“Grazie, don Lorenzo, perché se oggi sono prete, lo devo anche a te!”

La lettera di Monsignor Gian Carlo Bregantini, Arcivescovo della Diocesi di Campobasso-Bojano

Sì, perché dopo la grande crisi del ’68, l’averti incontrato, per merito del mio preside in Liceo, a Verona, mi ha dato la possibilità’ di rimettere in ordine le idee, soprattutto in termini di chiarificazione della mia vocazione per essere prete. Un prete come te. Tante volte ti ha ammirato e guardato. Oggi, che è il tuo anniversario dei cento anni di nascita, voglio esprimerti pubblicamente la mia gratitudine, tramite una serie di perle, tratte dai tuoi scritti.


Grazie, perché mi hai insegnato che la vita vale se riesci a trovare un fine: “Bisogna che sia onesto. Grande. Che non presupponga nel ragazzo null’altro che d’essere uomo. Cioè, che vada bene per credenti e atei. Ed il fine giusto è dedicarsi al prossimo. Ed in questo secolo, come vuole amare se non con la politica o col sindacato o con la scuola? Quelle parole mi fecero ritrovare il senso del Vangelo, vissuto e testimoniato proprio nella dedizione al prossimo, cuore della vocazione sacerdotale. Tutto il resto venne dopo.


Nel passaggio da una attività pastorale ad un’altra, ebbi passando da Firenze, la grazia di visitare Barbiana. E ritrovai il motto, che traduce in slogan il senso della vita, vissuta con stupore e interesse: I Care. Cioè, tu mi sei prezioso. Tu mi appartieni. Tu sei parte della mia vita. Perchè è bello vedere al di là dell’uscio della propria casa.


Ed ecco lo stile del prete: il fine immediato da ricordare minuto per minuto è d’intendere gli altri e di farsi intendere. Rinnovai il gusto di studiare, non per me, ma per gli altri. Di parlare con la gente, non per farmi grande, ma per far grande e libero e vero ogni ragazzo delle periferie di Crotone e di Bari, dove ho svolto la mia prima missione, da giovane prete, poiché il sapere serve solo per darlo. Dicesi maestro chi non ha nessun interesse culturale da solo. Come per don Lorenzo, a Calenzano, periferia operaia di Firenze, dove un giorno, indignato, gettò nel pozzo dell’Oratorio parrocchiale le famose racchette da ping-pong, per dare un taglio netto a un modo superficiale di passare il tempo. Non più nello svago, ma nello studio, serio e fecondo. Perché i libri e lo studio e la scuola erano il grande mezzo, per restituire ai poveri la Parola. Poi, loro da soli, avrebbero potuto scrivere tutto quello che dovevano scrivere, frutto della loro esperienza diretta.


Naturale la domanda che gli veniva fatta: “Spesso gli amici mi chiedono come faccio a far scuola e come faccio ad averla piena. Sbagliano la domanda. Non dovrebbero preoccuparsi di come bisogna fare per fare scuola, ma solo di come bisogna essere per poter far scuola. Ed ecco la sua risposta: bisogna avere le idee chiare in fatto di problemi sociali e politici. Non bisogna essere interclassisti, ma schierati. Bisogna ardere dall’ansia di elevare il povero ad un livello superiore. Non dico a un livello pari a quello dell’attuale classe dirigente. Ma superiore: più da uomo, più spirituale, più cristiano, più tutto! Parole che mi riaprirono il senso del mio futuro: “Perché è solo la lingua che fa uguali”.


Per questo, nella famosa lettera di difesa contro i cappellani militari, scrive la bella definizione di maestro: “il maestro deve essere per quanto può profeta, scrutare i “segni dei tempi”, indovinare negli occhi dei ragazzi le cose belle che essi vedono chiare domani e che noi vediamo solo in confuso”.


Evidente allora che si tratta di mettere il cuore nella vita vera dei poveri. Essi saranno i nostri maestri: “non avete preferito i signorini per malizia, è solo che li avete avuti troppo sotto gli occhi. Troppi di numero e troppo tempo”. Con quella rivoluzionaria definizione dell’impegno politico: “Conoscere i ragazzi dei poveri e amare la politica è tutt’uno. Non si può amare creature segnate da leggi ingiuste e non volere leggi migliori…perché chi ama le creature che stano bene resta apolitico. Non vuole cambiare nulla”.
Anche per la potenza spirituale di queste frasi, maturai la decisione di fare una forte esperienza di operaio, a Porto Marghera e in una grande fonderia di Verona, durante i miei studi di teologia. Per non restare affezionato solo al mondo della borghesia, a contatto con gente tutta eguale.
Con la scelta radicale che ha poi orientato tutta la vita mia: “Fai strada ai poveri, senza farti strada”, come ha fatto fino al martirio san Giovanni Battista. E come deve fare oggi anche la politica, per quella storica definizione che don Lorenzo ci insegna: “ho imparato che il problema degli altri è uguale al mio. Sortirne insieme è la politica. Sortire da soli è l’avarizia!.
Una grande lezione, per tutti, oggi, in Molise, a ridosso delle elezioni regionali! Così, mi orientò la sua concretezza di lettura delle situazioni, che lui fece, guardando alle povertà e fragilità delle aree interne. Come dobbiamo fare, oggi, in Molise e nel Sud, come in Calabria, poiché “non c’è peggiore ingiustizia che fare parti uguali, tra disuguali” . Le aree interne sono un tesoro, per tutta la realtà italiana. Ma i ragazzi di queste terre vanno messi in gradi do poter competere con le altre realtà. Cioè, poter “rimuovere gli ostacoli, che impediscono di fatto la reale uguaglianza tra i cittadini, come dice la Costituzione, al numero tre: “è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando d fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese!”


Ecco, perché quando nei miei anni giovanili alla sera leggevo, di studio della teologia, una biografia di questo prete, chiudevo il testo e sentivo ardere il mio cuore: ecco,vorrei essere prete così, come lui, come don Lorenzo, in mezzo ai suoi poveri. E scelsi di scendere da Verona a Crotone, per vivere nel suggestivo ma poverissimo centro storico della città, tra i carcerati e i ragazzi chiassosi.
A rapide pennellate, ho tracciato anche per voi, le perle che mi hanno conquistato il cuore, per poter rendere grazie a questo prete, che ha cambiato il modo di fare scuola, proprio perché lo ha imparato dai poveri e con i poveri. Oggi, il Molise, ne sono certo, cambierà solo se anche noi partiremo dalle aree interne, fatte soggetto di vero sviluppo, poiché è la periferia che salva la città e non il contrario. Questo chiesi a Dio quando potei celebrare la messa nella sua chiesetta a Barbiana, seguito dalla sua governante che tanto lo aveva amato e servito! Grazie, d. Lorenzo!