Licenziamenti tra “mancanza disciplinare e sanzione da irrogare”

Una recentissima sentenza della Cassazione (n. 35581 dello scorso 19 novembre) ripropone il tema delle necessaria proporzione tra la mancanza disciplinare nella quale incorra un lavoratore e la sanzione da irrogare.

Il caso ha riguardato un dipendente di un supermercato emiliano, appartenente a un noto marchio della grande distribuzione.

Contravvenendo alle disposizioni aziendali, era stato sorpreso a mangiare in servizio, con prodotti dell’esercizio commerciale del valore complessivo di otto euro e, quindi, licenziato.

I Giudici hanno ritenuto che la condotta, pur sicuramente antiprecettiva, tenuta dal lavoratore andava affrontata con una sanzione conservativa (sospensione temporanea dal servizio, multa, rimprovero) e non espulsiva (appunto, il licenziamento).

La decisione appare corretta, in quanto solo la fattispecie che leda in modo irrimediabile il vincolo di fiducia, che deve legare lavoratore e datore di lavoro, può dar luogo a un licenziamento, perché il venir meno della fiducia non consente la prosecuzione, nemmeno temporanea, del rapporto di lavoro.

Trattasi di una valutazione di proporzionalità che può essere compiuta o dal contratto collettivo, che eventualmente tipizzi determinate condotte da sanzionare con il recesso del datore (o con una sanzione meno estrema) oppure compiuta dal Giudice, sulla base di una specifica argomentazione sulla gravità, in concreto, del fatto.

Nell’ipotesi in discorso la vicenda era espressione di una debolezza del dipendente, il quale spinto dalla fame si era abbandonato a consumare qualcosa, che per il lavoro che svolgeva aveva peraltro a portata di mano.

Per le disposizioni aziendali vigenti non doveva farlo o comunque doveva preventivamente avvertire il datore di lavoro.

Ferma, dunque, l’illiceità della condotta del lavoratore, appare illegittima la misura estrema del licenziamento, né è possibile invocare in senso contrario quella diversa giurisprudenza costruita per le condotte disciplinari costituenti reati contro il patrimonio, che anche per sottrazioni di modesto  valore ritiene sempre l’irreversibile rescissione della fiducia.

Nel caso di specie, infatti, la condotta antigiuridica tenuta non era tanto finalizzata a sottrarre fraudolentemente un bene all’azienda, quanto ad approfittare della particolarità del contesto lavorativo per soddisfare, pur in modo non ortodosso, un bisogno, quindi con una peculiare e meno grave caratterizzazione dell’elemento psicologico.

Vi è, però, una particolarità.

Quando il licenziamento, come nel caso indicato, è ritenuto dal Giudice sproporzionato, perché la condotta, pur illecita, non è tanto grave da meritare il licenziamento, ma alcunché di specifico preveda il contratto collettivo in ordine alla sanzione da applicare, il lavoratore, dopo la riforma Fornero del 2012, non viene reintegrato nel suo posto di lavoro, ma solo risarcito con un’indennità, che può arrivare sino a ventiquattro mensilità della retribuzione ultima goduta. Dunque, addio al posto di lavoro, anche se il licenziamento è illegittimo.

                                                      Daniele Colucci