“Il giro di boa”, come accompagnare gli adolescenti in fase di crescita

“Alesia e i suoi compagni di viaggio” ospitano, nella consueta rubrica domenicale, il contributo di Magda Cacchione, che di cuore ringraziano.

IL GIRO DI BOA
Come “accompagnare” gli adolescenti in fase di crescita; come superare nella maniera più indolore possibile la “crisi di mezza età”; come fare affinché i propri bambini stiano al passo con gli altri; quanto è giusto ricorrere ai famigerati aiutini chirurgici per scongiurare la paura del tempo che passa..
Ma nel mezzo di tutto questo chi c’è?
Chi è quell’esercito di persone cresciuto con i Power Rangers in Tv, le Spice Girls in radio, con gli appuntamenti per le uscite presi al telefono fisso, i pomeriggi in cortile reclutando i compagni citofonando giù al palazzo, il piacere di fare le collette per comprare patatine e caramelle al negozietto di quartiere per mangiarli poi tutti insieme?
Chi è, oggi, quell’esercito di bambini, ritrovatosi adulto, perché a trent’anni si è adulti, in un mondo che li ha voluti a tutti i costi laureati, masterizzati, dottorati, al passo con le tecnologie, veloci, performanti e spesso inoccupati ed estremamente lenti se non addirittura bloccati in una sfera emotiva rimasta in standby da più o meno un paio di decenni?
Dei trentenni non si sa niente. Invisibili alla politica, dipinti attraverso stereotipi, con un piede nel regno dei ragazzi e l’altro in quello degli adulti. Su un terreno troppo soggetto a smottamenti per non far tremare le gambe e troppo instabile per non far temere che possano essere sabbie mobili.
Secondo un recente studio nazionale tanti sono i “giovani”, nella cui categoria rientrano ormai anche i trentenni, sovraistruiti che si trovano a ricoprire dei ruoli professionali per i quali non c’è una corrispondenza con il livello del titolo di studio posseduto oppure non c’è alcuna esperienza professionale alle spalle, criterio molte volte adottato per scartare i “giovani adulti trentenni” dall’opportunità lavorativa. In questo scenario il Molise si colloca al quarto posto .
Tale situazione spesso attiva meccanismi di demotivazione e scoramento andando anche a minare elementi quali la fiducia in se stessi e l’autostima con conseguenze psicologiche, talvolta molto gravi.
Se si parte ad osservare la fotografia fornita con un occhio critico, è evidente come le svariate definizioni – bamboccioni, choosy, neet, sfigati- affibbiate a coloro i quali oggi hanno trent’anni non rappresentano nient’altro che l’incapacità della società di comprendere che quell’esercito di solitudini sta da anni combattendo una battaglia silente verso un processo di emancipazione che risulta tortuoso ma necessario per comprendere “chi siamo”. Ma se non si viene riconosciuti, a livello sociale, per quelle che sono le reali competenze, il processo di individuazione risulta essere, senza ombra di dubbio, più duro.
Il tempo che scorre è una costante che, oggettivamente, mette sempre un pò d’ansia, soprattutto se si fa parte di una generazione perennemente sotto giudizio e nel mirino di etichette per altro quasi mai gratificanti.
Eccola allo specchio, la generazione dei trentenni, con le prime rughe d’espressione, con qualche capello bianco ancora ben camuffato, circondati da adolescenti che si rivolgono loro con un “signore”/“signora” e nonni che continuano a dargli dei “ragazzini”.
Un esercito di soldati che combatte una guerra invisibile, dicevamo, col mondo esterno ma soprattutto con nemici interni con i quali è fondamentale fare conoscenza, accettarli e farli alleati. Perché se da un lato è vero che i trent’anni rappresentano una sorta di giro di boa e quindi di primi bilanci, dall’altro possono rappresentare anche un’opportunità per cambiare rotta, per prendere coraggio, per scrollarsi di dosso le definizioni che non corrispondono alla realtà.
Non c’è un modo giusto o sbagliato per incamminarsi, ognuno è unico, ognuno è un mondo a sé.
Ci sono, però, modalità più o meno funzionali in un’ottica più ampia e complessa dove la complessità diviene fulcro di ogni relazione autentica e quella con noi stessi dovrebbe sempre esserlo, per principio. La complessità permette di guardare il mondo in maniera libera, completa, lontana dalla linearità e dal riduzionismo.
La fuga fisica pare essere la strada maggiormente percorsa e quella che, almeno sulla carta risulta essere più funzionale. Fuggire da se stessi, invece, deresponsabilizzandosi perché “chi me lo fa fare” o perché “tanto non cambierà mai niente”, è sicuramente la soluzione più pericolosa e l’auto boicottaggio più triste che possiamo fare alla nostra persona.

È importante imparare a stare se si è scelto di restare ma per stare ci sono modi e modi.

Provare a stare nelle emozioni che non ci piacciono, familiarizzare con i pensieri generati da esse, attraversarli e trasformarli, senza guardare sempre “gli altri” è un buon punto di partenza per restare.
Perché a trent’anni si ha ancora tanta forza per trasformare il dolore, le frustrazioni, i fallimenti. Perché dare un senso alla propria Vita è possibile solo prendendo coraggio, incamminandosi verso la parte più profonda di noi, dove risiedono i nostri desideri e le nostre passioni, dove le idee possono prendere forma attraverso la creatività che c’è in ognuno di noi e che molto spesso, si è convinti di non possedere.
Costruire ponti con chi è intorno a noi non perdendo tempo a demolirli, ci farà persone migliori, trentenni più consapevoli e chissà, magari pionieri di nuove strade non ancora percorse da nessun altro prima.
Con questi presupposti il Viaggio sarà equilibrato perché il mezzo guidato risponderà, sincronicamente, a tutti gli input inviati e le strade che ci troveremo davanti non saranno più vicoli ciechi.

Dott.ssa Magda Cacchione

BIOGRAFIA
Laureata in Psicologia Clinica e della Salute presso l’Università degli Studi “G. D’Annunzio” di Chieti-Pescara.
Specializzata in Psicoterapia clinica sad sistemico – relazionale presso l’Istituto di Psicoterapia Relazionale (I.P.R.) di Napoli.
Coniuga nella sua attività di libera professionista che svolge a Campobasso, esperienze professionali acquisite in vari enti del territorio regionale (Dipartimento di Salute Mentale di Campobasso, Consultorio Familiare di Larino (Cb), Casa Famiglia di Cercepiccola (Cb) ed esperienze personali prediligendo l’uso dei testi musicali come strumento di conoscenza ed evoluzione durante il processo di psicoterapia.
Collabora con l’associazione “Alesia 2007” Onlus dal 2019.

CONTATTI:

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