L’accesso agli atti in una recente sentenza del Tar Molise

IL DIVIETO ACCESSO AGLI ATTI

STRUMENTALE A PRECOSTITURE PROVA IN SEDE CIVILE

NELLA SENT. N. 296/2018 EMESSA DAL T.A.R. MOLISE

 di Piero Vitullo, Avvocato dello Stato

e Francesca Muccio, Dottore in Giurisprudenza, ammessa a svolgere la Pratica Forense presso l’Avvocatura dello Stato di Campobasso

  1. La questione controversa

La questione di cui si tratta trae origine da una richiesta di accesso agli atti avanzata, in sede amministrativa, al fine di comprovare, in sede civile, l’esistenza di un credito vantato da un Consorzio, e dunque da un soggetto privato, nei confronti di un ente pubblico, la Regione Molise.

Più in particolare, ottenuto favorevole pronunciamento circa la sussistenza di un credito di lavoro da parte del Tribunale di Campobasso – sezione Lavoro (sent. n. 187/2015), a seguito di formale ingiunzione di pagamento al Consorzio rimasta insoddisfatta, la ricorrente si è vista costretta a procedere esecutivamente nei confronti dell’Amministrazione, terza pignorata in altro procedimento, esecutivo, ex art. 543 e ss. c.p.c..

Quest’ultima, benché regolarmente intimata, non ha reso la prescritta dichiarazione concernente il rapporto di debito/credito intercorrente con il Consorzio. Così, nell’ambito del procedimento per l’accertamento dell’obbligo del terzo di cui all’art. 548 c.p.c., essendole richiesto, dal Giudice dell’esecuzione, di fornire la quantificazione del credito del debitore esecutato (lo stesso Consorzio) nei confronti del terzo pignorato (la Regione Molise), la ricorrente ha formulato istanza di accesso agli atti alla Regione, utile allo scopo.

Tuttavia, decorsi 30 giorni dall’istanza di accesso senza ricevere riscontro alcuno, la ricorrente ha adito il T.A.R. Molise chiedendo l’annullamento del silenzio rigetto dell’Amministrazione, l’accertamento e la declaratoria del diritto di accesso agli atti richiesti e la conseguenziale emanazione dell’ordine di esibizione, nonché il rilascio di copia di atti e documenti.

  1. La sentenza n. 296/2018 emessa dal T.A.R. Molise

Definitivamente pronunciando sulla questione, il T.A.R. Molise, con sentenza n. 296 depositata in data 21.5.2018 (e pubblicata sulla Gazzetta Amministrativa del 27.5.2018), ha respinto il ricorso, integralmente accogliendo le difese dell’Amministrazione regionale e compensando le spese, data la “particolare rilevanza degli interessi fatti valere e alcuni profili di novità sottesi al giudizio”.

Il Tribunale molisano ha affermato il principio per cui l’accesso agli atti amministrativi non può essere preordinato a precostituire prova utile in sede civile e ha, peraltro, specificato che tale assunto non resta scalfito dall’ulteriore principio per cui “la Pubblica Amministrazione può sempre essere destinataria di istanza di accesso civico generalizzato, nell’ambito della fase preparatoria e provvedimentale finale, per quella che è la attività sua propria, in quanto diretta alla cura imparziale ed efficiente degli interessi individuati dalla legge”.

Il T.A.R. ha, inoltre, evidenziato che, mentre l’accesso agli atti deve essere sostenuto dall’interesse qualificato dell’istante rispetto al contenuto dell’atto o documento richiesto, l’accesso civico è finalizzato a favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull’utilizzo delle pubbliche risorse.

Esso intende promuovere la partecipazione al dibattito pubblico “nei confronti specificamente dell’apparato della Pubblica Amministrazione in senso stretto”.

L’accesso agli atti incontra, però, dei limiti, rispondendo “ai principi costituzionali di buon andamento dell’agire amministrativo, ma pur sempre nell’ottica dei rapporti tra Pubblica Amministrazione e privati e non già per surrogare gli strumenti probatori civilistici” (ossia, per la questione che ci occupa, l’ordine di esibizione); e ciò, tanto più nel caso di specie, vantando la ricorrente un diritto di credito nei confronti dell’Amministrazione resistente non concernente un interesse pubblico curato dall’Amministrazione medesima.

In altri termini, il T.A.R. ha considerato inammissibile un’istanza di accesso agli atti non solo funzionale a precostituire prova in sede civile, ma inerente ad un rapporto privatistico (di debito/credito) con l’Amministrazione medesima, neppure ascrivibile alle finalità istituzionali di quest’ultima.

Quindi, per il T.A.R. Molise, l’ammissione, in un caso similare, dell’istanza di accesso agli atti avrebbe causato uno svantaggio processuale per la Regione, che si sarebbe vista costretta ad ostendere una mole, anche cospicua, di atti concernenti privati, con evidente compromissione del principio di parità di trattamento (ex art. 24 Cost.).

Al contempo, si sarebbe determinato, per la parte privata, “un obiettivo indebito vantaggio rispetto all’altra per il solo fatto di essere coinvolta un’Amministrazione”.

  1. Commento

Si ritiene di condividere l’impostazione sottesa alla sentenza n. 296/2018 del T.A.R. Molise per le argomentazioni di seguito illustrate.

Con riguardo a un atto di carattere privatistico, va anzitutto rilevata la possibilità, per esso, di esser fatto oggetto di istanza di accesso agli atti, se l’istante “invochi (sia pur indirettamente e sostanzialmente) la “copertura” dell’art. 97 Cost. e i principi di imparzialità e legalità in esso inscritti”[1].

Più precisamente, va detto che l’accesso agli atti si situa, di diritto, nell’ambito di quella serie di strumenti di cui il privato dispone al fine di verificare che l’attività amministrativa sia retta da caratteri di economicità, efficacia, imparzialità, pubblicità e trasparenza enucleati dall’art. 1 L. 241/1990.

Criteri, questi, evidentemente rilevanti se ed in quanto elevati, dall’art. 97 Cost., a principi costituzionali dell’agire amministrativo.

Tanto precisato, va segnalato come, ad un primo approccio, sarebbe potuto sembrare sussistente, ex art. 22, comma 1, lett. B), L. 241/1990, un interesse all’accesso in capo alla ricorrente, che si è assunta titolare di una situazione giuridica soggettiva cui la documentazione richiesta è collegata, a rilevanza processuale e, dunque, corrispondente a necessità difensive.

Tuttavia, ad una più attenta analisi, la medesima istanza non ha potuto che essere considerata infondata, attesa la sua inerenza ad atti e documenti tesi a comprovare un contratto esistente tra Amministrazione terza pignorata ed ente debitore esecutato (che, come detto, alla prima avrebbe reso un servizio a titolo oneroso, conforme al proprio oggetto e scopo sociale) da far valere, peraltro, in altra sede.

In effetti, come pure in ambito giurisprudenziale talora si riscontra, il diritto di accesso non può concernere atti e documenti “inerenti ad un rapporto jure privatorum intercorrente con altro soggetto privato, di cui si domandi l’accesso allo scopo di precostituire prova documentale da far valere in sede civilistica al fine di accertare il debito del terzo ex art. 548 c.p.c.”[2].

Ammettendo, dunque, l’accesso agli atti in sede amministrativa, si sarebbe snaturata l’essenza stessa dell’istituto, sorto al fine di fare della Pubblica Amministrazione una vera e propria casa di vetro, ampliandolo a tal punto da “renderlo un rimedio alternativo e concorrenziale rispetto a quelli propri della prova civile nell’ambito dei giudizi di accertamento e condanna di cui al c.p.c.”.

Più esplicitamente, ciò che la difesa regionale ha sostenuto anche in corso di causa è che la ricorrente avrebbe dovuto previamente esperire, nella sede propria e, dunque, in quella civile, i rimedi utili ad attestare l’esistenza di un credito del debitore esecutato nei confronti del terzo pignorato, avvalendosi, ad esempio, di strumenti quale l’istanza di esibizione ex art. 210 c.p.c. (o la richiesta di informazioni alla P.A. ex art. 213 c.p.c.)[3].

Tanto più che è parso evidente che la ricorrente domandasse la formazione (più che l’ostensione) di uno o più specifici documenti o atti volti a provare il predetto rapporto di debito/credito, in guisa da rendere l’istanza inammissibile, considerato che l’accesso non può che riguardare documenti preformati della (e custoditi dalla) Pubblica Amministrazione, non già quelli alla cui ricerca e “costruzione” una parte muova per finalità proprie, di tipo defensionale[4].

A conforto di quanto esposto, può emblematicamente citarsi – con riferimento al processo amministrativo – l’art. 116, comma 2, c.p.a., che disciplina l’ipotesi dell’istanza di accesso agli atti riconnessa ad un giudizio principale, prevedendo che venga depositata presso la segreteria della sezione presso cui è assegnato il giudizio principale e decisa con ordinanza, ovvero con la sentenza che definisce il giudizio (principale) stesso.

La disposizione depone, peraltro in modo inequivoco, per la congruità dell’assunto per cui, anche se incidentale, l’istanza di accesso agli atti va esclusivamente proposta in sede amministrativa.

  1. Conclusioni

Presidiare l’istituto dell’accesso agli atti, esigendo una stringente applicazione delle norme che vi sono alla base, è un’esigenza difensiva delle P.A. tra le più ricorrenti, al fine di evitarne il carattere di strumentalità e proteggere, al contempo, i diversi interessi sensibili che vengono a confrontarsi.

Ciò è tanto più vero quanto più si considerino le richieste di accesso meramente esplorative avanzate dalle parti private, oltre che per taluni versi, talora, generiche e indefinite, e, comunque, connotate da ampiezza spropositata, tali da rendere oltremodo difficoltoso, se non inesigibile, l’adempimento, andando ad assorbire, ineluttabilmente, un eccesso di risorse della P.A.

Come è noto, la giurisprudenza ha, sul punto, ribadito che l’istanza non può essere “generica, eccessivamente estesa o riferita ad atti non specificamente individuati”, non essendo possibile “costringere l’amministrazione a compiere attività di ricerca e di elaborazione dei dati. Ciò al fine di coniugare il diritto alla trasparenza con l’esigenza di non pregiudicare, attraverso un improprio esercizio del diritto di accesso, il buon andamento dell’Amministrazione, riversando sulla stessa l’onere di reperire documentazione inerente un determinato segmento di attività”.

È stato, altresì, chiarito che l’accesso cosiddetto esplorativo è inammissibile in quanto induttivo di “ricerche incompatibili sia con la funzionalità dei plessi, sia con l’economicità e la tempestività dell’azione amministrativa”[5].

Sull’inammissibilità della ricerca cosiddetta esplorativa, anche quando giustificata da ragioni defensionali, la giurisprudenza, in ambito amministrativo, converge in maniera pressoché univoca, come pure sull’inammissibilità, già descritta, di un uso strumentale dell’istituto dell’accesso agli atti, qualora finalizzato a precostituire elementi conoscitivi e probatori da far valere in un altro giudizio, ad esempio in sede civile, in surrettizia surroga di strumenti anche cautelari esperibili aliunde[6].

Trattasi di pronunce manifestamente miliari, tanto più in una società dell’informazione quale quella attuale, in cui sempre maggiori sono i dati circolanti, e sempre più forte, d’altronde, l’esigenza della tutela del concorrente interesse alla riservatezza, atteso il numero, in taluni casi potenzialmente indefinito, di controinteressati, non a caso contraddittori necessari, ex art. 116 c.p.a., nel giudizio finalizzato all’ostensione e/o all’ottenimento di copia dell’atto medesimo[7].

 

NOTE:

[1] T.A.R. Campania, V sez., sent. n. 1009/2010.

2 Cfr. T.A.R. Campania, V sez., sent. n. 1009/2010; T.A.R. Campania, V sez., sent. n. 3081/2009; T.A.R. Campania, V sezione, sent. n. 6112/2008.

3 In senso confermativo si veda, ad esempio, T.A.R. Campania NA, sez. VI, 24/7/2015 n. 3931, da cui si evince il principio per cui gli atti di un processo civile non rientrano, al pari di tutti gli atti giudiziari o processuali, tra quelli ostensibili, a meno che il loro contenuto non sia assunto a presupposto, in via esecutiva, di un successivo atto amministrativo.

L’esigenza di conoscere atti per difendersi in un processo, che si vorrebbe iniziare o che sia già in corso, infatti, può indubbiamente legittimare all’accesso, salvo trattarsi di atti che per legge ne siano esclusi, come può accadere per le indagini correlate al processo penale, purché la richiesta abbia un carattere eminentemente strumentale rispetto all’oggetto di tale giudizio. Se, però, gli atti oggetto dell’accesso sono al tempo stesso oggetto di tutela ampiamente contemplata nell’ambito dello stesso procedimento giurisdizionale civile in corso, poiché è in quest’ultimo che sono stati formati, è evidente che l’interesse curato dalla disciplina dell’accesso viene garantito in quest’ultima sede in quanto processo di parti, a nulla potendo rilevare che in una fase di esso, in concreto, vi sia stato un diniego.

4 Cfr. T.A.R. Lazio RM, sez. II, 9/7/2018, n. 7645: ai fini dell’esercizio del diritto di accesso al documento amministrativo, quest’ultimo deve essere un documento già formato ed esistente, determinato o almeno determinabile, in possesso del soggetto intimato; devono, pertanto, ritenersi inammissibili le domande di accesso agli atti che non sono stati ancora formalmente adottati o, addirittura, che non sono stati ancora formati.

5 Cfr. ad es. Cons. Stato, sez. IV, 12 gennaio 2016, n. 68. Conf. T.A.R. Lazio, I sez. quater, sent. n. 733/2017, che, nel rimarcare l’estraneità dell’accesso esplorativo al perimetro delineato dagli artt. 22 e ss. L. 241/1990, ha statuito che “deve aggiungersi che al vigente ordinamento della materia è estraneo anche il diritto (…) di effettuare un’attività di raccolta di una massa indiscriminata e generalizzata di dati, al fine di verificare se tra essi ve ne siano alcuni utili allo scopo di difesa in giudizio”. Cfr. anche Cons. Stato, sez. IV, 21.5.2008, n. 2422: si deve ritenere che un’estrema genericità ed ampiezza dell’istanza di accesso sia tale da palesare un evidente e non ammissibile intento “esplorativo” o, comunque, di controllo generalizzato rispetto all’attività amministrativa

6 Quanto alla sede civile, è da evidenziare l’applicabilità dell’art. 2476 c.c., a norma del quale, in una S.r.l., “i soci che non partecipano all’amministrazione hanno diritto di avere dagli amministratori notizie sullo svolgimento degli affari sociali e di consultare, anche tramite professionisti di loro fiducia, libri sociali e documenti relativi all’amministrazione”. Si tratta di un diritto potestativo – senza alcun limite se non quello della buona fede, e non subordinato a particolari esigenze – che pone il destinatario in uno stato di soggezione. Difatti, egli non può sollevare alcuna contestazione (Trib. Biella, 18.8.2005). Infine, tale diritto, se ostacolato, legittima il ricorso allo strumento cautelare di cui all’art. 700 c.p.c.

7 Sulla necessaria tutela della posizione del terzo, nell’ottica del bilanciamento degli interessi che nella materia dell’accesso si agitano, cfr. Cons. di Stato, 13.3.2018, sent. n. 1191/2018.