Il “credito al consumo” è l’invenzione che ha contribuito ad intaccare il sistema di risparmio dei lavoratori.
Con l’illusione di poter acquistare qualsiasi cosa (ideata negli anni ‘50, promossa nei ‘60, imposta nei ‘70, esplosa negli ‘80-’90 e implosa oggi), si è conseguita e realizzata la più grande rivoluzione che il mondo abbia mai conosciuto, quella monetarista del “quì ed ora” senza preoccuparsi del domani, con l’aggravante facilitante della virtualità del commercio elettronico: spostare numeri su uno schermo è meno rischioso che attraversare il farwest con una diligenza carica d’oro o solcare gli oceani con un galeone carico di dobloni e altri tesori.
In principio l’acquisto rateale era riservato a beni immobili (mutui a tassi non usurari emessi con moneta sovrana) o a beni costosi (finanziarie dedicate a svolgere pratiche per compravendita di mezzi di trasporto o diporto). Quando tale pratica si è spostata su procedure di acquisto relative a beni dal costo affrontabile con il risparmio di soli sei mesi, tali beni hanno subito un immotivato lievitare del prezzo al pubblico a fronte di costi di produzione delocalizzati e di valore intrinseco e commerciale sempre più bassi.
La “sindrome russo-cinese”
L’imposta sul valore aggiunto (IVA), pertanto, perde di significato (se mai ne ha avuto nell’applicazione su beni irrilevanti o di prima necessità).
Per tutta risposta, i governi (quello italiano in particolare) hanno “lavorato” nella direzione esattamente contraria, anziché diminuire la tassazione, l’hanno incrementata decretando la fine delle PMI e spesso la morte dei loro dipendenti e titolari: suicidi di Stato, li hanno definiti.
Uno spettrale -33% appariva nei dati ISTAT di riferimento, che, verosimilmente, si è poi tradotto in una perdita sostanziale nell’introito delle casse erariali.
Tuttavia, non essendo un economista, lascio le deduzioni illuminate ai “professori emeriti”.
Occorre dire, però, che ciò ha sortito un duplice effetto: quello di far indebitare le famiglie per avere un televisore o un divano su cui guardarlo ipnotizzati e quello di non aver investito in un bene rivalutabile, ma in un qualcosa che, a partire dal preciso momento dell’emissione dello scontrino, vale meno di zero su un ipotetico mercato dell’usato.
Questo è ciò che fa la fortuna dei franchising dei mercatini, ove conviene acquistare, ma non conviene assolutamente porre in conto vendita, se non merce che altrimenti avremmo portato in discarica (ove spesso finisce in ogni caso, peraltro).
Senza una inversione di tendenza che avvenga per spontaneità attiva e non in modalità fisiologicamente passiva, siamo destinati al collasso economico.
È questo un disegno criminale?
Russia e Cina sono pronte a detenere le nuove posizioni economiche predominanti?
Complottisti e anticomplottisti si danno sterile battaglia in proposito.
Il problema, complotti o meno, rimane e andrebbe affrontato senza pregiudizi.
Articolo Precedente
Notte dei ricercatori. Il Neuromed avvicina i cittadini alla scienza
Articolo Successivo