Il calcio non è fatto solo di campioni e di grandi allenatori. Non tutti si chiamano Cristiano Ronaldo, Francesco Totti, Max Allegri o Antonio Conte. Molti giocatori devono accontentarsi di una comparsata qui e là; la maggior parte resta nell’ombra, o comunque lontana dalla luce dei riflettori per anni o fino a fine carriera.
Ma tutti, anche i più assidui frequentatori delle panchine, sono, agli occhi dei tifosi e degli appassionati degli idoli. E dei nomi cui anche gli appassionati di scommesse sportive di William Hill guardano prima di puntare.
E le storie di questi giocatori e allenatori “nella media” spesso si incrociano tra di loro e, pur non partecipando allo sport dei milioni di euro, contribuiscono alla storia del calcio giocato, vissuto e amato.
Così si potrebbe dire di Bruno Pace e di Pino Caramanno, del Palermo e del Foggia.
Bruno Pace se n’è andato qualche giorno fa all’età di 74 anni, ma prima di morire aveva calpestato i campi da calcio come giocatore prima e come allenatore poi.
Nonostante si presenti al provino per la Primavera del Pescara in vespa, con i capelli lunghi e il sigaro in bocca, viene immediatamente preso, grazie alla sua abilità con la palla. Arriva al Bologna proprio l’anno dello scudetto, ma in quegli anni è in prestito al Prato e al Padova. Quando nel 1966 torna nella città dei Portici, non lo lasciano più: 112 partite e 5 gol. Al momento di lasciare Bologna, potrebbe andare a Cesena, ma preferisce Palermo, per concludere infine la carriera a Verona.
La seconda fase della sua vita lo vede allenatore. Nel 1979-80 debutta come ct a Modena e lo trascina dalla C2 alla C1 (primo posto a fine campionato). Il Catanzaro lo vuole in serie A e questa sarà il grande successo della sua carriera, oltre che della squadra: settimo posto in campionato (il miglior piazzamento in assoluto per i calabresi), e quasi finale di Coppa Italia (batte l’Inter 3-2 ma non basta); strapazza per ben due volte il Milan e rischia di far perdere lo scudetto alla Juventus proprio all’ultima giornata.
Pace poi allenerà ancora: in Serie A, il Pisa; in Serie B, Bologna, Catania e Avellino. Concluderà la carriera nel 2002 a Foggia.
E se a Palermo e Foggia era passato Pace, vi aveva lasciato il segno anche Pino Caramanno, palermitano di Piana degli Albanesi.
Dopo aver allenato in D la Sanremese, nel 1987 viene chiamato dalla “sua” Palermo, appena radiata, per ripartire dalla C2. Il campionato è un successo: Caramanno mette in piedi una squadra partendo letteralmente da zero e i rosanero sono promossi in C1. Un mister così meriterebbe di seguire la squadra e questo è quello che Caramanno stesso aveva chiesto in caso di promozione. La dirigenza alla firma del contratto aveva detto di sì, ma non era stato scritto nulla e le promesse non vengono mantenute, perché Caramanno “non sembra adatto alla C1”.
Ma sarà lo stesso Caramanno a dimostrare il contrario.
Il Foggia milita in C1 e lo vuole sulla sua panchina. Anche questo campionato è un successone: fino a quattro giornate dalla fine, il Foggia guida la classifica. Qualcosa va storto contro il Giarre e ne approfitta il Cagliari di Ranieri che passa al primo posto, perdendolo però proprio a Foggia. L’ultima giornata vede di fronte le due dirette interessate alla B: il Foggia e il Palermo, secondo a due punti. Ai rosanero serve una vittoria, ma non va oltre l’uno a uno, dopo un match convulso, come ci si aspetta da qualsiasi “finale”.
Il destino di Caramanno sarà comunque quello di non seguire il Foggia nella serie cadetta e la sua delusione sarà tale, che non andrà a festeggiare con la squadra e 10.000 tifosi alla Zaccheria.
Ma avrà avuto la soddisfazione di promuovere due squadre in due anni. Mentre il Palermo, che non l’aveva ritenuto all’altezza della C1, arriverà in B solo nel 1990-91, anno in cui il Foggia di Zeman approderà in A.