di Enrico Carlone
Gianfranco Ravasi nell’introdurre il suo testo dal titolo “…Ki tob: Dio vide che era bello!”afferma che nel corso dei secoli, l’arte non solo ha attinto a piene mani dalla Bibbia, ma è diventata essa stessa interprete dei testi biblici e singole opere d’arte possono offrire insospettate vie interpretative della bellezza della Bibbia.
Lo stesso Chagall nella sua biografia ha scritto “Io non ho letto la Bibbia, l’ho sempre sognata … Fin dalla mia giovinezza sono stato affascinato dalla Bibbia. Mi è sempre sembrato e ancora mi sembra che sia la più grande fonte di poesia di ogni tempo. La Bibbia è come la risonanza della natura e questo segreto ho cercato di trasmetterlo”.
La realizzazione della “Caduta dell’Angelo” abbraccia un arco di ben ventiquattro anni della vita e dell’opera artistica di Marc Chagall, anni tra i più foschi della storia europea del XX Secolo segnati da profonde divisioni, dalla persecuzione razziale e dalla guerra.
Chagall porta a conclusione la “Caduta dell’Angelo” verso la fine della II Guerra Mondiale e con questo dipinto ha voluto riassumere la sua testimonianza, il suo intimo conflitto tra disperazione e speranza dinanzi ai drammatici eventi storici a lui contemporanei di cui non si era mai sentito semplice spettatore.
Il cielo nero di una notte indefinita nel tempo viene improvvisamente squarciato dalla figura centrale dell’opera: un grande angelo, di un rosso intenso e con fattezze femminili, ad ali aperte cade rovinosamente non avendo più il controllo di esse; il volto è stupito ed impaurito, la bocca aperta, l’occhio sinistro è spalancato e ben visibile mentre il destro è innaturalmente – a motivo della caduta libera – coperto dai lunghi capelli. Il suo braccio è teso verso il cielo e la mano è aperta come a cercare qualcosa o qualcuno cui aggrapparsi, ma non c’è alcun appiglio.
Quale è la realtà che Chagall vuole rappresentare attraverso questa figura? Chi è quest’angelo?
Se è vero che l’essere precipitato dal cielo, in un linguaggio immaginoso, significa aver smarrito il senso e l’importanza delle realtà trascendenti e quindi aver perso di vista i valori fondamentali dell’esistenza, questo angelo in caduta libera non può rappresentare altro che l’uomo, l’umanità impazzita degli anni terribili in cui il dipinto venne elaborato.
L’angelo cade e il mondo è gettato nel caos: tutto è stravolto, gli oggetti e gli esseri che appartengono alla realtà quotidiana vagano drammaticamente nello spazio.
Un orologio a pendolo è proiettato in alto, quasi aderisce all’ala sinistra dell’angelo e con esso precipita.
Un uomo qualunque con il suo bastone da passeggio fluttua nel vuoto, dopo essere stato sbalzato dal suolo e proiettato in alto. Il suo volto, con la bocca semiaperta, esprime smarrimento e sorpresa. Tutto è “saltato” e anche lui, suo malgrado, si trova coinvolto in questo capovolgimento dell’ordine delle cose.
Sotto l’uomo, un barbuto rabbino fugge stringendo saldamente tra le mani il rotolo della Torah. Con sé non porta altro che la Torah: questo è l’unico bene che è necessario salvare dall’imminente catastrofe; voltandosi osserva, impaurito, l’angelo che cade sulla città deserta.
Accanto al rabbino l’artista colloca la testa di una creatura innocente che partecipa a quanto accade: una mucca gialla. Muggendo, con il collo e il muso protesi verso l’angelo in caduta e con l’occhio destro rivolto verso chi osserva la tela, sembra voglia mettere in comunicazione l’osservatore con la scena dipinta.
Per Chagall le mucche sono esseri quasi umani che fanno parte della vita stessa degli uomini: il nonno era un macellaio e questi animali nella adolescenza dell’artista sono stati i suoi compagni di gioco.
Vicino alla mucca gialla si scorge una piccola figura d’uomo che nella notte si allontana dalla città: è l’ebreo errante con il suo cappello, il sacco in spalla e il bastone in mano.
E’ il paradigma del destino che da secoli accompagna l’esistenza del popolo ebraico: il triste destino di chi, non accettato e perseguitato, sa di dover essere sempre “con i fianchi cinti, i sandali ai piedi, il bastone in mano” (Es 12,11).
Il volto rassegnato dell’ebreo errante è il volto dell’uomo che ha fede in Dio e quindi non reagisce, al male che gli viene fatto, con il male: per non venir meno ai valori della propria fede e delle proprie tradizioni accetta di essere in costante pellegrinaggio.
Accanto alla bocca della mucca, sospeso sopra i tetti di una città dormiente, è ben visibile un violino azzurro con l’asticella poggiata sulle corde che nessuno, però, sta suonando.
Abbandonato a se stesso il violino è ridotto al silenzio e narra di una musica che non ha più ragione d’essere: “E’ cessata la gioia dei timpani, è finito il chiasso dei gaudenti, è cessata la gioia della cetra” ( Apocalisse – Is 24,8).
Il racconto pittorico di Chagall fin qui è caratterizzato da una profonda disperazione, da un dolore che sembra non avere vie di uscita. Ma non tutto è perduto: c’è ancora spazio per la speranza, per una possibilità di salvezza.
Sulla parte destra del quadro, ai lati di una candela, compaiono due piccole figure che poco, sembra, abbiano a che fare con gli altri personaggi della tela: a destra della candela il crocifisso, a sinistra una madre con il bambino che prende forma nell’ala dell’angelo che cade.
La modesta dimensione delle figure e la loro autonoma collocazione fanno della piccola scena un quadro nel quadro. Illuminata dalla luce della candela e stretta in una nicchia la scena può apparire come una ingenua immagine devozionale.
Ma l’immagine non è ingenua: una attenta lettura ci da la portata del messaggio che Chagall intende comunicare.
Il crocifisso e il candelabro a lui prospetticamente antistante sono come portati fuori, estratti dalla chiesa posta sullo sfondo e, opportunamente ingranditi, contrapposti alla scena “apocalittica” alla sinistra dell’angelo.
Il crocifisso che ha il capo circondato da un’aureola e i fianchi cinti dallo scialle di preghiera ebraico, è ancora vivo e con la bocca semi-aperta: è il momento in cui Gesù, sulla croce, gridando: “Dio mio, Dio mio perché mi hai abbandonato” inizia a recitare il Salmo 22 (Sal 22,1-Mt 27,46p).
Quello di Gesù non è il grido di un disperato, ma la preghiera di un ebreo che con immensa fede recita un salmo che si conclude annunciando al mondo una grande speranza: “Ricorderanno e torneranno al Signore tutti i confini della terra, si prostreranno davanti a Lui tutte le famiglie dei popoli. Poiché il regno è del Signore, egli domina su tutte le nazioni … E io vivrò per Lui, lo servirà la mia discendenza. Si parlerà del Signore alla generazione che viene; annunzieranno la sua giustizia; al popolo che nascerà diranno: Ecco l’opera del Signore!”(Sal 22, 28-32).
Gesù crocifisso diviene in questo dipinto il “giusto”che nella sofferenza annuncia la speranza di una vita nuova, di una umanità migliore.
E la “generazione che viene”, “il popolo che nascerà” prende corpo – al lato sinistro della candela, – in quel bambino che rivolge un tenero sguardo alla madre che lo stringe tra le braccia e lo conduce in alto, verso il cielo.
Mentre l’angelo con l’aspetto di donna (la vecchia, impazzita umanità) cade rovinosamente dal cielo, una donna con un bambino tra le braccia (la nuova generazione evocata nel Salmo) comincia a salire luminosamente verso il medesimo cielo.
E’ una immagine, questa, che apre il cuore alla speranza: è l’amore, infatti, l’amore che ha il suo massimo simbolo terreno nel sentimento di una madre per il proprio figlio, a dire l’ultima parola.
Ma ciò non avviene in modo spettacolare, fragoroso, come sinistramente spettacolare é la caduta dell’angelo. Le prospettive dell’amore e della speranza si manifestano nel silenzio e nell’umiltà come umile e silenziosa è l’immagine della donna con il bambino qui rappresentata da Chagall: è difficile non andare con la mente all’icona tipicamente cristiana della Vergine Maria con il Bambino Gesù.
Con questo dipinto l’artista ci dice che esiste la possibilità, anzi la certezza, del passaggio da una situazione “storica” senza speranza, alla speranza, alla salvezza e lo fa attraverso passi e schemi narrativi tratti dalla Bibbia.
Dio, dunque, è sempre presente nella storia travagliata dell’uomo caratterizzata dalla contrapposizione tra il bene e il male; anche se le apparenze danno l’impressione che sia il male a predominare nel mondo in realtà è il bene a prevalere.
Ciò avviene attraverso la sofferenza e la debolezza apparentemente perdente del perdono – emblematicamente rappresentato dal crocifisso – e dell’amore, di quell’amore materno che è il riflesso terreno del volto di Dio.