di Franco Mancini
Due avvenimenti delle ultime ore, seppur così apparentemente lontani, ci offrono lo spaccato di un comune denominatore: non è vero che il Molise “non esiste”, secondo un’aneddotica di largo consumo.
Il problema reale è che “non resiste”, immemore delle sue origini sannite.
La sua soglia d’indignazione è come “non pervenuta”.
Tutto scorre sul suo tessuto sociale, come una spugna che qualunque fatto (o misfatto) assorbe.
Due candidature del Centro-Destra – quelle dei Collegi uninominali, cosiddetti “sicuri” – sono state appaltate dai partiti nazionali a due personalità note, come Cesa e Lotito, ma certamente poco avvezze ad occuparsi delle nostre vicende di periferia.
Più o meno nelle stesse ore, il Presidente della Lega Pro, Ghirelli, un giorno sì ed un altro pure, faceva comizi sulla grande “ferita” inferta all’ordinamento calcistico dalla Ordinanza del Consiglio di Stato che ha disposto la sospensione dell’esclusione del Campobasso Calcio dalla serie C, meritatamente conquistata sul campo, fino al punto di spingersi a costituirsi (caso senza precedenti) nel giudizio dinanzi al Consiglio di Stato, che si celebrerà il 25 agosto.
Le due vicende – senza entrare più di tanto nel merito – tradiscono metodi e sistemi che, in altre aree del Paese, sono stati (o sarebbero) contrastati con ben diversa passione civile e con ben altro orgoglio di appartenenza.
La sicumera con la quale i partiti nazionali (si pensi anche alle imposizioni romane sui 5 Stelle, sul versante politico) e la Lega Pro (sul versante calcistico) stanno considerando il Molise come un vaso di coccio, offende non soltanto i papabili candidati molisani o la società rossoblu, ma l’intera comunità regionale, ed è il precipitato dei lunghi anni di rassegnazione o pavidità della classe dirigente e della cosiddetta società civile molisana.
Il paracadutismo elettorale non è dei giorni nostri: è una tradizione di famiglia, rispettata sia dalle coalizioni di centro-destra che di centro-sinistra.
Abbiamo dimenticato i Cefaratti, gli Orlando, la Cinzia Dato, i Berlusconi o i La Loggia (per citare solo alcuni), catapultati dai diktat centrali?
In questa chiave, mi sorprendono le dichiarazioni sdegnate di politici, che pure stimo sul piano personale, come il collega Facciolla, che parla, solo ora, di vergognosa colonizzazione, o della Fanelli, che osserva, secondo i canoni della doppia morale, che Cinzia Dato o Federico Orlando erano personaggi di acclarata levatura.
Cinzia Dato, a mia memoria, una volta eletta, si è impegnata per il territorio, ma Federico Orlando, che ciascuno di noi ha ammirato come giornalista, vice del grande Indro Montanelli, campione della pubblicistica della destra conservatrice (prima della conversione all’anti-Berlusconismo), ha mai preso un caffè nel Molise, prima e dopo la sua elezione in Parlamento?
E lo dico per dati oggettivi ed inconfutabili, e non per revanche personale, atteso, peraltro, numeri alla mano, che nel 1996 ho vinto il duello diretto a condizioni di parità, avendo invece perso oltre 8 mila voti per la presenza di altre tre liste interne allo schieramento, mentre Orlando non ha dovuto dividere con alcun “alleato” (?) il suo pacchetto di consensi.
La verità vera, ieri come oggi, è che il popolo molisano, oltre ad avere un tasso di ribellione molto tiepido, si lascia spesso sopraffare dal cupio dissolvi, o, per dirla più prosaicamente, dal “Muoia Sansone con tutti i Filistei”, per cui è meglio accogliere un estraneo, che non vedere eletto il vicino di casa o il rivale delle pareti domestiche.
L’obiettivo da tenere a cuore, al di là dei nomi e dei diritti di nascita, dovrebbe essere quello di avere partiti ed espressioni del mondo del lavoro, delle imprese e delle professioni, in grado di predisporre programmi nati dal confronto sulle priorità locali e davvero utili e funzionali alla difesa dell’identità regionale (un’Agenda Molise, per usare un termine tanto abusato), da consegnare e da fare ossequiare (è un’utopia?) ai migliori interpreti in assoluto (vincolati da un patto con il territorio), in considerazione del loro cursus honorum piuttosto che del certificato di residenza.
Prendiamo poi il caso di Francesco Ghirelli, che non perde occasione, contro ogni forma di galateo istituzionale, ed incredibilmente “ad urne aperte”, e cioè prima che il Consiglio di Stato si pronunci, di ventilare i danni che la riammissione del Campobasso Calcio produrrebbe al “sistema calcio” ed alla sua “sostenibilità economica”, dolendosi che verrebbero puniti “i fessi” (ipse dixit) che pagano i tributi, rispetto a quelli inadempienti.
Il diritto di difesa è un valore costituzionalmente garantito, che nessuno può permettersi di interdire, e l’Ordinanza cautelare del Consiglio di Stato sottolinea, con dovizia di raffinate argomentazioni, come il fenomeno dei debiti tributari sia estremamente esteso, e, quindi, il Campobasso non sembra più insolvente di altri sodalizi: i Giudici amministrativi rimandano, inoltre, ad un principio che si va sempre più radicando, anche alla luce del nuovo Codice della Crisi d’impresa e dell’insolvenza, secondo il quale il bene-impresa va preservato al massimo delle possibilità, quale valore fondamentale per l’occupazione e per l’economia del Paese. Ciò posto, è mai concepibile che il Presidente “di tutti” assuma posizioni così nette contro una società affiliata, dimenticando d’incanto (anche qui con morale intermittente) quale rosario di iscrizioni al buio abbia consentito di disputare campionati a società che sono poi addirittura fallite a torneo in corso?
Un altro interrogativo dovrebbe muovere le coscienze: se anche l’esito del CdS fosse favorevole al Campobasso (come auspichiamo), in quale ambiente, a causa dell’ostile campagna promossa dai vertici federali, si troverebbe ad agire la società rossoblu, presentata come la danneggiante di tutto il panorama pedatorio nazionale?
In altri campi, si parlerebbe di legittima suspicione; in questo, fermiamoci all’ipotesi di incontrare tifoserie poco accoglienti.
Ed allora, anche su questo fronte, era fondato attendersi una reazione, civile, ma ferma, della popolazione molisana, e dei suoi rappresentanti istituzionali (ha fatto meritoria eccezione il solo Gianluca Cefaratti), per fare sentire la voce di cittadini che, per dirla alla Ghirelli, sono buoni, ma non fessi, e che, forse, da queste ultime ed ennesime lezioni, avranno imparato a regolarsi per il futuro.