Il Ponte di Mezzo di Pisa nella storia urbanistica della città e nella storia dell’Ingegneria Strutturale italiana
“Alesia e i suoi compagni di viaggio” ospitano, nella consueta rubrica domenicale, il contributo di Agostino Corallo, che di cuore ringraziano
La finalità di questo articolo è quella di ripercorrere sinteticamente, attraverso Ponte di Mezzo, la storia urbanistica della città, che nel processo evolutivo della sua forma (forma urbis) compì una “rotazione” da nord – ovest (il porto e la Piazza dei Miracoli) verso sud – est (quartiere di San Martino e la Fortezza Nuova con il bastione Sangallo), il cui “centro” si colloca appunto nella “preesistenza ambientale” costituita dal ponte, per il quale possiamo dire con V. Galliazzo che “se l’architettura, in ultima analisi, è la continua invenzione dell’abitare, cioè di porsi sulla terra e di vivere e pensare, i ponti, in particolare, mostrano di essere una continua invenzione del collegare, anche se anch’essi rientrano nella sfera del nostro abitare” .
Infatti, già il pensatore tedesco Martin Heidegger affrontando nella sua opera “Costruire, abitare e pensare”, in termini non esclusivamente filosofici, la relazione tra architettura e funzioni dell’architettura, assegna al costruire (l’architettura) la caratteristica di “modo” dell’abitare (le funzioni dell’architettura), ovvero la capacità di essere nel mondo attraverso un equilibrato rapporto tra naturale ed artificiale, che vuol dire consapevolezza della ineludibile interazione tra natura, storia e cultura vincolata dalla irreversibilità.
Quest’opera, che in epoca romana era l’unico collegamento tra la civitas e la riva sinistra o riva sud del fiume Arno, aveva allora la struttura di legno (pons sublicium) con “stilate” o “palate” (sublicae), struttura portante verticale, a supporto di un impalcato, struttura portante orizzontale con parapetti a transenna di tipo “reticolare a croce decusata o di Sant’Andrea”, sostenuto da travate opportunamente rinforzate con saettoni (puntoni), molto probabilmente perché elemento di unione secondario tra l’area urbanizzata presente sulla riva destra (o riva nord) e la “via consolare” Aemilia Scauri, congiunta alla via Aurelia (242 a.C.) lungo l’itinerario che da Roma attraverso la Liguria portava verso la Gallia.
Lo sviluppo urbano dell’area detta “Kinzica”, lungo la riva sinistra del fiume Arno, inizia in maniera significativa solo dopo la caduta dell’impero romano (476 d.C.), ossia durante l’alto Medioevo, quando questa zona per secoli impaludata, come indicherebbe, secondo studi linguistici relativamente recenti (Arcamone – 1978), lo stesso toponimo, derivante da kinzig di origine longobarda ed indicante un’area depressa rispetto alle circostanti, viene sottoposta a bonifica per colmata (“pianura alluvionale”), come continua a testimoniare l’opera di derivazione, di epoca rinascimentale (1558), delle Bocchette situata al margine nord-orientale del quartiere di Putignano. Tant’è che, scrive M. Berretta, “in seguito alla costruzione della cerchia (delle mira) del 1155 il Pons de Arno non fu più un attraversamento suburbano esterno alle mura, ma divenne uno degli elementi centrali della città, contribuendo ad influenzare lo sviluppo urbano dell’area circostante.”
E’ dunque nel Medioevo (1382 – 1388) che Ponte di Mezzo, per iniziativa promossa dal signore di Pisa Pietro Gambacorti (nel palazzo omonimo ha sede il Comune) cambia la sua tipologia tanto strutturale, che diventa ad arco, quanto costruttiva, che diventa di muratura di pietrame, con una geometria longitudinale (profilo) a tre campate e due pile (piedritti) in alveo, che rimarrà invariata anche dopo la sua ricostruzione, tra il 1637 e il 1660 su progetto dell’ingegnere Francesco Nave (foto 1), conseguente al collasso causato da una piena.
Solo a seguito del crollo, verificatosi durante il secondo conflitto mondiale e dovuto ad una operazione dei genieri tedeschi, del 23 Luglio 1944 continuando a svolgere per Pisa una funzione di fulcro, il ponte andò incontro ad una trasformazione che fu, al tempo stesso architettonica, costruttiva e strutturale, mobilitando energie ed intelligenze non solo autoctone, che lo inseriscono per le sue caratteristiche costruttive (uso del “sistema Melan” – Bauwise Melan) (foto_2 e 3) tra le pagine più interessanti e significative della storia dell’Ingegneria Strutturale italiana.
La matrice culturale e tecnologica, inizialmente (1892) impostata come una tipologia costruttiva di solaio (suspended floor) formato dalla combinazione di costole ad arco di acciaio e volte di calcestruzzo, proveniva dall’ingegnere austriaco Joseph Melan (1853 – 1941), un’autorità indiscussa nella teoria e nella pratica della costruzione dei ponti in Austria, che per primo realizzò nel 1898 a Steyr il ponte ad arco Schwimmschul, con luce di 42 m, impiegando una centina (armatura rigida) di acciaio che, invece di svolgere la sola funzione di opera provvisionale di sostegno delle casseforme, entro cui disporre prima le barre di armature e successivamente il getto di calcestruzzo, aveva una funzione strutturale permanente, restando annegata entro la massa di conglomerato cementizio di completamento dell’arco, di cui sostiene il peso durante la sua maturazione ed insieme alla quale reagisce alle ulteriori azioni, permanenti e variabili, alle quali l’arco sarà soggetto nel corso della sua vita nominale di progetto, realizzando in tal modo ciò che oggi chiamiamo una struttura composta di acciaio-calcestruzzo.
Il sopra citato ruolo di fulcro svolto dal ponte, si espresse anche nel fatto che la sua ricostruzione postbellica venne preceduta dal referendum cittadino (sono gli stessi anni di quello nazionale relativo alla forma statuale di Monarchia o Repubblica) indetto per la scelta della geometria dell’opera (tre campate oppure una).
L’opzione per la soluzione a campata unica (foto 2) vide impegnata nella elaborazione del progetto strutturale esecutivo e nella sua esecuzione la “FerroBeton SpA”, società fondata dal marchese Carlo Feltrinelli, padre dell’editore Giangiacomo, al cui interno operavano, con compiti diversi, l’ing. Agostino Agostini Venerosi della Seta, amministratore delegato formatosi nell’Ateneo pisano, ed il prof. Giulio Krall, capo dell’ufficio tecnico formatosi prima al Politecnico di Milano, come ingegnere, e dopo all’Università di Roma, quale allievo di Tullio Levi – Civita, come matematico.
Figure, queste due, importanti per la ricostruzione di Ponte di Mezzo (1948 – 1950) e non solo, basti ricordare la loro presenza, pochi anni dopo (1951), nel progetto strutturale e nella esecuzione del Ponte dell’Impero, lungo la S.S.1 “Aurelia”, in cui torna ad essere impiegato il “sistema Melan”, del quale Krall era riuscito a contenere i costi sfruttando le proprietà reologiche (capacità di adattamento) dei calcestruzzi giovani derivanti appunto dagli scorrimenti viscosi(fluage o creep), ed a cui dedicò un particolare interesse dopo il confronto con i problemi economici e tecnici, relativi a difficili condizioni topografiche e geotecniche, posti alla realizzazione della centina provvisionale, come aveva già sperimentato nel 1937 nell’esecuzione del progetto per l’attraversamento del torrente Biedano, nella regione della Tuscia, presso Viterbo, dove si rinviene una forte presenza di terreni piroclastici o tufi vulcanici profondamente scavati dal corso d’acqua, attirando l’attenzione della cultura tecnica europea. Dette condizioni, nelle attuali Norme Tecniche per le Costruzioni (NTC 2008 aggiornate dalle NTC 2018) attraverso la individuazione del volume significativo e la caratterizzazione geologica e fisico – meccanica del sottosuolo permettono la valutazione della risposta sismica locale(RSL) indispensabile alla definizione dell’azione sismica di progetto. Introducendo per tale azione, variabile nello spazio e nel tempo, un approccio prestazionale che impone alla capacità (caratteristiche) della costruzione, per mezzo del rispetto di più stati limite ( di esercizio SLE ed ultimi SLU), di essere congruente (maggiore o uguale) rispetto all’azione, terminologicamente indicata come domanda.
La più eloquente testimonianza, della poco sopra citata attenzione della cultura tecnica europea, è fornita dalla lettera che Enrico Volterra, figlio di Vito, matematico prima a Pisa e poi a Torino dove conobbe Enrico D’Ovidio, al quale dobbiamo le omonime equazioni integrali del primo tipo considerate anche nella teoria della viscoelasticità lineare, inviò da Londra, il 20 maggio 1939, al matematico Tullio Levi-Civita, scrivendo: ”Se vede il Professore Krall, Le sarò grato se lo vorrà salutare da parte mia e dirgli che nell’ultimo numero (Maggio 1939) della Rivista inglese: “Concrete and Constructional Engineering” vi è un lungo articolo, corredato da fotografie, sul suo ponte sul torrente Biedano. È messo particolarmente in rilievo il metodo impiegato per la costruzione della centina”.
Queste brevi note nelle quali si è tentato di ricostruire, nel quadro della storia della città di Pisa, l’intreccio tra problemi sociali, urbanistici, architettonici e di ingegneria strutturale, evidenziando il ruolo di qualche personalità di rilievo, nella vicenda relativa alla attuale configurazione di Ponte di Mezzo, mirano a ribadire, richiamando alcune tappe del denso percorso teorico – pratico del prof. Giulio Krall, la pregnanza della lezione galileiana sulla necessità di coniugare “le sensate esperienze con le certe dimostrazioni” da un lato e dall’altro la inderogabilità di un articolato ed equilibrato rapporto tra il patrimonio tecnico – scientifico, più in generale culturale, e i contenuti dell’azione politica, quale riconoscimento pieno ed autentico dell’unità del sapere, nella sua duplice valenza di astratto e concreto, che nella specificità delle questioni esaminate può esprimersi nel modo migliore attraverso un’oculata pianificazione territoriale, al tempo stesso pianificazione urbanistica e dei trasporti, improntata alla sostenibilità ambientale, economica e tecnica.
E’ doveroso altresì ricordare che il progetto architettonico fu il risultato della collaborazione di cinque membri dell’Accademia dell’Ussero (di Pisa), gli architetti Sergio Aussant, Renzo Bellucci, Giovanni Salghetti Drioli, Raffaello Trinci e dello scultore Mario Bertini, ai quali va riconosciuto il merito di aver interpretato adeguatamente, con la forma assai snella dell’unica arcata, il genius loci dei lungarni di Pisa. Riuscendo ad innovare senza stravolgere, rinunciando, nella impossibilità di un restauro per anastilosi, al vano tentativo di riprodurre l’identico ed intrecciando un proficuo dialogo tra l’universo della forma (espressività formale) e quello della funzione statica, dipendente, ieri come oggi, dai ” nuclei duri” dell’equilibrio, della congruenza e del legame costitutivo, ed attingendo una efficace sintesi tra i principi della firmitas, della venustas e della utilitas, che già Vitruvio aveva individuato come coordinate generali dell’arte del costruire.
A tale proposito ritengo opportuno riportare, a chiusura dell’articolo, quanto scrisse Franco Russoli, in merito alla ricostruzione di Ponte di Mezzo nella rivista quadrimestrale “Paesaggio”: “Non intendo illustrare l’opera nei suoi caratteri tecnici: mi interessa soltanto notare come gli autori siano riusciti a rispettare il valore ambientale del Lungarno, inserendo la ampia linea dell’arcata nel gioco armonioso di dolci curve del fiume, i muraglioni, le spallette e lo svolgersi delle facciate dei palazzi compongono. Il nuovo elemento, per puri valori architettonici, senza nessuna concessione a quel “falso” estrinseco alla struttura dell’opera – di cui tanto i grossi nomi dell’architettura del ventennio e i loro miseri seguaci provinciali hanno abusato – si collega allo spirito dell’ambiente. In questo sarà aiutato dal valore “colore” tanto importante nel Lungarno pisano, pacata armonia di giallo, di rosa, di grigio.
L’ardita elegante leggerezza dell’arco, che si parte da forti spalle di sapore sangallesco, sostituisce senza brusche rotture di continuità la ferma potenza del vecchio ponte. Con intelligente parsimonia di mezzi gli autori del progetto hanno offerto una dignitosa risoluzione del difficile problema. Si prenda questa nota come un invito alla discussione.”
Agostino Corallo (ingegnere civile, nato a Campobasso e residente a Pisa)
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