Pubblichiamo l’editoriale uscito nell’edizione di questa mattina, 1 settembre, di Primo Piano Molise a firma del commercialista Davide Sirano su quanto accaduto nell’ambito del Click Day.
“Qualcuno lo ha dimenticato, ma molti altri hanno ancora impresso nella memoria il negativo clamore che suscitò, nella collettività molisana, il famoso “click day” del 12 giugno scorso. Si trattò, per chi non lo ricorda, della procedura a sportello, con la quale le aziende molisane furono chiamate a confrontarsi con il “funzionamento” del Mosem, per accedere alla graduatoria ed essere ammessi al contributo di cui al bando regionale numero 57 del 28 maggio 2020. Sembra, ma su questo non ci sono numeri ufficiali, che le domande presentate furono più di 6mila. Il 4 agosto la Regione, in maniera abbastanza tempestiva, visti i numeri delle domande da esaminare, ha pubblicato l’elenco delle 1.834 aziende ammesse a contributo e, subito dopo, ha loro inviato una comunicazione con la quale chiede di formulare la richiesta di erogazione del contributo. Ed è qui che iniziano le dolenti note! La richiesta è composta da un facsimile di domanda, diverso a seconda del fatto che l’azienda beneficiaria sia un’azienda che abbia avuto sospesa o ridotta l’attività, complessivamente composta di sei fogli formato A4, alla quale allegare almeno otto altri allegati. Complessivamente: non meno di 46 fogli formato A4; nove dichiarazioni sostitutive dell’atto di notorietà, 12 firme autografe, nove fotocopie del documento di identità. La questione si complica se a richiedere il beneficio è una società, perché, in questo caso, bisognerà aggiungere l’autocertificazione di assenza di carichi pendenti e la certificazione privacy per ognuno dei soci “partecipanti”. Sì, avete letto bene “soci partecipanti”, così è scritto nel messaggio contenuto nel sito regionale. Il perché di tale qualificazione del socio non è facile arguire, almeno io non ci sono riuscito, per me è un arcano che lascio volentieri sciogliere, se lo vorrà, a chi la qualifica ha ideato e scritto. L’aver previsto l’autocertificazione della mancanza di carichi pendenti in capo all’amministratore della società è cosa buona e giusta, ma l’aver esteso tale richiesta ai soci partecipanti è incomprensibile, se si considera che l’assenza di carichi pendenti è condizione per la fruizione del contributo. Faccio un esempio: una cooperativa composta da 10 soci (immagino tutti partecipanti perché soci) oltre a dover allegare dieci autocertificazioni con relativi documenti di riconoscimento e dieci autorizzazione privacy, si potrebbe veder esclusa dal beneficio perché uno dei soci potrebbe aver avuto un semplice rinvio a giudizio e, quindi, sarebbe impossibilitato a rilasciare la certificazione dei carichi pendenti? A me sembra un paradosso! Ma non basta! Andiamo alla modulistica. Abbiamo detto: domanda e, normalmente, otto allegati, complessivamente 46 fogli. A proposito dei fogli: guai a non allegare i fogli dei fac simile in bianco, non compilati in quanto riferibili a situazioni che non interessano il richiedente, «perché le pa gine non di interesse occorrono ai fini dei controlli di completezza delle pratiche». Testuale risposta ad una mia precisa domanda sull’help desk della Regione. Quindi, il beneficiario, nel caso specifico rappresentato normalmente da un imprenditore individuale è chiamato a riempire otto moduli nei quali dovrà riportare per almeno otto volte le proprie generalità, codice fiscale, residenza, luogo e data di nascita, estremi del documento di riconoscimento, data e soggetto che lo ha rilasciato e, per altrettante volte, denominazione dell’azienda, codice fiscale, partita Iva, sede dell’attività, etc. E non basta, perché a pagina 6 della richiesta di sovvenzione bisogna «autocertificare, infine, i dati occorrenti per la richiesta Durc», cioè: tipologia dell’impresa, partita Iva/codice fiscale, posizione Inps, posizione Inail, sede Inail, pec, e la sede legale o sede operativa dell’impresa completa di cap. Ora, a parte il fatto che gli addetti ai lavori, meno che l’estensore del documento, sanno bene che per la richiesta del Durc necessita il semplice codice fiscale dell’azienda, perché richiedere, a parte la matricola Inps e il codice azienda Inail tutti gli altri dati che sono stati autocertificati già almeno altre otto volte nella altre altrettanti autocertificazioni? Mah! Altra chicca: pagina 5 della domanda bisogna elencare la documentazione allegata alla stessa e sono indicati a fianco del quadratino da barrare gli allegati. Manca l’allegato 9, la dichiarazione di assenza ordini di recupero. Ma veniamo ai numeri. Al termine della domanda ogni beneficiario avrà prodotto non meno di 51 fogli A4, avrà ripetuto per nove volte le proprie generalità, nome cognome luogo e data di nascita, residenza, codice fiscale, tipo documento di riconoscimento, numero, data ed autorità che lo ha rilasciato, sede dell’azienda, partita Iva, etc., ed avrà prodotto non meno di 51 fogli A4 contenenti almeno 12 firme autografe. Moltiplicando il numero dei fogli A4 (51) minimo richiesto per ogni domanda per il numero delle domanda ammesse (1.834) si ha che, senza considerare l’immancabile spreco di carta dovuto ad errori commessi nella compilazione della modulistica, sono stati necessari 93.534 fogli formato A4 pari a 234 risme di carta. Si poteva risparmiare carta, tempo, e ridurre al minimo gli errori semplicemente posizionando la richiesta di autocertificazione all’interno di un unico documento contenente anche la richiesta di erogazione della sovvenzione. Il modulo sarebbe stato massimo di 10 fogli A4 ed avrebbe contenuto una o più firme autografe ed un unico documento di riconoscimento. Non si è fatto. Voi sapete perché?…”.