Imparare a godere della bellezza, la rubrica di “Alesia e i suoi compagni di viaggio”

“ALESIA E I SUOI COMPAGNI DI VIAGGIO” OSPITANO, NELLA CONSUETA RUBRICA DOMENICALE, IL PREZIOSO CONTRIBUTO DEL PROF. SEVERINO DIANICH, CHE DI CUORE RINGRAZIANO.

IMPARARE A GODERE DELLA BELLEZZA

Avere occhi per vedere. Uno può aver girato tutto il mondo, aver visto mille cose e, in realtà, non aver visto nulla, se non ha guardato, se non ha puntato gli occhi sull’orizzonte, sulla cinta delle montagne innevate che lo disegnano o sull’immensa distesa del mare che sembra distendersi all’infinito. In realtà non ha visto niente, se ha attraversato le vie della città e non ne ha osservato le piccole case, nella varietà dei loro colori e dal sapore piacevolmente famigliare, né i palazzi imponenti, declamanti la ricchezza e il potere, se non ne ha gustato le ombre e l’improvviso ritrovarsi nella luce, dopo aver girato l’angolo, se non ha goduto, giungendo dal buio di un vicolo nella piena luce di una piazza alberata. E così via. Paul Valéry mette in scena un fantastico dialogo, nel quale Fedro racconta a Socrate di aver incontrato un giorno il celebre architetto Eupalinos di Megara, il quale gli aveva fatto osservare che, passeggiando per la città, si incontrano edifici «che sono muti», ma anche altri «i più rari, che cantano». Per incontrare la bellezza, bisogna risvegliare tutti i sensi, occhi e orecchi, per sentirla cantare intorno a noi.
Nell’esperienza di ciascuno, la prima bellezza a cui, da bambino, non sei sfuggito e che ti ha catturato è il bel volto e le dolci carezze della mamma. Appena cresciuto il ragazzo, invece, resterà affascinato dalla sua compagna di scuola e, ormai adulta, la ragazza si innamorerà perdutamente del giovane che le è piaciuto. E così via, al punto che il magnetismo della bellezza delle persone si rivelerà come una delle più potenti energie dalle quali scaturiscono le relazioni umane. Del resto, tutti siamo nati dal fascino con cui un giorno nostra madre ha attirato nostro padre e papà si è innamorato di mamma. Nulla al mondo è più bello dell’uomo e della donna: la Bibbia, che gli studiosi chiamano “Il Grande Codice” della nostra tradizione culturale, narra che Dio creò l’uomo «a sua immagine e somiglianza»: è divina la bellezza.
E’ anche grande, insondabile, mistero la bellezza. Se ne parla sempre in termini di luce, splendore, brillantezza, eppure la bellezza è anche tenebra. La sua potenza di attrazione è capace di produrre infedeltà, tradimenti, gelosie e delitti. L’essere umano è bello, ma l’uomo è l’uomo, così come lo vediamo, magnifico e allo stesso tempo capace di cose terribili: la sua bellezza è splendente e allo stesso tempo ambigua. Ciò che riluce attira lo sguardo, ma è pericoloso farsi abbagliare. Davanti alla bellezza bisogna puntare gli occhi, guardarla, anzi scrutarla per discernere ciò che veramente vale fra i mille luccichii del suo mistero.
Ciò che normalmente facciamo nei rapporti umani, osservare e discernere, è anche ciò che è giusto fare guardando le opere create dall’uomo. Anche il contadino nel piantare una vigna, cura con grande attenzione che i filari siano perfettamente allineati e bene impostati sul declivio del terreno, perché la sua vigna deve essere bella, oltre che produrre uva abbondante. Al designer, che ne progetta la carrozzeria, è richiesto non solo che l’auto sia comoda e aerodinamica, ma anche che sia bella. L’architetto, più che il geometra e l’ingegnere, aspira a far ammirare le sue costruzioni per il valore aggiunto della loro bellezza. Nel caso poi del pittore, dello scultore, dello scrittore, del regista di teatro o del cinema, la bellezza è ciò che dà senso a tutta la sua opera. Vivere circondati da una così grande ricerca di bellezza e non saperla riconoscere e non poterne godere, quando la incontriamo, è lasciar perdere una componente preziosa dell’esistenza, che dà la gioia di vivere.
Eppure a chi intende goderne, è necessario che sappia discernere. Per sentirlo cantare, direbbe Paul Valéry, non basta lasciarsi abbagliare dal luccichio dell’acciaio e del vetro di un grattacielo. Né sono gli ori traboccanti dalle decorazioni di una chiesa barocca a garantirne da soli la bellezza. E’ per questo che Bruno Zevi pubblicava anni fa un prezioso piccolo libro intitolato Saper vedere l’architettura, così come, dopo più di ottant’anni dalla sua prima edizione, ancora oggi si pubblica e si legge con gusto il saggio di Matteo Marangoni, Saper vedere. Come si guarda un’opera d’arte. Gli esperti di quest’arte, di saper godere di un’opera d’arte, oggi poi insisterebbero, più che nel passato, a non fermarsi solo alle forme, i colori, le linee, i giochi di luce e di ombra di un quadro, né solo alla silhouette di un edificio. Il grande architetto Le Corbusier mandava i suoi allievi a studiare le chiese storiche, raccomandando loro di fermarsi, appena entrati, sulla soglia e appuntare la prima impressione che avevano ricevuto. Si tratta di coglierne l’atmosfera. Non sarà certamente quella di un velodromo: la bellezza di uno spazio è totalmente condizionata dallo scopo cui l’opera è destinata, così come dal contesto, dal momento storico in cui è nata. Così l’emozione di una natura morta non sarà mai quella di un ritratto di Napoleone o di un dipinto del Cristo risorto. Solo così l’opera ritorna a vivere lì dove è nata, fuori del museo, e il godimento della bellezza torna ad essere esperienza di vita vissuta e non puro esercizio estetico fine a se stesso.

                                                                                              Severino Dianich

NOTA BIOGRAFICA

Severino Dianich, presbitero della Diocesi di Pisa, raffinatissimo teologo, docente emerito della Facoltà di Teologia di Firenze, già direttore del Master in Teologia e architettura di chiese. Ha tenuto seminari e conferenze in molte Facoltà Teologiche italiane ed estere. Ha al suo attivo circa 170 lavori tra cui molti libri; alcune sue opere sono state tradotte in altre lingue.

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