Jakarta: la nuova Atlantide

A Jakarta coesistono i dilemmi più preoccupanti che tormentano le società attuali come la sovrappopolazione e l’inquinamento

di Andrea Ramacieri

Jakarta è una megalopoli indonesiana situata sull’isola di  Giava, una delle 17.000 isole indonesiane disseminate come briciole di terra vulcanica e argillosa sul confine fra gli oceani Indiano e Pacifico. Venne fondata il 22 giugno del 1527 e, da quel momento, ebbe uno sviluppo sempre maggiore. Come un essere vorace dotato di soffio vitale, inglobò dentro di sé un numero sempre crescente di territori e persone dando vita a un processo di gestazione che portò alla sua attuale fisionomia: un mastodontico centro urbano che conta circa 10,56 milioni di abitanti (2020).

Tuttavia, attualmente Jakarta riversa in una situazione critica. A causa delle ingenti estrazioni idriche dal sottosuolo, necessarie a soddisfare l’ingente fabbisogno quotidiano della popolazione, questa città sta subendo un processo  geofisico molto problematico: la subsidenza. E così da centro diaframmatico dell’isola, motore inesauribile dell’economia  dell’intero paese, sta iniziando a sgretolarsi inesorabilmente assumendo la fisionomia di una Atlantide contemporanea. Palazzi di cartapesta  stanno crollando in preda alla forza feroce del mare che tutto inonda e travolge. Ormai neanche l’uomo può far fronte all’avanzare di questo fenomeno: si pensa che, anche se si dovessero adottare delle misure di contenimento del processo, Jakarta sarà interamente sommersa entro il 2050.

Il  presidente Joko Widodo, conscio dell’impossibilità di un recupero della città, nel 2019 ha avviato un progetto per la costruzione di una nuova capitale, Nusantara (“arcipelago” in giavanese), sull’isola del Borneo. Oltre alla minaccia impellente della subsidenza, vi sono anche altre problematicità correlate alla subsidenza, le quali affliggono la megalopoli e, in particolare, quella della sovrappopolazione (l’Indonesia è il quarto paese più popoloso al mondo).

Jakarta fa emergere, quindi, una questione attuale molto importante e può essere oggetto esemplare per le realtà comunitarie di tutto il globo. La sovrappopolazione è un processo che soltanto ultimamente sta diventando di dominio e di dibattito pubblico, ma affonda le proprie radici negli  albori storici della nostra specie. Essa è il frutto del processo evolutivo degli esseri umani che, da creature unicellulari immerse nel fluido primordiale, iniziarono a plasmarsi fino ad acquisire l’arma più potente per la propria sopravvivenza: il pensiero razionale. Tramite quest’ultimo l’uomo ha realizzato un sistema di relazioni sociali adeguato alla propria natura, raggiungendo tenori di vita sempre più raffinati. Condurre una vità all’insegna del benessere vuol dire disporre di una spiccata sicurezza e tranquillità mentale, una solida tranquillità mentale comporta una maggiore possibilità di procreazione.

Molte persone affermano che la sovrappopolazione sia la fonte di tutte le piaghe più dannose che flagellano la nostra società, ossia le guerre, le carestie e l’inquinamento ambientale, ma è davvero così? Alcuni potrebbero dissentire, obiettando con una motivazione piuttosto convincente: quello che realmente influenza tutte le dinamiche sociali è proprio lo stile di vita dei singoli. Se vivessimo in uno scenario idilliaco in cui nessuno sia preda delle fitte laceranti della fame e ognuno  possa godere di uno status sociale soddisfacente, la ricchezza di beni utilizzata per sopravvivere sarebbe equamente spartita, così come la popolazione sull’intera vastità delle terre emerse.

Naturalmente tale soluzione è praticamente inattuabile, nessuno di noi rinuncerebbe ai propri privilegi ottenuti nel corso della vita. L’unica possibilità valida è, quindi, la potenziale prospettiva futura che la tecnica umana si perfezioni così tanto da concepire nuove strutture architettoniche in grado di gestire un considerevole numero di persone: l’ideale sarebbe la realizzazione di agglomerati urbani che, riuscendo a utilizzare  unicamente energia rinnovabile, soddisfino le necessità di estesi nuclei sociali. La soluzione migliore sarebbe la costruzione di tanti piccoli microcosmi che diventino fonte di scambio continuo di visioni, culture, etnie, così da diventare la fucina di nuove idee innovative: un esempio assimilabile a questo nuovo prototipo urbano è proprio la città di Nusantara. Probabilmente, perseguendo su questa strada, tutte le Atlantidi ormai scomparse saranno il sepolcro di un passato a noi sconosciuto.