Liceo Fascitelli, la lettera di Melogli emoziona il web
Su Facebook spopolano i ricordi dell'ex sindaco, che racconta com'era il Fascitelli di Isernia cinquanta anni fa
Spopolano su Facebook i ricordi di Gabriele Melogli, ex sindaco di Isernia, per la durata ”record” di dieci anni, che racconta com’era il liceo classico Fascitelli cinquanta anni fa, ai tempi della sua gioventù. Melogli ha voluto aprirsi e raccontare l’Isernia degli anni ’60, a metà tra paesone e città, ricordi indelebili, ma anche una notevole pagina ”letteraria” di vita vissuta, perchè Gabriele Melogli sarà sicuramente stato un ottimo sindaco, ma oggi lo scopriamo anche come ottimo scrittore. Eccoli i suoi ricordi di cinquanta anni fa:
«Tornare indietro con la memoria ai tempi del liceo e, quindi, ai primi anni 60, rivivere le sensazioni e le speranze di quel periodo, al tempo stesso vicino e lontano, raffrontandolo con il presente è operazione che induce a riflessioni e bilanci, non sempre positivi, propri della stagione della vita che stiamo vivendo. Vivevamo, noi studenti del Liceo Classico “Onorato Fascitelli”, in un’atmosfera quasi surreale, convinti come eravamo di appartenere, per condizione sociale o per diritto di nascita, ad una categoria elitaria dalla quale sarebbe uscita la classe dirigente del domani. E così (oggi capisco quanto erroneamente!!) ci sentivamo superiori agli studenti delle altre scuole, pur non eccellendo (parlo ovviamente di mel) in alcuna disciplina scolastica. Quella dei primi anni ’60 era una scuola completamente diversa dall’attuale. Erano ancora relativamente lontani, soprattutto in una piccola realtà come Isernia, i fermenti giovanili che poi sfociarono nella contestazione del 68; la nostra vita di studenti imponeva solo doveri e rinunzie, in un’atmosfera di assoluto rispetto nei confronti dei professori, spesso temuti perché arbitri assoluti dei nostri destini scolastici, espressi esaustivamente in valori numerici, giammai contestabili e, per quanto ne so, contestati. Noi non seguivamo le tendenze della moda! Non ne avevamo le possibilità economiche, né il consumismo e la pubblicità erano arrivati a condizionare prepotentemente le nostre scelte e le nostre vite. Le ragazze che frequentavano il Liceo indossavano un grembiule nero, con un’unica eccezione per l’ultimo giorno di scuola quando, cioè, in un clima di libera, uscita venivano scattate le foto-ricordo della classe. Per noi maschi non c’era l’obbligo della “divisa” ma, comunque, non ricordo mai tra noi una discussione che avesse ad oggetto la moda; le scarpe ed i vestiti si acquistavano ai cambi di stagione o, più frequentemente, quando si consumavano. Non avevamo (tranne i più fortunati) neppure le tute e le scarpe da ginnastica. La nostra vita scorreva in modo lineare, senza sussulti, scandita dai tempi della scuola e dalle feste di compleanno degli amici. Non frequentavamo discoteche (che almeno ad Isernia non esistevano) né c’era l’abitudine (e per le ragazze neppure la possibilità!) di uscire dopo cena o il sabato sera per la pizza. Insomma, per farla breve, non avevamo né possibilità né stimoli, per cui non vivevamo quella condizione di emarginazione o di disagio che avvertono spesso i giovani di oggi. Non conoscevamo, ovviamente e per fortuna, neppure l’esistenza della droga, limitandosi le nostre trasgressioni a qualche “bevuta” in occasione delle feste in casa di amici. Non frequentavamo palestre o piscine, assolutamente inesistenti, né sentivamo la necessità di “diete” perché, almeno noi ragazzi, passavamo i nostri pomeriggi facendo lunghe passeggiate su corso Garibaldi impegnati in discussioni sui temi più vari, spesso inerenti la scuola e i nostri docenti, che ricordo tutti con grandissima stima, anche quelli più severi, come il Prof. Capossela, insegnante di filosofia, che raramente ci intratteneva in spiegazioni, ma spesso ci induceva a riflettere su cose anche banali di cui ci mostrava un diverso angolo di visuale. Ricordo con affetto la Prof. De Luca, ottima insegnante di latino e greco, ma troppo buona per le nostre giovanili esuberanze, e il professore di italiano, Domenico Samuele, detto ”Mimì” con il quale si era instaurato un clima di cordialità e quasi di complicità, almeno con quelli tra noi che reputava più svegli.
Vorrei raccontare alcuni episodi che lo videro protagonista di vere e proprie ”goliardate”, ma dovrei avere il tempo per farlo e una penna da scrittore che, purtroppo, non ho. Avevo ottimi rapporti con tutti gli alunni del Liceo ma, anche per ragioni logistiche, le frequentazioni più assidue avvenivano con il mio compagno di banco, Franco Petrecca, attuale docente di matematica, con il quale iniziai la stesura, sulla falsariga dell’Orlando Furioso, di un romanzo in versi: “IL PEPPIN FURIOSO” che raccontava le gesta amorose di due compagni di classe di cui, per discrezione, taccio i nomi.
I rapporti con mia madre, Preside del Liceo, erano conflittuali, basti pensare che spesso figuravo tra gli organizzatori di scioperi, privi, ovviamente, di ogni giustificazione (uno degli ultimi mi costò un 5 in condottal!!) e che, come mia professoressa di italiano (incarico, che dovette assumere per l’improvvisa scomparsa del titolare di cattedra) mi rimandò a settembre nella sua materia perché rifiutai sempre ogni interrogazione orale. Che dire di quel Liceo?
A distanza di tanti anni – pur ammettendo di non essermi impegnato negli studi e di non essere stato certo un alunno modello – debbo riconoscere che la formazione che ho ricevuto mi ha aiutato moltissimo nelle scelte professionali e nella vita, fornendomi non solo un bagaglio culturale, che gelosamente custodisco nella memoria, ma anche un metodo di ragionamento indispensabile per comprendere, anche oggi, la realtà che ci circonda. Credo che una scuola di qualità sia assolutamente necessaria per i nostri giovani, convinto come sono che “un popolo tanto più può quanto più sa”. Per concludere, rivolgo un saluto affettuoso al dirigente scolastico, all’intero corpo docente, a tutto il personale ATA e agli alunni dell’ONORATO FASCITELLI, ai quali formulo i migliori auguri per un avvenire brillante nella migliore tradizione dell’istituto».