La Chiesa, un rifugio sotto le bombe. Storie di missionari a Kiev

di Marika Galletta

“La popolazione è scossa, spaventata. Siamo nelle mani di Dio” queste le parole di padre Pavlo Vyshkovskyy, uno dei missionari Oblati di Maria Immacolata a Kiev.

Durante il giorno sono sempre di più le persone che scelgono di lasciare il Paese o di fuggire verso Ovest per risparmiare ai propri figli gli orrori della guerra. Queste scelte, però, sono mosse anche dall’inquietudine, dalla precarietà della situazione presente in Ucraina e dalle numerose incertezze sul futuro.

Tuttavia, c’è comunque chi sceglie o chi è costretto a rimanere nella propria terra seppur senza un tetto sulla testa, ed è proprio per questa motivazione che molte chiese, nella notte, accolgono famiglie impaurite e talvolta stremate dai lunghi viaggi fatti per raggiungere un posto sicuro.

Padre Pavlo racconta di come la cripta della chiesa di San Nicola si sia trasformata in un bunker capace di accogliere fedeli e non solo, il cui unico scopo è quello di farsi compagnia a vicenda, di stare insieme e di curare anima e cuore anche grazie alla preghiera.

Da settimane ormai continuano le giornate di adorazione del Santissimo Sacramento, di confessione e, nonostante gli avvenimenti, si prova a scambiare qualche parola di conforto.  

Il Padre ringrazia tutti i fedeli da tutto il mondo per le preghiere e per dimostrare vicinanza all’Ucraina, ma non solo. Sulla scia delle parole del Santo Padre, Vyshkovskyy chiede di pregare anche per i fautori della guerra affinché possano fermarsi e capire che dall’odio e dalla violenza non scaturisce mai qualcosa di buono. Padre Pavlo si commuove pensando e parlando di tutti quei bambini che sono rimasti feriti, menomati o uccisi durante i bombardamenti.

I missionari però, persino sotto il fuoco della guerra, restano fermi sulla loro decisione di rimanere in Ucraina per stare accanto, dare aiuti concreti alla popolazione e condividere con essa la sorte di tutti i fedeli nella preghiera e nella solidarietà.

Alcuni rifugiati nella cripta di San Nicola hanno affermato: “Dal bunker si sentono ugualmente le sirene, gli aerei o i tank in movimento ma, stando uniti fisicamente e spiritualmente la notte fa meno paura”.

Innumerevoli e sinceri sono i ringraziamenti della comunità al Santo Padre in quanto pastore che si prende cura del suo gregge e anche grazie alla profonda attenzione nei confronti dell’Ucraina.

Ma non solo. È forte il senso di gratitudine scaturito dall’amore e dal sostegno dei religiosi da tutto il mondo. L’unione, il senso di fratellanza e l’affetto fin ora dimostrato, porta nei bunker e nella popolazione un barlume di consolazione e speranza.

Anche i Figli della Divina Provvidenza e le suore orionine si sono attivati per dare aiuto e coinvolgere i fedeli di tutta Europa. Immediato è stato il sostegno per le tantissime neomamme e famiglie con bambini piccoli per trovare un rifugio.

Don Moreno Cattelan, prete orionino presente in Ucraina, ha spiegato di come i rifugiati nei conventi possano provvedere in autonomia a tutte le necessità quotidiane, proprio come una grande famiglia. Non mancano di certo le donazioni da gran parte dell’Europa e gli animatori aventi il bellissimo e, paradossalmente, difficilissimo compito di strappare un sorriso a tutti i più piccoli che si sono visti portare via la normalità e la tranquillità della vita di tutti i giorni, segnandoli per sempre.

Suor M. Kamila conclude: “Grazie alla gentilezza e alla generosità di tanti benefattori. In questa storia di male e distruzione, una storia di bene, bellezza e compassione è scritta per sempre! Solo la carità può salvare il mondo!”