«Ho sposato un Rom. Madre e moglie. Ma la gente continua a sparare nel mucchio»

Pregiudizi, ingiustizie e intolleranza al tempo del Covid. «Mio marito cambiava pannolini ai figli e preparava le pappe, un padre come tanti. Non giudicate senza sapere. I capi Rom? Non esistono».

E’ pronta questa società alla tolleranza? Potranno mai gli uomini scrollarsi di dosso pregiudizi e luoghi comuni? Domande che spesso non trovano una risposta soprattutto quando ci poniamo di fronte ad una comunità che, seppur ormai da anni inserita nel tessuto sociale della città, ancora vive episodi di discriminazioni. Parliamo della comunità rom di Campobasso che recentemente è balzata agli onori della cronaca per l’ormai tristemente noto picco di contagi Covid avvenuto fra i suoi appartenenti.

Abbiamo voluto parlarne in maniera discreta con una donna che non ha origini rom, ma ha costruito un legame d’amore e d’affetto con un uomo rom che poi ha sposato dandogli anche due figli. Una che fatto una scelta di coraggio e solo per il sentimento che nutre per il suo compagno. Assumendosi tutte le responsabilità, soprattutto quelle che la mettono a confronto coi pregiudizi della gente.

Non diremo il suo nome vero e non faremo riferimenti in modo tale che possa essere riconosibile. E non lo facciamo per codardia, ma solo per tutelare ulteriormente proprio quei figli che potrebbero soffrire per pregiudizi ed intolleranza. Lei, suo marito e i figli sono attualmente in quarantena volontaria anche se sono risultati negativi al tampone.

Anna (nome di fantasia), cosa hai pensato quando hai sentito per la prima volta del contagio nella comunità rom?

«Ho pensato che qualcuno (non so chi) non aveva rispettato le regole della distanza. C’è stata una sottovalutazione, ma credo che sia stato fatto in buonafede. Soprattutto le persone più anziane non si sono rese conto del pericolo, è come se avessero visto questo problema da lontano. A casa mia ho cercato di osservare tutte le regole, mio marito indossava sempre la mascherina quando rientrava, gli ho imposto e ci siamo imposti comportamenti che tenessero fuori da casa questo contagio. E voglio anche dire che non tutti hanno partecipato al funerale del 30 aprile».

Le discriminazioni sono sempre delle ingiustizie, pensi che vi siano state ingiustizie nei confronti della comunità rom?

«Posso rispondere unicamente per le sensazioni che avverto, per quei contatti (amici e conoscenti) che ho attraverso messaggi sul cellulare. Secondo me però in merito a questa faccenda si commette un grave errore mettendo tutto in un calderone. Ma è un modo di fare che è avvenuto anche in altri momenti diversi da questo che stiamo vivendo. Personalmente ho sempre conservato le stesse abitudini anche quando sono andata a vivere più vicina alla comunità Rom. Certo ho dovuto sopportare il fatto che quando mi sono sposata la mia famiglia di origine non è stata molto presente e comunque la capisco. Ma con il tempo ha imparato a conoscere mio marito e ha rivisto molte delle loro posizioni. Lui non mi ha mai imposto nulla, mai. Il nostro era un rapporto di reciproco rispetto. Come tanti papà anche lui mi ha aiutato nella gestione dei nostri figli quando erano molto piccoli: Aveva imparato a cambiargli i pannolini, preparava le pappe. Un papà normale. In questi giorni lui si meraviglia molto quando sui mezzi di comunicazione sente parlare di “Capi Rom”. “Ma che sono? Non esistono”. Appartengono a un immaginario collettivo sbagliato. E ti posso assicurare che la maggior parte degli appartenenti alla comunità sono brave persone e prendono le distane da chi spesso ha avuto comportamenti sbagliati. Invece posso dire che molti atteggiamenti inidonei io invece li ho dovuti subire dai cosiddetti “civili”. Spesso sono stata costretta a cambiare la scuola di uno dei miei figli che fra l’altro è rimasto anche vittima di un episodio spiacevole sullo scuolabus quando mi raccontò che un altro bambino non volle sedersi affianco perché era uno “zingaro”. In merito a ciò devo ringraziare anche l’autista del bus che subito ha preso le difese di mio figlio. Le persone sono uguali e bisogna prima conoscerle».

Che messaggio hai da dare ai cittadini di Campobasso, ma intendo anche a tutti coloro che guardano con sospetto alla comunità rom?

«Vorrei dire che non bisogna “sparare nel mucchio”. Gli errori li commettono tutti, ma non è detto che l’intera comunità rom ora debba essere vista come una fonte di contagio. Perché non è vero. I miei figli sono uguali a tutti i figli del mondo. Mio marito è una persona perbene, ha sempre lavorato anche se ora è disoccupato, ma non ha fatto mai mancare nulla alla sua famiglia».

L.S.