Per la rubrica “Alesia e i suoi compagni di viaggio” l’architetto Claudio Calcinai accompagna i lettori alla scoperta di un affascinante complesso architettonico
Il Convento dell’Incontro, nella corona collinare che circonda la città di Firenze, non è solo uno dei complessi edilizi più prestigiosi (con il S.Francesco di Fiesole, S.Miniato al Monte, S.Salvatore a Monteuliveto), è anche un elemento determinante dell’immaginario di ogni fiorentino.
E’ difficile, infatti, rimuovere la partecipazione e la sofferenza popolare per le offese belliche e il ruolo strategico-militare avuto nel conflitto del 1940-’45. Per molti decenni “l’Incontro”, come è confidenzialmente chiamato in area fiorentina è stato un riferimento religioso e laico legato al più vivo francescanesimo.
Esauritasi la presenza dei frati – almeno nell’aspetto quotidiano – si è avuta una conversione fortunata, che vede un nutrito gruppo laico (francescano) socialmente impegnato assai attivo nella valorizzazione della struttura conventuale: questa ha conservato la sua fisionomia particolarissima, soprattutto in alcune parti, come la biblioteca, la chiesa e un’ala delle primitive celle. Al monastero francescano dell’Incontro, vi si giunge da
Villamagna, percorrendo una strada in salita per circa due chilometri.
Fondato nel XVIII secolo, il monastero venne edificato attorno ad una antica torre, che da un recente studio si ipotizza fosse stata un “guardingo longobardo” ricostruito sulla base già esistente e forse risalente al periodo tardo-imperiale romano; la torre di avvistamento era stata alzata a presidio della strada romana per la Pieve a Cascia, che attraversava la catena di colline per poi ridiscendere verso l’Arno. Quindi secondo questa ipotesi l’antica strada romana, sarebbe ancora in uso nell’Alto Medioevo.
Distrutta completamente dalla guerra, la chiesa e parte del complesso furono ricostruiti nel 1950. Dall’Incontro – a 557 metri d’altitudine s.l.m. – posto fra i boschi cedui di roverella, di cipressi e di aceri, è possibile godere di una straordinaria vista su Firenze che spazia verso occidente fino alle Alpi Apuane e dal lato sud-orientale
abbraccia il Pratomagno e il Valdarno superiore. Come già detto la storia ufficiale dell’Incontro inizia nel 1700,
con la fondazione del Ritiro di San Leonardo da Porto Maurizio. L’oratorio all’epoca era di proprietà dell’Arcivescovo che offrì al santo, Cosimo gli regalò invece tutta la terra circostante.
Nel 1717 il “Conventino” era ultimato. Alla morte del Santo (1751), l’Incontro era ancora in piena attività, fino a che i Lorena (1782), soppressero il Ritiro di Monte alle Croci dal quale esso dipendeva e ne iniziò la decadenza.
Nel 1853, Padre Andrea da Quarata attratto dagli ideali francescani, salì all’Incontro che trovò ridotto in pessime
condizioni. Dette il via ai lavori di ristrutturazione e adeguamento per una nuova comunità e chiese e ottenne il
distacco dal Convento di Monte alle Croci, per avere piena autonomia.
Così la chiesa fu ingrandita di due cappelle e tutto il complesso venne ampliato. Vicino al vecchio “conventino” vennero eretti altri due edifici, che disposti ad angolo costituivano un cortile. Sempre a questa epoca risale anche la realizzazione del parco perimetrato dalle mura che ancora oggi cingono i confini.Altri nuovi ampliamenti arrivarono con Padre Luigi da Iolo nel 1890, soprattutto egli fece prolungare la chiesa sulla quale venne ricostruita una nuova facciata.
Costruisce un nuovo refettorio e abbatte la cappellina delle Stimmate in fondo all’orto.Come detto, nel 1940 la guerra stravolse la fisionomia architettonica dell’Incontro. La chiesa fu demolita completamente dalle oltre diecimila cannonate che piovvero sul convento, l’ala di nord-est della foresteria scomparve sotto le macerie, crollò per metà l’antica torre campanaria medievale e si persero per sempre le cellette del conventino che davano sull’orto, rimase fortunatamente intatta la biblioteca e il primitivo nucleo originario.
Le stesse cannonate abbatterono anche una cappella privata sorta proprio davanti alla chiesa nell’odierna terrazza panoramica, mai amata dai frati, che tuttavia non poterono opporsi al gran potere di allora della famiglia Stefani.Con la ricostruzione, già nel 1948, il Convento torna al dialogo con Firenze: sono i tempi degli illuminati La Pira e Don Milani, tra gli altri. I disegni dell’architetto Franci, riportarono gli ambienti alla primitiva austerità pur miscelando eleganza e giuste proporzioni.
Negli anni 1978-79 la Provincia Toscana dei Frati Minori accolse nei locali del complesso numerosi profughi vietnamiti. In seguito (1980) buona parte dei locali del convento furono concessi al Comune di Bagno a Ripoli per ospitare famiglie di sfrattati. In questi anni, come nei precedenti, vi fu un degrado successivo degli ambienti dati in uso, che ha visto anche l’esecuzione di opere abusive, quali la realizzazione di tramezzi interni e creazione di nuovi servizi igienici oltre ad alcuni ampliamenti. Ancora la realizzazione di un portico e la chiusura a vetri con conseguente creazione di veranda nel chiostro esistente.Al fine di una più esaustiva ed approfondita conoscenza storico- artistica del compendio in esame, riporto fedelmente qui di seguito, alcuni interessanti brani tratti dal libro “UN MONTE – FRA IL CIELO E LA CITTA’” di Carlo Maurizi – Pro Manuscripto – Firenze – A.D. 1993.“Le solitudini dei monti (“Le montagne portino pace al popolo e le colline giustizia”. Sal.72,3) Per dirla con S.Nistri l’Incontro è il monte francescano di Firenze, sorge quasi come un calvario ad oriente della città, dalla parte sinistra dell’Arno, ma umilmente, spuntando fra le collinette che i vecchi cronisti chiamano “poggerelli sull’Arno”.
La sua storia non è famosissima come quella di altri monti santi, ma forse proprio per questo ha conservato incontaminatoil suo “silenzio e la sua dimensione a misura d’uomo” tutta tipicamente francescana. Dalla terrazza di questa “umiltà” si può contemplare il panorama più bello e più vasto di tutti i dintorni di Firenze, che spazia verso occidente fino alle Alpi Apuane e dal lato sud-orientale abbraccia il Pratomagno e il Valdarno superiore.”
L’antichità
“Molto spesso a guardia delle antiche arterie viarie così vitali erano erette, sui rilievi circostanti, torri di avvistamento che comunicavano tra loro, di giorno attraverso segnali di fumo, secondo codici prestabiliti. Anche nella zona dell’Incontro si trovano i resti di tali costruzioni: all’interno della chiesa di Miransù vi sarebbero parti di una torre romana, e anche la stessa torre che esisteva all’Incontro, di cui rimane la base fino all’altezza di mt.5.60, sarebbe stata costruita sui resti di una romana. La forma perfettamente quadrata, lo stile costruttivo e l’impasto usato per saldare le pietre di alberese, fa pensare che la parte inferiore della costruzione risalga al periodo tardo- imperiale e sia tutto ciò che rimane di una postazione di avvistamento sul “raccordo” della Cassia, raggiungibile dalle truppe per mezzo, probabilmente, di un antico percorso etrusco. La torre fu poi forse ricostruita dai Longobardi e utilizzata per gli stessi scopi strategici.
La presenza romana nel territorio è documentata dai ritrovamenti archeologici, ma soprattutto dai frequenti toponimi della zona: Candeli, Rignalla=Herenianua anula, Terzano=Tertiano anula, Villa magna, Quarto=ad quartum lapidem … Anche sul monte dell’Incontro è possibile imbattersi,passeggiando per i boschi, in antiche stradicciole fiancheggiate da muretti e fossati, nello stile costruttivo romano. Durante la dominazione di Roma “l’Agro” fiorentino si popolò e anche il centro di Bagno a Ripoli si arricchì, come testimoniano i resti della villa costruita sulle fondamenta di una etrusca: c’era un bagno termale e numerose opere scultoree alcune delle quali, ritrovate in tempi passati, furono collocate nelle chiese vicine e venerate come immagini sacre…..Il Medio Evo Firenze era dominata dai Bizantini quando i Longobardi alla fine del VI secolo giunsero alle sue porte. L’arrivo dei barbari non significò l’immediata conquista della città: inizialmente essi si garantirono il controllo delle zone collinari, e a questo scopo costruirono una serie di fortificazioni nei punti strategici e lungo le principali vie periferiche. Sui resti della torre dell’Incontro fu edificato un presidio di avvistamento che con quello di Miransùdipendeva dal più grande situato sul valico di Poggio a Luco (trasformato poi in villa).
Nel convento dell’Incontro si può ancora vedere la base dell’antica torre di avvistamento, costruita in filaretto di alberese, di pianta perfettamente quadrata. Fino alla Seconda Guerra Mondiale la struttura, trasformata nel basso medioevo in campanile, esisteva per intero, ma i bombardamenti alleati ne tolsero per sempre alla vista la parte che emergeva dai tetti del Santuario. Su per le scalette di accesso alle piccole celle del “conventino” si può osservare per tutta l’ampiezza la parte rimanente. Segni della dominazione longobarda e della vita del primo
medioevo, affiorano di tanto in tanto lungo la strada che dall’Incontro scende verso Pontassieve in direzione del castello di Volognano: l’antica fortezza di Poggio a Luco (ora omonima fattoria), la pieve di Miransù eretta nel X secolo sui resti di un precedente fortino, il complesso di Castiglionchio con la torre dell’antico castello dei conti di Quona e la chiesetta di Santa Maria, e poi antiche torri trasformate in case coloniche, cappelle ecc.
Scendendo invece in direzione di Firenze si incontra: la chiesetta del Beato Gherardo, piccolo gioiello di architettura trecentesca, la pieve di San Donnino a Villamagna, risalente all’VIII secolo e ricostruita nel XII con il bellissimo campanile in stile longobardo a tre piani di bifore, nel fondo valle Castel Belforte e più in alto il castello di Monte Acuto e lungo la strada tante case-torri trasformate in ville. Con lo sgretolarsi dell’Impero di Carlo Magno ed il trionfo del Feudalesimo probabilmente molti presidi del tipo di quello esistente all’Incontro persero di importanza strategica e furonoabbandonati. Come avvenne che l’Incontro, in quel periodo chiamato Poggio alla Volpe diventasse “luogo religioso”, non si sa con certezza, è sicuro però che nella prima metà del secolo XIII doveva avere già questo carattere se il Beato Gherardo da Villamagna vi si recava per fare orazione e penitenza. Lì dove esisteva da tempo una cappellina e un romitorio dedicati a San Macario Abate, Si presuppone quindi che la storia religiosa dell’Incontro, anche se legata alla vita di anonimi eremiti, sia iniziata verso il secolo VIII.
Gherardo, cavaliere di Dio
Sul finire del XII secolo Firenze è ancora un comune di seconda importanza, ma già in esso si stanno manifestando
quelle condizioni che lo porteranno ad una posizione di supremazia in Toscana ed oltre. I castelli una volta nemici sono ora sotto il controllo delle sue milizie, e la vita nelle campagne è ricominciata grazie anche alla presenza delle Pievi, che nei tempi di maggiore difficoltà sociale erano state un punto di riferimento essenziale per le popolazioni, sia materialmente che spiritualmente. All’ombra della pieve di San Donnino a Villamagna nasceva
verso il 1174 Gherardo Mecatti, da poveri coloni; fin da piccolo si dimostrò amante della solitudine e del ritiro. Appena dodicenne rimase orfano di entrambi i genitori e venne adottato dalla famiglia Folchi, proprietari del podere che lavoravano i genitori e cavalieri del sacro ordine di San Giovanni di Gerusalemme (ordine di Malta).
I Folchi colpiti dalla purezza di animo di Gherardo lo mandarono alla seconda Crociata in Terra Santa al seguito di un loro familiare, Federigo. Ma là furono entrambi fatti prigionieri dai musulmani e dopo grandisofferenze solo Gherardo poté ritornare a Villamagna avendo prima sepolto il suo padrone nella terra di Gesù. A casa si dedicò completamente alla preghiera solitaria ed eremitica; trascorsi soli due anni fu richiesto di accompagnare in Siria un altro signore della famiglia Folchi. Durante una tempesta la nave su cui erano imbarcati fu assalita dai saraceni e i cavalieri stavano per essere sopraffatti quando per intercessione della preghiera di Gherardo, miracolosamente riportarono la totale vittoria. A causa di questo, nonostante fosse di umile condizione, Gherardo venne insignito della croce di Cavaliere Servente e si trattenne ben sette anni in Siria e Palestina cooperando con il suo zelo e la sua carità nel soccorso e nell’assistenza ai pellegrini. Per fuggire alla stima sempre più crescente e agli onori, decide di tornare nella sua patria, e di consacrarsi per sempre alla contemplazione.
Sulla via del ritorno, a Firenze, incontra San Francesco, e si consiglia con lui su quello che da tempo meditava di fare. Francesco lo iscrisse al terzo Ordine dei penitenti ponendogli di propria mano l’abito, consistente in una tunica di rozza tela color cenere e un piccolo mantello sopra le spalle sul quale applicò la croce bianca dei Cavalieri di Malta. Gherardo nella sua lunga vita operò molti miracoli nella zona dell’Incontro, tra cui quello famoso delle ciliegie mature a dicembre; poi visitava, tre giorni alla settimana, tre chiese dove rimaneva in preghiera: una di queste era quella di San Macario Abate, situata sul colle dell’Incontro. Le altre tappe dei suoi pellegrinaggi erano: Montauto il mercoledì, presso l’oratorio di San Francesco, e il venerdì Santa Maria a Remoluzzo. Dai suoi scritti si ricava che egli trascorreva tutti i lunedì pregando nella cappella adiacente alla antica torre sulla cima dell’Incontro, per le anime del purgatorio. Da questo entrò l’usanza che il primogiorno dopo l’Ascensione i popoli di Miransù, San Pietro a Ripoli e Villamagna si recassero in festose processioni a quel luogo santo.
Il Beato Gherardo morì intorno al 1258 e per la sua sepoltura venne eretta una chiesuola nei pressi della sua casa natale. Il suo corpo, dopo essere stato per un anno in una cassa sopra una quercia, custodito dai soldati della Repubblica fiorentina, lì venne posto, dentro un’arca di pietra che il santo stesso aveva scelto negli ultimi tempi della sua vita. Di questa chiesuola non si hanno tracce. L’attuale fu costruita nel 1312 dopo le distruzioni operate dalle milizie di Arrigo VII nei dintorni di Firenze. Essa è fabbricata con pietre squadrate disposte a filaretto, e nella parte superiore della facciata c’è una cornicetta sostenuta da piccoli archi posti su delle mensolette. Gli sproni di muro costruiti a rinforzo sono posteriori. All’interno, in passato, erano visibili quattro affreschi raffiguranti i fatti della vita di Gherardo, ora probabilmente ricoperti dall’intonaco. Sotto l’altare c’è ancora l’antica urna di pietra che fino al secolo scorso conteneva il corpo del Beato, oggi custodito nella pieve di Villamagna. Una storia bellissima sul Beato Gherardo è stata scritta da Claudio Ràspollini e pubblicata per la Casa Editrice Cultura.
Leonardo, sentinella di strade celeste Come abbiamo già accennato, già nel tardo Impero sul “Poggio alla Volpe”, si ergeva una torre di avvistamento per il controllo del braccio della Cassia antica che passava nei pressi
di Terzano verso sud-ovest. E’ facile immaginarle, le sentinelle di allora, affacciate al cielo in attesa dell’aurora, su quel monte che come un balcone naturale ci fa vedere mezza Toscana. “L’anima mia attende il Signore più che le sentinelle l’aurora” … “…Io ti ho posto come sentinella per la casa di Israele”, recita la S.Scrittura. Qualcuno dice che fino al VI secolo qualche eremita fosse già presente lassù e vi recasse il culto del santo Macario, uno dei primi cenobiti che dai deserti dell’Africa portarono in Occidente il seme del monachesimo, fatto poi fruttare in modo altissimo da San Benedetto da Norcia. E’ certo che intorno al 1220 Gherardo da Villamagna vi saliva in ginocchio di notte, per incontrarvi il Signore nel silenzio del piccolo oratorio costruito sui resti del primitivo fortilizio; un silenzio denso di molte attese e ricco di amore, il silenzio quotidiano della vicinanza divina.
Dal Beato Gherardo fino a San Leonardo da Porto Maurizio corrono 400 anni e poco si sa di ciò che fu la vita della povera chiesina sulla cima di quel monte a oriente di quella ricca e potente città. E’ ragionevole ritenere che tanti anonimi anacoreti abbiano conservato lo spirito del luogo in questo lungo periodo e si siano passati il “testimone” di una preghiera che da quella “solitudine”, come la chiamò Leonardo, si estendeva a proteggere tutti i borghi circostanti fino a intercedere per tutto il popolo di Fiorenza. Storie segrete, avare di particolari per la nostra curiosità intellettuale, ma che parlano al cuore misteriosamente quando si sale lassù a respirare la pace di quell’aria. Agli inizi del 1700 era nel suo pieno rigoglio una nuova primavera dell’Ordine di San Francesco: il movimento che faceva capo al Beato Bonaventura da Barcellona, raccoglieva religiosi osservantissimi fra gli osservanti della Regola, i quali si proponevano di vivere una vita di santità che fosse come il lievito nella massa, attraverso il ritiro in conventi particolarmente adatti.
Il Granduca Cosimo III dé Medici da anni desiderava avere uno di questi conventi a Firenze e ottenne dal Papa Clemente XI l’invio di alcuni religiosi del Ritiro di Roma per stabilirvelo. E il 20 agosto 1709 vennero, con a capo il P.Pio da Santa Colomba, altri cinque sacerdoti e due fratelli laici che fondarono il Ritiro nel convento di San Francesco al Monte alle Croci. Fra questisacerdoti era Leonardo da Porto Maurizio (che prima di prendere i voti si chiamava Paolo Girolamo Casanova), giovane allora di 33 anni non ancora finiti. A Firenze la figura di Leonardo impose e brillò luminosissima, così che egli si procurò in particolar modo la benevolenza, oltre che del clero e del popolo, del Granduca stesso. Questo a motivo della sua vigorosa attività apostolica, specialmente per la predicazione delle Missioni fatte in ogni parte della Toscana e fuori. San Leonardo, sempre più conosciuto e apprezzato da tutti, nel 1715 fu eletto Guardiano del Convento di Monte alle Croci. Ed è sotto lo stimolo di questa nuova responsabilità che egli attua un disegno da tempo custodito nel segreto del suo cuore.
Alla fine di facilitare a se stesso ed ai suoi religiosi l’acquisto della perfezione, ricordando l’esempio del Padre Francesco, stabilì di trovare un qualche luogo remoto, nel quale ad altro non si attendesse che alla contemplazione delle cose divine. Forse durante una delle sue “missioni popolari” nelle campagne toscane, e precisamente nella zona di Villamagna, egli conobbe per la prima volta l’Incontro. L’oratorio era di proprietà della Mensa Arcivescovile e l’Arcivescovo su invito del Granduca lo offrì al santo, Cosimo da parte sua gli regalò tutta
la terra corrispondente alla cima del monte. Ai religiosi il dono fu molto gradito, anche perché il luogo era già stato santificato, dalla presenza di Beato cavaliere Gherardo, e si prepararono per prenderne possesso…….Nel 1717 il “Conventino” era ultimato. Il 23 maggio accolse i primi fratelli nelle piccole cellette che, secondo le “Costituzioni” scritte appositamente da San Leonardo e approvate dal Papa, non dovevano essere più di 8: cinque per i solitari più tre per il presidente, il portinaio e il terziario addetto al vettovagliamento, il quale giungeva all’Incontro una volta alla settimana servendosi di un somarello. Inoltre vi erano quattro cellette per ospitare i pellegrini e forestieri.L’architettura del ritiro si ricava dalle Costituzioni: “La struttura delle cellette dei solitari non sia che di cinque palmi romani di larghezza, otto di lunghezza, e nove di altezza, in maniera che distendendo le braccia si tocchino ambedue le mura e alzandole si arrivi a toccare il soffitto, che dovrà essere di semplici canne; le mura si lascino rozze senza incalcinare, acciò il tutto spiri asprezza e povertà; le porte delle cellette non siano larghe che due palmi, e alte sei; e le finestre siano un palmo di larghezza e uno e mezzo d’altezza.”…”né sia mai lecito in verun tempo alterare questa fabbrica”.
Il soggiorno dei frati nella solitudine durava ordinariamente due mesi, ma poteva essere protratto anche di anni; e se qualche laico o cavaliere voleva condividere, per un certo periodo di tempo, quella vita, poteva rimanere vestendo anchel’abito. Le ore erano scandite secondo rigide norme: nove al giorno erano dedicate alla preghiera comune nel coro, le altre al lavoro nell’orto o alla lettura di libri spirituali. Tutto avveniva rispettando il più rigoroso silenzio. Il vitto era estremamente ridotto e consisteva solo in erba, legumi e verdure, eccetto i giorni di Natale, Pasqua e Pentecoste….. ….Nel 1751, avvertendo il presentimento della morte, vi andò per l’ultima volta dal 2 al 5 maggio. Era partito da Roma diretto a Lucca per l’ennesima missione in quella popolazione, ma passò per Firenze. Come poteva non salire alla sua santa “Solitudine”? Tanto era l’amore che aveva per questa sua cara creatura alla quale aveva dato il più e il meglio di sé, e dalla quale aveva ricevuto aiuto e impulsi così potenti per la sua santificazione personale e per una sempre più efficace opera di apostolato come predicatore e sacerdote. Ridiscese salutando il suo “monte” avviandosi verso Lucca; e di lì alla volta diViareggio. Poi per ordine di Benedetto XIV (Prospero Lambertini), si portò nelle montagne di Bologna, di dove ritornò a stento per andare a morire a Roma, conforme a quanto aveva promesso al Papa.
Era il 26 novembre 1751. Si spense nel convento di San Bonaventura al Palatino dove ancora giace il suo corpo. Secondo il P.Angelo Cresi, San Leonardo e l’Incontro si spiegano a vicenda: San Leonardo con la fondazione dell’Incontro ha espresso la sua altissima aspirazione alla santità; e l’Incontro ha dato al Santo ciò che di più e di meglio egli poteva desiderare per alimentare il suo desiderio di unione con Dio ed elevarsi ai gradi più alti, della vita cristiana”.
Arch. Claudio Calcinai