«Le stringenti restrizioni alla mobilità imposte dalla normativa sulla pandemia hanno determinato convivenze prolungate oltre la misura ordinaria, per cui da più parti si registra un aumento degli episodi denunciati di maltrattamenti in famiglia.
L’art. 572 c.p., nel suo testo attuale, prevede che “chiunque.. maltratta una persona della famiglia o comunque convivente, o una persona sottoposta alla sua autorità… è punito con la reclusione da tre a sette anni”
Ci si riferisce, evidentemente, a qualunque comunità in cui vi sia stabile convivenza e, quindi, anche alla famiglia di fatto. Ma qual è la nozione di maltrattamenti?
Questo reato, secondo la ormai costante giurisprudenza, richiede, per la sua configurazione, una serie abituale di condotte che possono consistere in atti lesivi dell’integrità psico-fisica, dell’onore, del decoro o che comunque siano espressione di prevaricazione e di disprezzo del soggetto passivo, attuati anche in un arco temporale ampio, ma entro il quale sono unificati perché individuati come espressione di un costante atteggiamento del colpevole di sopraffare la vittima.
Invece, fatti occasionali ed episodici, che pur in sé possono costituire reato (come le minacce o le lesioni), determinati da situazioni contingenti, come nei rapporti interpersonali connotati da permanente conflittualità, non possono rientrare in questa ipotesi criminosa.
In altri termini, il reato presuppone che un soggetto assuma la posizione del carnefice e l’altro quello della vittima, che vi sia cioè un soggetto forte che prevarica e l’altro fragile, che subisce, mentre non può parlarsi di maltrattamenti ove i soggetti siano in una posizione di tendenziale parità e si colpiscano in vario modo a vicenda.
Compito del Giudice, pertanto, è quello di ricostruire la complessità della dinamica dei rapporti introfamiliari e interpersonali all’interno della comunità familiare, per verificare se sussiste questo speciale reato che va al di là ed è autonomo dagli altri reati che possono concorrere a formarlo, quali le minacce, le lesioni, etc., così come il costante disprezzo può in sé integrare i maltrattamenti anche senza il concorso di altri reati.
La Corte di Cassazione, ai fini della prova, ritiene sufficienti anche le sole dichiarazioni della persona maltrattata, ma l’intrinseca attendibilità deve essere rigorosamente esaminata sul piano soggettivo (cioè dell’affidabilità in sé della persona, per capire se ha motivi per calunniare) e oggettivo (verificando eventuali contraddizioni o incongruenze del racconto accusatorio)
Si tratta, è bene sottolineare, di un reato procedibile d’ufficio, per cui la denuncia, una volta presentata, non potrà essere ritirata e il soggetto denunciante quando sarà chiamato a testimoniare avrà l’obbligo di dire la verità, anche se nel frattempo riconciliato con il suo aggressore, come pure talvolta accade.
Da segnalare, infine, che con la legge del 2019 comunemente detta “codice rosso” sono state introdotte, nell’ambito di una più ampia tutela delle vittime di violenza domestica e di genere, importati novità relative anche a questo reato, in particolare in materia di procedura, estremamente velocizzata, e con la previsione di nuove aggravanti e di rinnovate misure cautelari e di prevenzione».
Daniele Colucci