di Giuseppe Carozza
Forse mai, almeno a quel che è dato ricordare dalla nostra memoria, le strade della nostra regione sono state – loro malgrado – muti testimoni di un numero così impressionante di incidenti come quello che si è registrato negli ultimi giorni. L’elemento tuttavia più drammatico è che non si tratta di semplici eventi che, già di per sé, comportano conseguenze non sempre agevoli sul piano fisico e/o legale, ma di fatti accompagnati da una scìa quanto mai lunga di lutti e di sangue. Certo, lascia sempre attoniti la morte, sia che avvenga in casa propria sia lungo la corsia di un ospedale; ma non c’è dubbio che perdere la vita su di un anonimo selciato in seguito ad uno scontro frontale con un altro autoveicolo, magari di ritorno da una serena giornata vissuta in villeggiatura con i propri cari o, ancor di più, al termine del proprio turno di lavoro: tutto questo non può lasciare indifferenti o, comunque, commuoverci unicamente sul momento, derubricando poi il tutto come semplice frutto di un destino avverso o di un non meno insignificante: <<così doveva andare…>>. A ben rifletterci, si ha come l’impressione che simili eventi si verifichino quasi sempre in periodi abbastanza identificabili della nostra quotidianità: quando, ad esempio, si viene fuori da un lungo tempo di “inattività”, magari anche forzata (come quella dell’ultimo lockdown dovuto alla pandemìa) e in conseguenza della quale non si vede l’ora di riprendere in tutto – anche negli eccessi – i ritmi di vita consueti ma, soprattutto, durante l’estate. Se ci si fa caso, infatti, è proprio durante la stagione delle vacanze che il numero delle vittime per incidenti stradali diventa, sotto certi aspetti, esponenziale.
Come si scriveva in precedenza, sarebbe troppo banale parlare unicamente della forza cieca del destino, pur riconoscendo anche alla fatalità un suo ruolo imponderabile: in fondo, un malore dell’autista o di un motociclista (che brutto definire quest’ultimo “centauro”, dando a questo termine un valore che non ha in nessun modo né etimologicamente né metaforicamente…) o il malfunzionamento di una parte meccanica della propria utilitaria sono fattori non sempre facili da prevedere; a determinare in qualche misura la positività o la negatività del nostro agire contribuisce, senza mezzi termini, il rispetto della vita propria e degli altri che alberga in ciascuno di noi. Che senso di inquietudine (ma anche di impotenza…) si affaccia nel nostro animo quando, viaggiando, si riscontra che uno dei criteri maggiormente applicati da tanti automobilisti nel percorrere strade ed autostrade è essenzialmente quello della velocità: novello senso di onnipotenza che, complici anche autovetture a fortissima cilindrata, fa sentire il guidatore un superman a discapito della sicurezza propria e del prossimo. Che dire poi di tutti coloro che si mettono alla guida sotto l’effetto sconvolgente dell’alcool o, ancora peggio, di sostanze psicotrope assunte magari durante le follie notturne all’interno di una discoteca o mentre si è stati intorno ad un apparentemente nostalgico ed innocente falò acceso sulla spiaggia… L’impressione è che, purtroppo, l’automobile e qualsiasi oggetto di locomozione in genere, da puri strumenti di attività e comunque al servizio dell’utente, si stiano trasformando sempre più in oggetto con cui dimostrare un non meglio identificato status simbol, in barba a qualsiasi senso di sicurezza e di rispetto delle regole.
Quali, a questo punto, le proposte urgenti da suggerire per non rimanere nel vago buonismo, anticamera per lo più del “tutto come prima”? Certo, tante sarebbero le riflessioni da proporre ma che, ne siamo più che certi, attraverso la pura denuncia mediante la comunicazione, non sortirebbero alcun risultato. Il nostro modesto punto di vista è che occorre ricondurre tutti, ma in particolar modo gli adolescenti e comunque i giovani nel loro insieme, a riflettere sul valore imprescindibile e, perché no, anche sacro della vita. È noto che quando si scomodano certe tematiche, per buona parte della cultura e del politicamente corretto contemporanei, è come se si manovrasse contro il modo di pensare del manovratore di turno che deve, in qualche misura, dettare i ritmi del pensare e dell’agire quotidiani; ma è fuori dubbio che se non si torna a porre al centro del nostro dibattito il valore della vita, in ogni sua forma ed in ogni sua fase, qualunque altro suggerimento avrà i connotati del semplice messaggio pubblicitario, capace quindi di colpire solo per un istante, ma inadeguato a scavare in profondità nella mente e nel cuore dei nostri figli e, in particolare, dei ceti più deboli della presente generazione. Certo, è anche una questione culturale: finché infatti si continua a manipolare le coscienze – attraverso anche la pubblicità – con il mito dell’arrivare per primi, nella corsa della carriera o, più semplicemente, alla mèta turistica delle nostre vacanze, non interessandosi degli altri o di chi ti sta vicino, stiamo pur certi che si continueranno a contare vittime sulle strade, ritenendole quasi una sorta di tributo da pagare alla macchina del progresso e del consumismo a tutti i costi.