di Sergio Genovese
A circa un mese dalla scomparsa di Gino Di Bartolomeo aggiungere altri commenti di rimembranza farebbe uscire l’acqua dalla pentola, tuttavia qualche spunto un po’ più approfondito potrebbe completare il ricordo di un uomo di piazza nella convinzione che per acquisire tale titolo ci vogliono credenziali di livello. Ero bambino quando Gino Di Bartolomeo, da rampollo un po’ rusticano, studiava per capire dai mostri sacri ( La Penna, Sedati, Di Lisa ecc.) come si potesse diventare leader. Nella sede della DC di Corso Vittorio Emanuele, quelli della seconda generazione, studiavano attentamente i maestri che frequentavano la sede del partito come gli studenti assicuravano la presenza a scuola. Ma una riflessione, come dicevo, intendevo approfondirla sul personaggio Gino Di Bartolomeo, uomo di piazza benché autorità politica. Aveva le stigmate per attrarre in una maniera o nell’altra le persone che incontrava. Innanzitutto moriva per vivere la strada, con i suoi amici fidati prima il compianto Paolo Albino e poi con il sempre verde Michele Di Soccio, al netto dalla carica rivestita in quel momento, la sua presenza davanti ai bar del centro era assicurata. Con l’abito blu o in t-shirt la sua pancia prominente al passaggio sembrava volesse calamitare tutti. Non faceva mancare a nessuno un sorriso a me, puntualmente, chiamandomi per cognome, implorava sempre i saluti per mio padre, Gino Di Bartolomeo è stato uno degli ultimi mohicani a farci ricordare che la nostra città si vitaminizzava con i suoi personaggi che attendeva in piazza perché nella giornata bisognava confezionare l’ultimo aneddoto, l’ultimo gancio per stringere la città in una aggregazione sociale che si nutriva dei marciapiedi, dei gas di scarico e non delle piazze virtuali dove è impossibile trovare personaggi perché chi si immerge di tastiera non ha un volto se non quello della omologazione. Gino Di Bartolomeo aveva questo merito, si faceva attendere dalla gente e quando arrivava forniva a tutti l’occasione per elevare le proprie proteste ma anche il tasso di socialità. Per questo non aveva nemici se non quelli che la natura delle cose, per fisiologia, gli proponeva. Spesso quando qualcuno cercava di contrastarlo con la sua voce stentorea ricordava che i tribunali non si erano mai occupati di lui. Visti i tempi era davvero tanta roba. Da qualche settimana se ne è andato un altro mattone di un muro che appare sempre più debole. La mattina molti campobassani ancora sperano di intravedere prima il suo addome pronunciato, poi il resto del suo corpo con tutta la simpatia contaminante che si raccoglieva. Il ricordo fino a quando non sbiadirà terrà big Gino ancora in vita.