per trovare spazio raffigurativo sulle copie dei nostri giornali. L’impatto dovrebbe avere sempre e solo l’obiettivo della rieducazione che a volte l’agonismo di una partita di pallone ( per fare un esempio) non sempre facilita. Infine c’è da dire che le nostre strutture carcerarie non posseggono spazi idonei per fare sport, tutto quello che si è fatto e si continua a fare è frutto di adattamento trasformando le celle anche in piccole palestre. Al netto di tutto però, portare aria di vita tra le sbarre, è un evento sempre da condividere pur restando attenti a comprendere se  tutto serva alle immagini o alla sostanza. Propendendo per la seconda ipotesi, ci aspettiamo che le attività crescano per ritrovare il Campo Scuola di Campobasso riempito di giovani che un giorno lo sport lo praticavano per strada e non chiusi tra le mura di austeri edifici di riabilitazione sociale.