L’arma bianca nelle tasche

di Sergio Genovese

La cronaca nera italiana, sempre più costantemente , pone in evidenza le abitudini che stanno prendendo i nostri ragazzi di portare nelle tasche coltelli che se pure vietati, danno “sicurezza” a chi sta crescendo con l’indole dell’offesa oppure della strenua difesa. Per l’una e l’altra ragione, la modalità  di comportamento spalanca le porte alla drammaticità che si vive per le strade della movida poiché tutto risulta potenziato  dall’uso dell’alcol e della droga che è ormai dilagante. Da Aosta a Marsala i giornali e le tv ci raccontano episodi sconcertanti di risse affrontate con le lame che svolazzano nel tentativo di andare a colpire. Se riflettiamo per un solo centesimo di secondo possiamo capire quale è l’habitat dove si muovono  i nostri figli ed i nostri nipoti. La violenza del branco, quella vigliacca che prevede l’assalto contemporaneo di più persone nei confronti di una sola, è quella che rifrange nelle immagini che corrono nei social. La indifferenza e la ignominia di chi assiste senza fare nulla per evitare che certe cose accadano, pone tutti,  offensivisti  e neutralisti, sullo stesso livello di  gravissimo disagio sociale. Lo Stato, consapevole della pericolosità  raggiunta, continua a fingere di non capire. Questo è l’aspetto più preoccupante. Non si è ancora compreso che se un ragazzo esce  di casa per il solo desiderio di divertirsi, rischia di incontrare situazioni come quelle sopra narrate. E’ questo il focus che in tanti non si sono posti. Certo famiglie e Scuole sono corree  ma lo Stato, con le sue derivazioni, come sta affrontando il problema? Mai abbiamo sentito Mattarella o Draghi interessarsi delle disfunzioni sociali palesemente evidenti, mai li abbiamo sentito parlare di droga e di alcol, mai il Ministro della Pubblica Istruzione si è sentito coinvolto nel rimarcare   la voragine dove si stanno facendo risucchiare i ragazzi. Mai il Ministro della salute Speranza ci ha spiegato cosa significhi per una Nazione ritrovarsi adulti a 40 anni tutti ammalati di cirrosi. Si tende a parlare solo in positivo enfatizzando  lo spirito scoutistico dei giovani ma la realtà è molto ben diversa da quella che si vuole raccontare. Proprio tale, incerto comportamento, dimostra che quell’attenzione che si vuole propagandare per le nostre giovani generazioni non è vera ma solo di circostanza. Rinunciare alla denuncia disperata ed urlata significa voler nascondere la polvere sotto il tappeto. Pensare di avere un figlio quindicenne che esce di casa tenendo in una tasca il coltello e nell’altra la dose di hascisc,  è raccapricciante. Chi pensa che l’allarmismo che trasuda da questo scritto sia esagerato è colui che probabilmente conosce tutto e lo derubrica  per non vivere di pensieri e preoccupazioni. Mi raccontano alcuni amici napoletani che le movide settimanali hanno un saldo pauroso di problemi per coma etilico, overdosi, ferite per accoltellamenti o per lancio di bottiglie appositamente rotte per aumentarne l’offesa. Ma il piacere delle risse viaggia spedito nel megafono dei social dove le sfide avvengono anche  senza un preciso motivo. Questo è lo scenario che troneggia nei luoghi di aggregazione dei nostri ragazzi dove basta una scintilla o uno sguardo trattenuto, per premere il tasto che fa uscire la lama. E’ ora che chi ha il compito di intervenire lo faccia. Anche il Sindaco sempre deciso per altre vicende del nostro sociale, esca da certi tentennamenti e si unisca alla denuncia che ha solo l’interesse di salvare quello che ancora si può salvare. Deve essere chiaro che quelli che per fortuna  non hanno il coltello non sono immacolati perché  sono gli stessi che nel pieno delle proprie gioie deliranti, devastano la città prendendosela con la chitarra della statua di Fred Buongusto.