XXI Domenica del Tempo Ordinario
I versetti offerti da questa liturgia domenicale segnano un passaggio molto importante nella narrazione evangelica trasmessa da Matteo: Gesù chiarisce una volta per tutte la sua identità e il suo ruolo ai discepoli più intimi; nonostante ciò Egli li invita a mantenere il segreto, i tempi infatti ancora non erano maturi, cercheremo a tal proposito di capire il perché. Affronteremo inoltre alcuni versetti che sono per la cristianità, al contempo motivo di unione e divisione. Gesù sembra infatti designare Pietro come suo successore nella guida dei discepoli. Tuttavia i dubbi su chi fosse “il più grande” e quindi il più autorevole erano ancora lontani dall’essere chiariti (cfr. Mc 9,33-34; 10,32-34; Mt 20,20-28; Lc 22,24-27)
Commento a Matteo 16,13-20
+In quel tempo, Gesù, giunto nella regione di Cesarèa di Filippo, domandò ai suoi discepoli: «La gente, chi dice che sia il Figlio dell’uomo?». Risposero: «Alcuni dicono Giovanni il Battista, altri Elìa, altri Geremìa o qualcuno dei profeti». Disse loro: «Ma voi, chi dite che io sia?». +
Questo brano evangelico rende ulteriormente chiaro come, nella propedeutica di Gesù, fosse importante che i discepoli siappropriassero di nuove categorie, diverse da quelle utilizzate dalla folla. Le questioni poste dal maestro non erano dettate da semplice curiosità, ma scaturivano da una finissima strategia che doveva spingere i discepoli a fare un serio discernimento sull’idea che si erano fatti di lui. Le due domande funzionavano come un setaccio: la prima serviva ad escludere subito le opinioni grossolane provenienti dalla folla mentre, la seconda, doveva far luce sugli errori più sottili di interpretazione derivanti dalle idee personali di ciascuno dei suoi più fedeli seguaci, ma non solo, tutti erano stati messi davanti a un bivio: riconoscere o meno Gesù come Messia. Il metodo escogitato da Gesù funziona ottimamente: esso infatti dimostra agli stessi discepoli quanto le loro idee a riguardo fossero confuse e disordinate; se infatti il giudizio della folla era sbagliato, il silenzio dei più tradiva la loro impreparazione o, peggio, le riserve e le paure.
+ Rispose Simon Pietro: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente». E Gesù gli disse: «Beato sei tu, Simone, figlio di Giona, perché né carne né sangue te lo hanno rivelato, ma il Padre mio che è nei cieli.+
Solo Pietro ha avuto l’ardire di rispondere, una certezza si era fatta strada in lui: non l’intuito, non la ragione, non una semplice convinzione da accettare passivamente, ma una presenza, che accolta, ha parlato in lui: lo Spirito Santo. Gesù lo chiama “figlio di Giona” ovvero, proprio come il profeta che nonostante la sua resistenza ai richiami di Dio, finisce con il fare la sua volontà e diventare la sua voce.
+E io a te dico: tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le porte degli inferi non prevarranno su di essa. A te darò le chiavi del regno dei cieli: tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli». Allora ordinò ai discepoli di non dire ad alcuno che egli era il Cristo.+
Così Simone di Cafarnao da “Pietro” (soprannome che indicava la sua caparbietà) diventa “Pietra” scelta per l’edificio spirituale che il Cristo vuol edificare. Chiunque accoglie lo Spirito Santo diventa suo ministro e con Lui si fa dispensatore di Grazia e Salvezza. Pietro che, attraverso la sua pronta testimonianza, ha dimostrato di essere più avanti rispetto agli altri, si rivela essere quel servo che merita di avere non uno, ne 5, ma 10 talenti (Mt 25,14-30), ovvero: la pienezza della Grazia ministeriale, perché possa davvero essere, assieme al collegio apostolico, continuità di Cristo nella storia . È su uomini e donne come lui che Dio può contare per edificare il nuovo edificio spirituale fatto da “pietre viventi”. Le porte degli inferi sono quei cuori ostili, da cui procede ogni male (cfr. Mc 7, 14-23). Terribile immagine: come dal cuore accogliente di un uomo può sgorgare la Grazia dello Spirito, così un animo sordo al sussurro di Dio può diventare la porta che permette alle “potenze degli inferi” di fare il male nel mondo, ma queste porte saranno sigillate. Le chiavi affidate al primo degli apostoli, rappresentano l’autorevole ruolo per cui si è distinto: “servo dell’unità”, colui che ha saputo più di tutti ricucire gli strappi del tessuto ecclesiale alle sue origini.
Negli altri scritti del nuovo testamento possiamo vedere come lo sforzo di Pietro fosse completamente rivolto a tutelare l’unità della chiesa nascente, la quale si stava già dividendo sull’interpretazione degli insegnamenti di Cristo e quelli della Torah. Egli è il primo ad insistere sul battesimo dei pagani e l’abolizione dell’obbligo di seguire le centinaia di precetti previsti dall’antica tradizione (Atti 10,34-35. 45-47). Ed è anche colui che si è fatto ponte tra i discepoli di Paolo (che insistevano su una libertà più marcata rispetto alle antiche leggi) e quelli di Giacomo, ancora in tutto e per tutto ebrei praticanti (Atti 15,1-33). Da notare che Pietro non era affatto visto come “un monarca” nella chiesa delle origini, ma senz’altro a lui veniva attribuita una grande autorità, specie sulle questioni più spinose e delicate. Questo ruolo è poi stato trasmesso alla chiesa di Roma, dove “Cefa” ha esercitato i suoi ultimi eroici anni di ministero e a cui ha consegnato il prezioso deposito della Fede. Da allora l’”episcopus” di Roma è stato ritenuto “primus inter pares” tra i patriarchi cristiani, senza mai escludere, importante ribadirlo, la dimensione collegiale.
San Clemente, tradizionalmente considerato il primo successore di Pietro, ha esercitato il suo ministero nel I secolo. Dalla documentazione pervenuta si è appreso che il suo ruolo fu fondamentale per risolvere il conflitto che lacerò la comunità di Corinto, fondata da Paolo. Sappiamo che scrisse lettere ed inviò anche dei suoi rappresentanti al fine di placare il dissidio. È interessante notare come questa comunità abbia riconosciuto l’autorevolezza dell’intervento messo in atto da Clemente.
Nel II secolo, Sant’Ignazio di Antiochia riferendosi a Roma la definisce come “colei che presiede la carità”. mentre Ireneo di Lione accenna ad ruolo speciale delle sede petrina: “Perché con questa Chiesa, a causa della sua preminenza speciale, deve concordare tutta la Chiesa, ovvero i fedeli di tutto il mondo; perché in essa si è sempre mantenuta la successione apostolica con coloro che sono di ogni parte”.
Durante l’epoca dei concili, resi necessari dai problemi dottrinali sorti in oriente durante il corso del I millenio, Roma è stata sempre presente attraverso una rappresentanza. Troviamo altre conferme nelle antiche tradizioni: prima della frattura con la chiesa bizantina l’ordine dei patriarcati era il seguente: Roma, Costantinopoli, Alessandria, Antiochia e Gerusalemme.
Dal concilio Vaticano II la chiesa di Roma è tornata con grande entusiasmo a prodigarsi per l’unità dei cristiani, confermando così l’antica vocazione della chiesa romana.
Ritorniamo ora ai versetti sopracitati. Cosa potrebbe voler dire “dare le chiavi” a qualcuno se non affidargli piena fiducia e responsabilità? A chi dareste la possibilità di accedere a casa vostra se non a una persona che ha la vostra fiducia completa? Se poi colleghiamo il regno dei cieli a ciò che esso rappresenta, ovvero: Cristo e la sua ekklesia, il significato allegorico si rivela: sarà Simone di Cafarnao il primo servitore del regno. L’immagine del legare e dello sciogliere menzionata da Gesù, nel linguaggio rabbinico, si accosta molto al più familiare concetto di discernimento spirituale: ciò che è di Dio sarà legato al cielo e quindi avrà gli attributi dell’eternità e della giustizia; quello che sarà legato alla terra ne condividerà le caratteristiche: mutabilità e imperfezione. È evidente che a Pietro verrà affidata una grande responsabilità, oltre che un grande dono di Grazia, in vista della sua missione. Il brano si conclude con un deciso invito a mantenere il segreto, segno che la volontà dei discepoli andava in direzione del tutto opposta. Essi volevano infatti avrebbero voluto proclamare a tutto Israele che Gesù era il Messia per farne un re di questo mondo. Gesù ha invece voluto che il suo mistero fosse apertamente rivelato solo dopo la sua Resurrezione e ascensione: il Regno che Dio vuole edificare non ha confini, tribunali o eserciti, e ha come capitale la Gerusalemme celeste; il Cristo non ha mai voluto fondare uno stato come lo si intende normalmente, anche se purtroppo la storia ci testimonia numerosi fraintendimenti a questo proposito, a volte vergognosamente tragici. I suoi ministri e i suoi sudditi sono chiamati ad attraversare i regni di questo mondo come pellegrini e forestieri, anche se impegnati rispetto alle relative responsabilità di cittadini, ma consapevoli che ogni legge contraddicente la Carità e irrispettosa verso la dignità delle creature di Dio, non è più considerabile come un vincolo.
Felice Domenica
Fra Umberto Panipucci