Il Vajont di Tutti. Il racconto verità di Andrea Ortis coniuga la tragedia del 1963 alla strage della scuola Jovine di San Giuliano
Ingordigia corruzione sete di potere, il cemento che rende inossidabile ogni malaffare e lungo l’elenco di vittime innocenti
di Vittoria Todisco
Lo spettacolo teatrale “Il Vajont di Tutti. Riflessi di speranza” è stato offerto alla popolazione di San Giuliano nella palestra cittadina che accolse per l’ultimo saluto i bambini uccisi dal crollo della scuola Jovine. Proprio lì in quel luogo simbolo, in quell’enorme padiglione dove risuonò il j‘accuse di Nunziatina Porrazzo, la mamma del piccolo Luigi Petacciato, che rivolta al Capo dello Stato Ciampi, disse con tono fermo e voce tremante: “Non abbiamo saputo proteggere i nostri bambini” si è snodato il lungo racconto di tante altre tragedie che l’uomo non ha saputo evitare. E così abbiamo reso Angeli una intera generazione di bambini che credevano di poter crescere maturando la loro istruzione, ampliando il bagaglio della conoscenza sotto la guida della loro Maestra Carmela Ciniglio.
Il teatro è linguaggio, soprattutto parola. E’ arte, armonia di espressioni capaci di dare e suscitare emozioni. E’ finzione, realtà, eleganza, stupore e tutto nasce sulle tavole di un palcoscenico da dove si irradiano sensazioni che creano condizioni a volte in contrasto altre di comunione tra personaggio interprete e spettatore. Il Teatro come lo intende Andrea Ortis autore, regista, interprete di questo suo lavoro “Il Vajont di Tutti – Riflessi di Speranza” che per questo fine settimana, già da ieri sera a domenica, occuperà il palcoscenico del Savoia è tutto questo ed ancora di più giacché l’intento dell’autore è di offrire un’occasione di riflessione su una tragedia avvenuta circa sessata anni fa di cui rischiamo di perdere la memoria anche perché molte altre ne sono susseguite. Una tremenda sciagura che si coniuga con quella del terremoto di San Giuliano di Puglia che ha portato lutti, inferto ferite profonde e irrimediabili nel cuore e nelle coscienze di quella comunità, tra le famiglie e nella società, non solo molisana. Sono trascorsi vent’anni, oggi quei bambini, quella generazione avrebbe formato un nucleo di giovani ai quali sarebbe stata affidata la speranza di un possibile futuro per quella piccola entità geografica che con fede e passione tutela la propria identità, tramanda tradizioni che rendono emotivamente indivisibile la comunità costruendo un’armonia esistenziale che contiene il bisogno di scongiurarne lo spopolamento.
Anche allora si era ad ottobre! Fu la sera del 9 ottobre del 1963 quando si verificò il disastro del Vajont . Era stata costruita una diga i cui versanti – fu appurato dopo – avevano caratteristiche morfologiche tali da non essere adatti ad essere lambiti da un serbatoio idroelettrico. Sia l’ente gestore che i dirigenti – si seppe dopo – erano a conoscenza della pericolosità di quell’opera ma tacquero, nascosero, mentirono con il beneplacito di enti locali e nazionali, di alcuni comuni e dello stesso Ministero dei lavori pubblici. Anche la sopraelevazione della scuola Jovine di San Giuliano di Puglia non era a norma e bastò una scossa di terremoto per farla crollare. Morirono 27 bambini e la loro maestra. Anche in Veneto morirono bambini, almeno 500 nella sola Longarone insieme ad altre 1.917 persone. Fu una frana a far precipitare giù, nel bacino idroelettrico del torrente Vajont, un enorme masso staccatosi dal Monte Toc che finì nelle acque del lago alpino realizzato con l’omonima diga. La conseguente tracimazione dell’acqua contenuta nell’invaso e il conseguente dilavamento delle sponde del lago, coinvolse prima i paesi vicini alla riva del lago, Erto e Casso, poi l’onda generata, superata la diga, provocò l’inondazione e la distruzione del fondovalle veneto.
Quello di Andrea Ortis è un racconto verità, un viaggio che prende lo spettatore e lo conduce all’interno di un periodo storico, quello del secondo dopoguerra. “Un periodo – sottolinea Ortis – che sta accelerando una vera e propria rivoluzione industriale, tecnologica, culturale e antropologica e nel farlo, si dimentica completamente dell’uomo e della sua sicurezza, soprattutto, si dimentica dell’umanità di Provincia, delle comunità rurali, delle categorie anziane che, di fatto e ancor oggi, sono il patrimonio più caratterizzante e di valore del nostro paese Italia . Il Vajont di tutti, rifessi di speranza – prosegue – è in tal senso, anche una storia di speranza e forza, il racconto della dignità di chi decide di andare avanti, di credere alla ricostruzione mantenendo viva la memoria, la storia dell’orgoglio della gente italiana, operosa, il cui concetto di comunità è il tessuto vitale sul quale, fortunatamente, si può ancora sperare.”
Da allora quante altre tragedie si sono verificate per colpa nostra di noi uomini che perpetriamo continua violenza all’ambiente, aggrediamo la natura, cementifichiamo, disboschiamo calpestando tutto e tutti pur di ricavare profitti da ogni dove. Abbiamo pianto per quegli altri nostri giovani studenti molisani uccisi dal terremoto dell’Aquila. Siamo stati spettatori della tragedia di Sarno, quella di Amatrice, Rigopiano, del crollo del ponte Morandi e quello della funivia del Mottarone. Eppure ancora non siamo in grado di migliorarci, di chiedere a noi stessi il saper rendere operativo, insieme all’intelletto il nostro lato umano, che è prezioso, utile, arricchente e, dovremo farlo ancora prima di rendere evidente il nostro lato estetico al quale sembriamo molto più tenere. Per farlo bisogna avere la capacità di riuscire ad ascoltare la voce della coscienza, piuttosto che assecondare gli spasmi di appetiti illeciti che provengono dalla pancia.