Il dolore del vento – Il silenzio ha preso il posto delle attività produttive (L’EDITORIALE)
La crisi morde nell’area industriale di Campobasso
MIMMO DI IORIO
Il rumore del vento e il canto degli uccelli. I suoni della natura, si potrebbe pensare. Se solo ci trovassimo in un bosco o in aperta campagna. In questo caso, però, fanno da cornice ad uno scenario desolante. Là dove c’era frenesia, rumore, lunghe code, chiacchiericcio, lavoro, oggi c’è silenzio. Non si fa fatica ad utilizzare il più famoso degli ossimori per descrivere la situazione: un silenzio assordante. La figura retorica ci aiuta a far comprendere quel silenzio. Che fa rumore e mette i brividi. Perché quel silenzio, a volte, significa morte. La morte delle attività produttive. Il lavoro che non c’è più. Diretta conseguenza di una vita che non è più vita. La pandemia con cui l’umanità sta facendo i conti da oltre un anno sta procurando morti su morti. Quelle terribili negli ospedali, ma anche quelle economiche. Così, quella che era una delle zone più attive e produttive di Campobasso fino ad un anno fa, è piombata nell’abisso della crisi. Un’area che si è sviluppata nell’ultimo decennio e che ha visto il fiorire di attività che hanno occupato quei “capannoni”. Ora, però, gli spiazzali sono vuoti. Non c’è più il rumore della saldatrice del carrozziere, non si odono i motori delle auto dal meccanico, non si sente la fresa del falegname. Niente più file nel centro distribuzione per ricambi, nessuna coda all’ingrosso di vernici. Solo silenzio, il rumore del vento e il canto degli uccelli.
Dietro ad ognuna di quelle attività ci sono persone, ci sono famiglie. Che lottano ogni giorno non solo con la pandemia, come tutti, ma anche con i conti che non tornano. Avrebbero bisogno di un sostegno, perché le regole le abbiamo rispettate tutti, ma la coperta si sa, è corta. E allora qualcuno ha dovuto chiudere baracca e burattini, qualcun altro resiste ma è stato costretto a licenziare il personale. Altri ancora non riescono a far fronte alle spese, per gli affitti e i dipendenti. E in pochi riescono ad intravedere la luce in fondo al tunnel. Ci raccontano di sperare nel vaccino per uscire subito dall’inferno. I più ottimisti sperano nella primavera da poco arrivata, segno da sempre di rinascita. Così come la Pasqua, appena trascorsa. Magari il vento caldo dell’estate spazzerà via definitivamente l’infido virus.
Nell’attesa a loro non resta che udire il dolore del vento.
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