Il tappeto marmoreo di San Miniato al Monte, un percorso di salvezza e redenzione

di Giorgio Elio Pappagallo

E’ interessante notare come la collocazione dei riquadri pavimentali che dall’ingresso centrale della basilica di san Miniato al Monte arrivano fino al tabernacolo del crocifisso, segua un coerente e complesso disegno teologico, di rigenerazioone e rinnovamento del credente. Ogni riquadro rappresenta una tappa di quella via salutis che dal peccato porta l’uomo alle soglie del Paradiso.
Proviamo a percorrere questa strada in una sorta di pellegrinaggio interiore.
Oltrepassata la scritta dedicatoria (HIC VALVIS ANTE CELESTI NUMINE DANTE METRICUS ET IUDEX HOC FECIT CONDERE JOSEPH ERGO ROGO CRISTUM QUOD SEMPER VIVAT IN IPSUM. MCCVII RETINENT DE TEMPORE ET MORTE) posta a margine del primo riquadro, ecco pararsi davanti i guardiani del sacro, gli animali simbolici che impediscono all’uomo impuro di tornare nel Paradiso terrestre. Abbiamo subito la consapevolezza che il bene è sempre vigilato dal male, che la sconfitta delle forze ostili è la sola condizione per conquistare l’eterna felicità. E ciò non avviene senza sacrificio senza una lotta per sconfiggere le forze del male.

Ecco dunque affollarsi nei secondo e terzo riquadro leoni, grifoni, lupi che stazionano sotto le fronde dell’albero della vita, pronti ad ammonire chi si avvicina. Pronti anche a sedurre ed a tentare l’uomo debole mettendolo continuamente alla prova per sviarlo e impedirgli il ritorno alla condizione di purezza originaria. Non è forse casuale che il terzo riquadro pavimentale, quasi a marcare la funzione di “sviamento” assolta da questi mostri, abbia gli assi di costruzione delle figure zoomorfe ruotati di 90 gradi rispetto alla linea di percorrenza che dall’ingresso conduce all’altare. L’icona dell’albero sacro compare come elemento di separazione tra le figure zoomorfe, tronco da cui si dipartono le radici terrene (direzione rivolta in basso, condizione umana, morte) ed i rami terminali (direzione ascensionale, condizione celeste, vita eterna). Il simbolismo vegetale rivela qui un significato ancora più esplicito e complesso. L’albero è l’asse del cosmo, la “scala” che il fedele dovrà salire per vedere la luce divina. Sotto questo riguardo anche i mostri che si fronteggiano davanti al tronco, assumono una specifica valenza simbolica: di tentazione e di sviamento.
Superati, senza timore, i guardiani del sacro, ecco la raffigurazione dello zodiaco, momento cruciale del cammino di salvezza. Il valore simbolico di questo riquadro e della sua speciale collocazione al centro del percorso, va spiegato con alcune indispensabili premesse. Le case zodiacali, poste lungo l’asse di percorrenza del tappeto marmoreo, sono quelle del capricorno e del cancro. Questi due segni sono tradizionalmente associati ai due solstizi d’inverno (il capricorno) e d’estate (il cancro). Ora, nel ciclo annuale, i due solstizi sono normalmente i due punti corrispondenti al nord e al sud nell’ordine spaziale. Questa corrispondenza si attua in virtù di un trasferimento del simbolismo polare al simbolismo solare, proiettando sul piano zodiacale l’asse verticale che unisce i due poli del mondo, nord e sud. L’asse solstiziale assume così il ruolo di un vero e proprio asse verticale, e i solstizi possono essere definiti “i poli dell’anno”.
Questi due punti solstiziali sono stati associati già dalla civiltà greca, alla “migrazione” delle anime. A questa stessa civiltà appartengono le espressioni “porta degli uomini”, riferita al segno del cancro, e “porta degli dei”, riferita al segno del Capricorno. Presso i Latini le due porte solstiziali sono direttamente legate al simbolismo di Giano. Le chiavi di Giano, una d’oro e l’altra d’argento, aprono infatti le porte (januae) del ciclo annuale e danno accesso alle due metà ascendente e discendente della ruota zodiacale. Alla “via” ascendente dà accesso la porta solstiziale del Capricorno (janua coeli); a quella discendente la porta solstiziale del Cancro (janua inferni).
La forte ispirazione al movimento ascendente delle anime verso il polo celeste, secondo un movimento destrorso che dal Capricorno conduce al Cancro, viene rimarcato perfino nella rappresentazione iconografica delle singole case zodiacali. Qui, tutte le figure zoomorfe e antropomorfe sono rivolte in senso orario; nessun atteggiamento e nessuna posizione delle figure si contrappone al verso rotatorio del ciclo zodiacale. Gli stessi pesci, che pur nella tradizione iconografica sono raffigurati in direzioni contrapposte, appaiono voltati nella stessa direzione. Il verso rotatorio destrorso, a cui partecipano tutte le immagini dello zodiaco, appare dunque perfettamente esaltato e non trova evidenti raffronti in altri modelli zodiacali della stessa epoca. Sotto questo riguardo, lo zodiaco di S. Miniato non è soltanto la tradizionale rappresentazione del Cristo-Sole di Giustizia che illumina e consacra il ciclo naturale delle stagioni e con esse le attività degli uomini. Non è soltanto il calendario che attraverso il succedersi dei mesi segna i momenti salienti dell’anno liturgico. Se interpretiamo, alla luce delle considerazioni svolte, il significato simbolico dell’intero ciclo pavimentale come manifestazione del processo di salvazione, via salutis, allora il nostro zodiaco si rivelerà come momento cruciale di questo percorso, momento in cui l’uomo si troverà davanti al bivio, del bene (metà ascendente) e del male (metà discendente), e a lui sarà aperta la porta del cielo (janua coeli) o quella dell’inferno (janua inferni). In questa nuova prospettiva spirituale si allentano pure i legami con la tradizione iconografica zodiacale fortemente segnata di motivi classici e pagani. Così i gemelli non sono più la rappresentazione della coppia maschile nuda (Castore e Polluce), così come la vediamo ancora nello zodiaco del Battistero fiorentino, ma la coppia di fedeli, uomo-donna, pudicamente vestiti, emblema di una umanità trepidante e angosciata.
Ai quattro angoli dello zodiaco, grifoni incorniciati dentro cerchi sorretti da cariatidi combattono contro serpenti. La connessione con l’antico simbolismo dell’aquila, uccello celeste, immagine del Cristo-Sole, che sconfigge il serpente, raffigurazione del male e delle forze oscure, è del tutto evidente sebbene all’aquila si sia sostituito qui l’emblema del grifone. Una ragione di quedsta sostituzione dobbiamo trovarla nella comune radice salvifica attribuita ai due simboli animali. Tutto il significato religioso racchiuso nello zodiaco, di opposizione e lotta tra bene e male, tra vita e morte, tra aspirazione al trascendente (ciclo ascendente) e tentazione alla vita materiale (ciclo discendente), sembra annunciato da questa rappresentazione di lotta tra il grifone e il serpente.
L’uomo giusto e pio che ha scelto la strada del bene non deve temere nulla finché si nutrirà dei frutti della fede. Ecco dunque il quinto riquadro pavimentale, sotto questo riguardo fortemente emblematico. Il tema della salvazione ritorna questa volta con i motivi dell’aquila, del serpente e delle colombe. Al centro il noto simbolismo dell’aquila, qui arricchito dall’inserimento delle rotelle a otto raggi, emblemi del mondo irradiato dalla luce divina, che stringe nel becco il serpente mentre tutt’intorno coppie di colombe, i fedeli, stazionano su rami fioriti. R. Wittkover nel suo Allegoria e migrazione dei simboli ha chiaramente visto in questa composizione la traduzione iconografica di una storia del Phisiologus (opera redatta tra il II e III secolo contenente l’interpretazione simbolica di molti animali). Finché le colombe (i fedeli) stazionano sull’albero della vita (albero a tre rami, segno della Trinità), nutrendosi dei suoi frutti (i frutti dello spirito Santo), il drago-serpente non può ghermirle; soltanto se spiccano il volo il mostro è pronto a divorarle. L’aquila (Cristo) assicurerà dunque la salvazione perché il serpente (Satana) soccomberà alla sua forza.
Ma il Paradiso celeste, pregustato solamente nel banchetto eucaristico (colombe che si nutrono del frutto dell’albero della vita), accoglierà il fedele soltanto dopo la morte. La strada per la vita eterna passa dunque attraverso il dolore della morte (sesto e settimo riquadro con l’effige dei leoni e dei grifoni). Siamo dunque alla fine del cammino mortale del credente (il leone) e al principio della sua rinascita (il grifone). Non vi è angoscia nella perdita della vita terrena perché il premio è il Paradiso celeste (ottavo e ultimo riquadro). Tornano alla conclusione di questa via salutis le immagini del leone e del grifone già trovate sul frontone esterno della basilica. L’ultimo atto del pellegrinaggio terreno, di quell’aspirazione ascensionale che conduce il fedele a “scalare” l’albero della vita, asse cosmico che unisce il mondo manifestato al polo celeste, ci riporta così sul timpano di facciata dove la Croce del Cristo è consolazione e premio finale di quell’aspirazione.