“Guerriglia marketing”, quando la pubblicità diventa spettacolare

Rubrica a cura di Camilla Arco

Si scrive “guerrilla marketing” ma si legge “effetto wow”.

Il termine “guerrilla marketing” viene coniato nel 1984 dal pubblicitario statunitense Jay Conrad Levinson ed è preso in prestito dal mondo militare, in cui il termine guerrilla (o guerriglia) indica la strategia che predilige i conflitti ristretti e limitati che richiedono bassi investimenti per la loro realizzazione.

Il guerrilla marketing è, quindi, quella strategia di marketing che prevede l’utilizzo di mezzi non convenzionali. Tale pratica è nata per soddisfare un bisogno primario per le piccole imprese: fare pubblicità con un budget limitato. Questo “limite” ha fatto sì che il marketer (colui che si occupa di attività di marketing) attinga ad un’altra fonte, diversa da quella economica: la creatività, e ne massimizzi il risultato.

Le caratteristiche di una campagna di guerrilla marketing sono:

  • L’utilizzo di strumenti di comunicazione non convenzionali
  • L’investimento economico contenuto
  • La capacità di rendere il prodotto o servizio protagonista assoluto.

A differenza di quanto si possa pensare, il guerrilla marketing non è un’azione da intraprendere a cuor leggero, ma – per essere davvero efficace – richiede uno studio approfondito del target di riferimento e del prodotto che si intende pubblicizzare.

Questo tipo di marketing, che non prevede investimenti di medio o lungo termine, deve dunque veicolare il messaggio al proprio consumatore in maniera chiara e corretta in un solo colpo.

Non ci sono possibilità di raddrizzare il tiro “on the go”.

Il marketer deve sapere dove si trovano i consumatori del proprio brand ed andare lì, nella loro comfort zone, a stanarli e a stuzzicarli.

Inoltre, deve saper sfruttare al massimo quella che, in gergo, viene chiamata USP: unique selling proposition, ovvero il vantaggio e la caratteristica del prodotto o del servizio che si intende pubblicizzare.

La corretta identificazione del target di riferimento e dell’USP sono il distinguo tra una campagna di guerrilla marketing ben riuscita e una mera azione pubblicitaria (che, per carità, è sempre utile. Del resto, diceva Oscar Wilde, “purchè se ne parli”).

Sebbene si tratti di attività spot, che si realizzano in un preciso momento e rimangono confinate in quell’istante, la spettacolarità, l’innovazione e la fantasia che caratterizzano queste pubblicità fanno sì che il messaggio si diffonda velocemente e che rimanga bene impresso nella mente del consumatore.

Se inizialmente, questo tipo di marketing era pensato per piccole imprese che non riuscivano ad investire sui principali mezzi di comunicazione, in questi anni tale pratica è stata implementata in numero sempre più crescente da aziende di medie e grandi dimensioni a dimostrazione del fatto che, anche per loro, la comunicazione tradizionale non basta più e che per differenziarsi dalla concorrenza è necessario pensare “out of the box”, come dicono gli inglesi.

Nike, Coca-cola, Nestlè, McDonald’s, Disney sono solo alcune delle grandi aziende che hanno sfruttato al massimo il potere di questo tipo di comunicazione, rafforzando l’immagine del proprio brand e diventando così veri e propri punti di riferimento per i propri consumatori.

Il guerrilla marketing si nutre di un elemento che, al giorno d’oggi, è sempre più fondamentale. In un mondo in cui sembra che tutto sia già stato detto, visto o pensato, la creatività diventa la chiave per rivoluzionare il modo di percepire un brand, un prodotto, un servizio.

Pensare fuori dagli schemi e innovare costantemente è necessario per un universo come quello del marketing, che nasce per comprendere e rispondere ai i bisogni dei consumatori e colmare quel gap che esiste tra l’offerta del brand e le effettive necessità dei clienti. (foto in evidenza e in homepage www.marketingstudio.it)