I ‘ragazzi interrotti’ del Covid: “Il lockdown ha stravolto la loro vita” (L’INTERVISTA)
Lo studio è arrivato dall’ospedale Bambin Gesù di Roma che ha denunciato, durante i mesi del lockdown, un boom di tentati suicidi tra i giovanissimi, si stima un aumento del 30% dei casi e quasi un ricovero al giorno per attività autolesionistiche. Il lockdown è passato e si è tornati alla normalità di un vita più sociale ma gli strascichi dello stravolgimento delle nostre vite si sentono ancora adesso. Ne abbiamo parlato con la dottoressa Alessandra Ruberto, psicologa e presidente dell’Ordine degli Psicologi del Molise con la quale abbiamo voluto analizzare il problema e tutte le ripercussioni per i giovani.
I ragazzi sono stati probabilmente tra i più colpiti. Quali sono i disagi che maggiormente hanno riscontrato?
Assolutamente, i ragazzi hanno subito una vera e propria interruzione. Hanno dovuto modificare, come tutti, il loro stile di vita. Tuttavia per loro il discorso è differente. L’adolescenza è per sua natura un processo di cambiamento che necessita di alcune fondamentali caratteristiche e la prima tra queste è senza dubbio il gruppo dei pari. In questa fase il ragazzo, la ragazza, vivono un processo di modifica del loro corpo e hanno necessità di confrontarsi con chi vive le stesse emozioni e trasformazioni. In questo periodo avviene la fase di separazione ed individuazione, ovvero il bambino si stacca dalla figura di attaccamento ed entra nella società attraverso il gruppo. È chiaro che durante il lockdown ma anche con le restrizioni subite i ragazzi sono stati interrotti in questo processo e ne hanno subito le conseguenze psicologiche.
Da genitori a quali sintomi bisogna fare attenzione per intercettare un disagio prima che questo diventi una vera e propria patologia?
È difficile cogliere i campanelli di allarma nella fase adolescenziale perché la fase stessa per i genitori è tutto un allarme. Aumentano i conflitti, partono comportamenti di sfida all’autorità genitoriale, insomma una tendenza ad affermarsi attraverso lo scontro. Ci sono però delle situazioni che necessitano un a maggiore attenzione, e sono quelle che riguarda i comportamenti “antisociali”, laddove il ragazzo non agisce per affermarsi ma per far male all’altro, oppure quando si notano eccessivi ritiri sociali.
Sempre stando all’inchiesta il 90% dei casi di tentato suicidio sono i ragazzi tra i 12 e i 18 anni, la si può definire una generazione a metà e come si può intervenire?
Come ho detto prima questi ragazzi sono stati interrotti. In un periodo in cui la formazione dell’identità è in costruzione se si cambiano le carte in tavola ovviamente si sconpagina tutto. Molti ragazzi molto bravi a scuola ad esempio hanno visto cambiare il loro profitto con la dad, molte ragazze che facevano del gruppo la loro famiglia si sono viste sole e abbandonate, molti altri che facevano dello sport una risorsa hanno dovuto sospendere, e questo vale anche per i più grandi, molti sono stati gli abbandoni agli studi dei ragazzi che si erano iscritti al primo anno di università. Ricominciare dopo 2 anni non è semplice, questi ragazzi non si sono spenti e riaccesi dopo due anni; il tempo interno non coincide con il tempo esterno. È pertanto importante che le scuole, le famiglie anche gli amici intercettino il malessere ed invitano alla richiesta di aiuti di un professionista.