Giustizia: la rilevanza del fattore temporale nella tutela del lavoratore contro infortuni e malattie
- Una premessa: la funzione e la natura dell’Inail nel nostro ordinamento.
E’ fondamentale, per affrontare in modo compiuto le tematiche che seguiranno, comprendere cosa rappresenta l’Inail nel nostro sistema.
La risposta più organica ci è fornita dalla sentenza della Corte (Quinta Sezione) del 22 gennaio 2002 – Cisal di Battistello Venanzio & C. Sas contro Istituto nazionale per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro (INAIL) – Domanda di pronuncia pregiudiziale: Tribunale di Vicenza – Italia Artt. 85, 86 e 90 del Trattato CE (divenuti artt. 81 CE, 82 CE e 86 CE) – Iscrizione obbligatoria ad un ente di assicurazione contro gli infortuni sul lavoro.
In quella vicenda vi era un imprenditore che pretendeva di non pagare il premio all’Inail, perché aveva un’assicurazione privata che copriva in modo ancor più satisfattivo ogni risarcimento per infortuni sul lavoro e per la malattia professionale.
La Corte in primo luogo riconosce la competenza degli Stati membri ad organizzare i loro sistemi previdenziali e di sicurezza sociale.
-Il sistema italiano, in tale ambito, prevede una tutela sociale obbligatoria per tutti i lavoratori autonomi dediti ad attività diverse dall’agricoltura, che esercitano attività qualificate «a rischio» dalla legge
– Un siffatto regime mira a garantire a tutte le persone tutelate una copertura contro i rischi di infortunio sul lavoro e di malattia professionale, indipendentemente da qualsiasi colpa che possa essere stata commessa dall’infortunato, o anche dal datore di lavoro, e quindi senza che sia necessario invocare la responsabilità civile della persona che trae profitto dall’attività rischiosa.
-Lo scopo sociale del suddetto regime di assicurazione è messo in luce dalla circostanza che le prestazioni vengono erogate anche quando i contributi dovuti non sono stati versati, il che contribuisce manifestamente alla tutela di tutti i lavoratori assicurati contro le conseguenze economiche di infortuni sul lavoro o di malattie professionali.
-Tuttavia lo scopo sociale di un regime assicurativo non è di per sé sufficiente per escludere che l’attività considerata sia qualificata attività economica (v. sentenza Pavlov)
– Allora, in primo luogo vari elementi consentono di assodare che il regime assicurativo in discorso attua il principio della solidarietà, in quanto da una parte il suddetto regime assicurativo è finanziato mediante contributi la cui aliquota non è sistematicamente proporzionata al rischio assicurato, cioè l’aliquota non può superare un massimale, anche se l’attività esercitata comporta un rischio elevatissimo, e il saldo del finanziamento viene sopportato da tutte le imprese che rientrano nella stessa classe per quanto riguarda il rischio corso.
– I contributi vengono calcolati non solo in base al rischio connesso all’attività dell’impresa, ma anche in base ai redditi dell’assicurato.
–D’altra parte, l’importo delle prestazioni versate non è necessariamente proporzionato ai redditi dell’assicurato, in quanto, per il calcolo delle rendite, possono essere prese in considerazione solo le retribuzioni comprese tra un dato minimo ed un dato massimo, in una fascia corrispondente alla retribuzione media nazionale ridotta o maggiorata del 30%.
-Di conseguenza, il versamento di contributi elevati può dar luogo solo all’erogazione di prestazioni fino ad un determinato massimale quando la retribuzione supera il massimo fissato con decreto e, viceversa, dei contributi relativamente bassi, calcolati in base alla retribuzione minima legale, danno diritto a prestazioni calcolate in base ad un reddito superiore a tale limite. La mancanza di un nesso diretto tra i contributi pagati e le prestazioni erogate implica quindi una solidarietà tra i lavoratori più retribuiti e quelli che, tenuto conto dei loro redditi esigui, sarebbero privati di un’adeguata tutela sociale
– Inoltre, l’attività dell’INAIL, è soggetta al controllo dello Stato e l’importo sia delle prestazioni sia dei contributi è, in definitiva, fissato da quest’ultimo.
– In conclusione, l’importo delle prestazioni e quello dei contributi, che costituiscono i due elementi essenziali del regime gestito dall’INAIL, sono soggetti al controllo dello Stato e l’iscrizione obbligatoria che caratterizza un siffatto regime assicurativo è indispensabile per l’equilibrio finanziario di questo e per l’attuazione del principio di solidarietà, il quale implica che le prestazioni erogate all’assicurato non sono proporzionate ai contributi da questo versati, per cui nell’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali l’INAIL adempie una funzione di carattere esclusivamente sociale. Ne consegue che la sua attività non è un’attività economica ai sensi del diritto della concorrenza e che, quindi, tale ente non costituisce un’impresa ai sensi degli artt. 85 e 86 del Trattato.
- Prescrizione e procedimento
- La struttura del procedimento
La sequenza del procedimento è data dal T.U. che all’art. 104 così lo struttura:
L’infortunato, il quale non riconosca fondati i motivi per i quali l’Istituto assicuratore ritiene di non essere obbligato a liquidare indennità o non concordi sulla data di cessazione della indennità per inabilità temporanea o sull’inesistenza di inabilità permanente, o non accetti la liquidazione di una rendita provvisoria o quella comunque fatta dall’Istituto assicuratore, comunica all’Istituto stesso con lettera raccomandata con ricevuta di ritorno o con lettera della quale abbia ritirato ricevuta, entro sessanta giorni dal ricevimento della comunicazione fattagli, i motivi per i quali non ritiene giustificabile il provvedimento dell’Istituto, precisando, nel caso in cui si tratti di inabilità permanente, la misura di indennità che ritiene essergli dovuta, e allegando in ogni caso alla domanda un certificato medico dal quale emergano gli elementi giustificativi della domanda.
Non ricevendo risposta nel termine di giorni sessanta dalla data della ricevuta della domanda di cui al precedente comma o qualora la risposta non gli sembri soddisfacente, l’infortunato può convenire in giudizio l’Istituto assicuratore avanti l’autorità giudiziaria.
Qualora il termine di cui ai commi secondo e terzo dell’art. 102 decorra senza che l’Istituto assicuratore abbia fatto all’infortunato le comunicazioni in essi previste, si applica la disposizione del comma precedente.
A sua volta l’art. 102 dispone:
Ricevuto il certificato medico costatante l’esito definitivo della lesione, l’Istituto assicuratore comunica immediatamente all’infortunato la data della cessazione l’indennità per inabilità temporanea e se siano o no prevedibili conseguenze di carattere permanente indennizzabili ai sensi del presente titolo.
Qualora siano prevedibili dette conseguenze, l’Istituto assicuratore procede agli accertamenti per determinare la specie ed il grado dell’inabilità permanente al lavoro e, nel termine di trenta giorni dalla data di ricevimento del certificato medico di cui al comma precedente, comunica all’infortunato la liquidazione della rendita di inabilità, indicando gli elementi che sono serviti di base a tale liquidazione.
Quando per le condizioni della lesione non sia ancora accertabile il grado di inabilità permanente, l’Istituto assicuratore liquida una rendita in misura provvisoria, dandone comunicazione nel termine suddetto all’interessato, con riserva di procedere a liquidazione definitiva.
Nel caso di liquidazione di rendita non accettata dall’infortunato, ove questi convenga in giudizio l’Istituto assicuratore, quest’ultimo, fino all’esito del giudizio, è tenuto a corrispondere la rendita liquidata.
Vi è, poi, l’art. 111, che testualmente recita:
Il procedimento contenzioso non può essere istituito se non dopo esaurite tutte le pratiche prescritte dal presente titolo per la liquidazione amministrativa delle indennità.
La prescrizione prevista dall’art. 112 del presente decreto rimane sospesa durante la liquidazione in via amministrativa dell’indennità.
Tale liquidazione, peraltro, deve essere esaurita nel termine di centocinquanta giorni, per il procedimento previsto dall’art. 104, e di duecentodieci, per quello indicato nell’art. 83. Trascorsi tali termini senza che la liquidazione sia avvenuta, l’interessato ha facoltà di proporre la azione giudiziaria1.
2.2 Due teorie sul patologico allungamento dei tempi
A) La prima, delinea una valenza provvedimentale, in termini di rigetto, del silenzio serbato dall’Inail decorso i 150 giorni del procedimento
Cass. 1° giugno 2018, n. 14054
la sospensione della prescrizione triennale dell’azione per il riconoscimento delle prestazioni da infortunio sul lavoro e malattie professionali, di cui al D.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, art. 111, comma 2, opera limitatamente al decorso dei centocinquanta giorni previsti per la liquidazione amministrativa delle indennità dal terzo comma della stessa disposizione: la mancata pronuncia definitiva dell’INAIL entro il suddetto termine configura un’ ipotesi di “silenzio significativo” della reiezione dell’istanza dell’assicurato e comporta, quindi, l’esaurimento del procedimento amministrativo e, con esso, la cessazione della sospensione della prescrizione
Cass 12 gennaio 2015, , n. 211
La prescrizione triennale del diritto alle prestazioni previdenziali previste in tema di infortuni e malattie professionali nel settore industriale è soggetta ad un unico periodo di sospensione della durata massima di centocinquanta giorni, collegato alla pendenza del procedimento amministrativo, indipendentemente dal momento in cui il relativo iter venga di fatto a concludersi.. Lo scadere del termine di 150 giorni previsto per la liquidazione in via amministrativa comporta la formazione del silenzio-rigetto e l’esaurimento del procedimento amministrativo, ragione della sospensione della prescrizione, sicchè non vi sarebbe giustificazione del protrarsi della sospensione oltre tale termine.
La predeterminazione ex lege del periodo massimo di sospensione risponde infatti ad esigenze di carattere pubblicistico, quali la celerità degli accertamenti volti al riconoscimento della tutela assicurativa in prossimità dei fatti, che non consentono di attribuire rilevanza, rispetto a tale interesse generale, ad un interesse personale al prolungamento dei termine di sospensione fino a comprendervi tutto l’iter amministrativo.
Testualmente, poi, ai sensi del D.P.R. n. 1124 del 1965, art. 111, comma 2, la prescrizione in esame “rimane sospesa durante la liquidazione amministrativa dell’indennità” ed è il successivo comma terzo dell’art. 111, a stabilire che “tale liquidazione, peraltro, deve essere esaurita” nel termine di 150 o 210 giorni – a seconda della prestazione richiesta – ed aggiunge che, “trascorsi tali termini senza che la liquidazione sia avvenuta, l’interessato ha facoltà di proporre l’azione giudiziaria”.
B) La seconda impostazione, invece, non attribuisce alcun valenza decisoria al silenzio dell’Inail, talvolta giustificato da accertamenti particolarmente complessi.
Cass 21 giugno 2013 n. 15733
La sospensione della prescrizione del diritto alle prestazioni erogate dall’Inail in favore dell’assicurato, prevista dall’art. 111, secondo e terzo comma, del d.P.R. n. 1124 del 1965, permane sino alla definizione del procedimento di liquidazione; la prescrizione delle azioni per conseguire le prestazioni dell’Inail di cui all’art. 112 d.P.R. n. 1124 del 1965 può legittimamente essere interrotta, secondo le norme del codice civile, non solo con la proposizione dell’azione in giudizio, ma anche con atti stragiudiziali, senza che l’efficacia sospensiva della prescrizione medesima (prevista dall’art. 111 secondo comma del citato decreto) escluda l’efficacia interattiva, che permane fino alla definizione del procedimento amministrativo di liquidazione.
Secondo le Sezioni Unite di questa Corte, con la sentenza n. 783 del 16/11/1999, hanno statuito che “la prescrizione delle azioni per conseguire le prestazioni dell’Inail di cui al D.P.R. n. 1124 del 1965, art. 112, può legittimamente essere interrotta, secondo le norme del codice civile, non solo con la proposizione dell’azione in giudizio, ma anche con atti stragiudiziali, senza che l’efficacia sospensiva della prescrizione medesima (prevista dall’art. 111, comma 2, del citato decreto) escluda l’efficacia interattiva, che permane fino alla definizione del procedimento amministrativo di liquidazione”.
L’attribuzione della facoltà di agire in giudizio – proseguono le Sezioni Unite – non comporta anche l’onere di agire, in pendenza del procedimento amministrativo (magari prossimo a chiudersi favorevolmente), onde evitare la prescrizione. Al contrario, apparirebbe contraddittorio prevedere una fase amministrativa destinata a prevenire procedimenti giudiziari e allo stesso tempo forzarne la definizione entro un certo termine, impedendo all’assicurato di consentirne lo svolgimento onde tutelarsi contro la prescrizione.
- Le Sezioni Unite del 2019
Il recente intervento della massima espressione della S.C. sposa la seconda teoria.
Cass., sez. un., 7 maggio 2019, n. 11928
Il termine di prescrizione triennale dell’azione per il riconoscimento delle prestazioni da infortunio sul lavoro e malattie professionali, di cui all’articolo 112 del d.P.R. n. 1124 del 1965, resta sospeso, ex art. 111, comma 2, dello stesso d.P.R., per tutta la durata del procedimento amministrativo di liquidazione delle indennità e fino all’adozione di un provvedimento di accoglimento o di diniego da parte dell’istituto assicuratore; ne consegue che il decorso dei termini per la liquidazione previsti dall’art. 111, comma 3, del d.P.R. n. 1124 del 1965, non determina la cessazione della sospensione della prescrizione, ma rimuove la condizione di procedibilità dell’azione giudiziaria, dando facoltà all’assicurato di agire in giudizio a tutela della posizione giuridica soggettiva rivendicata.
In verità altro precedente arresto, sempre della Sez. Un., sia pure in modo indiretto (si verteva in materia di trattamento di indennità di maternità) sembrava sposare l’opposta tesi
Cass., S.U., 6 aprile 2012 n. 5572,
“In tema di prestazioni di previdenza e assistenza, la prescrizione è sospesa, oltre che durante il tempo di formazione del silenzio rifiuto sulla richiesta all’istituto assicuratore ex art. 7 l. n. 533 del 1973, anche durante il tempo di formazione del silenzio rigetto sul ricorso amministrativo condizionante la procedibilità della domanda giudiziale ex art. 443 c.p.c., essendo ancora valido il principio di settore, enucleabile dall’art. 97 r.d.l. n. 1827 del 1935 e conforme ai principi costituzionali di equità del processo ed effettività della tutela giurisdizionale, per cui il decorso del termine di prescrizione è sospeso durante il tempo di attesa incolpevole dell’assicurato; ne consegue che la prescrizione del diritto all’indennità di maternità, soggetta al termine annuale ai sensi degli art. 6 l. n. 138 del 1943 e 15 l. n. 1204 del 1971, è sospesa per i centoventi giorni di formazione del silenzio rifiuto di cui all’art. 7 l. n. 533 del 1973 e per i centottanta giorni di formazione del silenzio rigetto previsto dall’art. 46 l. n. 88 del 1989…Espressione di questo stesso principio nella medesima materia di diritti soggettivi di natura previdenziale è l’art. 111 del testo unico 1124 del 1965 che parimenti prevede la sospensione del termine prescrizionale durante il procedimento amministrativo per il riconoscimento delle prestazioni Inail.”
DIBATTITO
-Nell’ipotesi dell’indennità di maternità il silenzio-rifiuto è espressamente previsto dalla legge come esito dell’inerzia, mentre l’art. 111 al contrario, in un’ottica sollecitatoria ma non obbligatoria per l’assicurato, attribuisce una mera facoltà di agire in giudizio a fronte del protratto inadempimento dell’amministrazione. Facoltà e non obbligo che dunque, secondo l’impostazione del
le S.U., rimette all’interessato la scelta di attendere il compimento della liquidazione amministrativa o piuttosto sollecitare un accertamento giudiziario della posizione giuridica soggettiva rivendicata.
-D’altro canto, prolungare la sospensione della prescrizione potenzialmente all’infinito è in contrasto con l’indefettibilità dell’accertamento precoce, esigenza sula quale più volte in particolare la Consulta ha posto l’ accento (Corte Cost. n. 31 del 1977; n. 207 del 1997).
3.Il fattore tempo nello sviluppo della malattia professionale.
- Aggravamento e nuova malattia
Se il lavoratore ha il sospetto di avere una malattia professionale deve attivarsi nel termine di prescrizione di cui all’art. 112 c.p.c..
Se ha diritto all’indennizzo e se la malattia dovesse aggravarsi, nei limiti temporali della revisione (dieci anni per gli infortuni, quindici per la malattia professioanle) possiamo ipotizzare due situazioni:
- che l’aumento rimanga nei limiti dell’indennizzo e in tal caso l’Inail, per una sola volta, gli riconosca l’aumento corrispondente (art. 13, comma, 4, del d.lgs. 23 febbraio 2000, n. 38);
- che per la misura dell’aggravamento dall’indennizzo si passa alla rendita, che verrà riconosciuta, detratto l’indennizzo già percepito.
Nel corso del decennio o del quindicennio sono valutati gli aggravamenti successivi, finché la rendita si consolida (artt. 83, commi 6 e 7, e 137, comma 6, T.U. 1124), e cioè dalla maturazione del diritto alla prestazione.
Poniamo ora il caso che il lavoratore continui a essere soggetto alla stessa noxa dopo il quindicennio e che tale situazione gli procuri un’inabilità ulteriore. Che succede?
Un tempo si riteneva che lo sbarramento temporale precludesse qualsivoglia possibilità di riconoscimento ulteriore, sino alla svolta dovuta alla Corte Costituzionale, con una sentenza intepretativa di rigetto, poi seguita dalla Corte di Cassazione.
Corte Costituzionale, 12/02/2010, n. 46
Non è fondata, nei sensi di cui in motivazione, la q.l.c. degli art. 80 e 131 d.P.R. 30 giugno 1965 n. 1124, censurati, in riferimento agli art. 3, 32 e 38 cost., nella parte in cui escludono la rilevanza, ai fini assicurativi, di fattori espositivi al rischio di aggravamento della malattia professionale successivi al momento di accertamento della malattia professionale indennizzabile. Le due norme, riferendosi all’ipotesi di “nuova” malattia professionale, devono essere interpretate nel senso che esse riguardano anche il caso in cui, dopo la costituzione di una rendita per una determinata malattia professionale (“vecchia”, quindi, in contrapposizione alla “nuova”), il protrarsi dell’esposizione al medesimo rischio patogeno determini una “nuova” inabilità che risulti superiore a quella già riconosciuta, con conseguente inapplicabilità dell’art. 137 d.P.R. n. 1124 del 1965, il quale si riferisce esclusivamente all’aggravamento eventuale e conseguenziale dell’inabilità derivante dalla naturale evoluzione della originaria malattia, e superamento del prospettato dubbio di costituzionalità.
Cassazione civile, sez. lav., 09/03/2011, n. 5548
Il termine per l’esercizio del diritto alla revisione della rendita Inail stabilito dall’art. 137 d.P.R. 30 giugno 1965 n. 1124, si riferisce esclusivamente all’eventuale aggravamento ed alla conseguenziale inabilità derivante dalla naturale evoluzione dell’originaria malattia, mentre, allorché il maggior grado di inabilità dipende dalla protrazione dell’esposizione a rischio patogeno e si sia, quindi, in presenza di una “nuova” malattia, seppure della stessa natura della prima, deve trovare applicazione la disciplina dettata dall’art. 80 del citato decreto, estesa alle malattie professionali dall’art. 131 dello stesso, con disciplina ritenuta costituzionalmente legittima della sentenza n. 46 del 2010 della Corte cost.
Cassazione civile, sez. lav., 09/03/2011, n. 5550
La fattispecie deve ritenersi estranea all’ipotesi di cui all’art. 137 cit.. quando l’aspetto che viene in considerazione non concerne l’evoluzione della patologia, causata dal fattore morbigeno accertato e valutato dall’Istituto assicuratore, ma la concorrenza con il primo di altro fattore costituito dalla prosecuzione dell’esposizione lavorativa al medesimo rischio morbigeno.
In tal modo risulta rimodulato il sistema di tutela temporale delle malattie professionali, considerando anche l’unificazione dei postumi che si ha in caso di noxa permanente, vale, a norma dell’art. 80, comma 2, per lesioni che non raggiungono la soglia inabilitante, e senza limiti di tempo., per cui nessuna dose inabilitante va perduta ai fini della tutela.
Art. 80, comma 2, d.p.r. 30 giugno 1965, n. 1124
Nel caso in cui il nuovo infortunio per sé considerato determini un’inabilità permanente non superiore al dieci per cento e l’inabilità complessiva sia superiore a quella in base alla quale fu liquidata la precedente rendita, è liquidata una nuova rendita secondo le norme del comma precedente.
- I termini per la nuova rendita
Vi è la norma generale del triennio di cui all’art. 112 T.U. 1124. Quali sono i termini per far valere la nuova malattia?
Si consideri, al riguardo, l’art. 80 del T.U. (sul quale, come detto, è intervenuta Corte Copst. N. 318 del 1989), che prevede tre ipotesi di unificazione
Art. 80 d.p.r. 30 giugno 1965, n. 1124
Nel caso in cui il titolare di una rendita, corrisposta a norma del presente titolo, sia colpito da un nuovo infortunio indennizzabile con una rendita di inabilità, si procede alla costituzione di un’unica rendita in base al grado di riduzione complessiva dell’attitudine al lavoro causata dalle lesioni determinate dal precedente o dai precedenti infortuni e dal nuovo, valutata secondo le disposizioni dell’art. 78 ed in base alla retribuzione che è servita per la determinazione della precedente rendita. Se però tale retribuzione è inferiore a quella in base alla quale sarebbe stata liquidata la rendita in relazione al nuovo infortunio, la nuova rendita viene determinata in base a quest’ultima retribuzione1.
Nel caso in cui il nuovo infortunio per sé considerato determini un’inabilità permanente non superiore al dieci per cento e l’inabilità complessiva sia superiore a quella in base alla quale fu liquidata la precedente rendita, è liquidata una nuova rendita secondo le norme del comma precedente.
Nel caso in cui, a seguito di precedenti infortuni, sia residuata inabilità permanente che non superi il dieci per cento ed in seguito a nuovo infortunio risulti una inabilità permanente che complessivamente superi detta percentuale, è liquidata una rendita in base al grado di riduzione dell’attitudine al lavoro risultante dopo l’ultimo infortunio ed alla retribuzione percepita all’epoca in cui questo si è verificato.
Orbene, la rendita unificata non è la rimodulazione del diritto originario, ma è espressione di una situazione soggettiva nuova e autonoma, che sostituisce la precedente. Tanto è stato chiarito dalla S.C. già sul piano processuale.
Cassazione civile, S.U. 29 luglio 2002, n. 11198
È preclusa, dall’art. 437, comma 2, c.p.c., in quanto domanda nuova in appello, rispetto a quella avanzata in primo grado per ottenere dall’Inail la rendita per inabilità in relazione ad un unico infortunio sul lavoro, la richiesta di estendere la valutazione dell’inabilità alle complessive conseguenze di infortuni subiti in diversi momenti temporali al fine di ottenere la costituzione di una rendita unica.
Quesiti, costituenti base di discussione.
- si può avere prescrizione per i singoli fatti materiali che solo sommati insieme integrano la fattispecie costitutiva del diritto? Cioè, si può avere prescrizione per inabilità inferiori al minimo indennizzabile, che non costituiscono diritti?
- Il lavoratore è tenuto a chiedere la unificazione dei postumi ad ogni frazione successiva di inabilità dell’1%, o inferiore al 16%,? Oppure solo quando la nuova malattia raggiunga da sola il 16%, alla luce dell’art. 112 inizi a decorrere la prescrizione?
- E’ un paradosso che una nuova malattia inferiore al minimo indennizzabile possa essere fatta valere, ai fini della unificazione, in qualsiasi tempo, mentre se raggiunge il 16% è soggetta a prescrizione.
Da tener sempre presente il disposto delll’art. 13 d.lgs.. 23 febbraio 2000, n. 38, per cui se un lavoratore, già titolare di rendita costituita ai sensi del T.U., subisce un nuovo infortunio sul lavoro o una malattia professionale sotto il nuovo regime, non si procede ad unificazione della rendita, a norma dell’art. 80 T.U., ma egli continuerà a percepire la vecchia rendita, anche se ancora non consolidata, e per il nuovo evento percepirà le distinte prestazioni dell’art. 13 D.Lgs. 38/2000,senza tenere conto delle preesistenze (art. 13, comma 6, ultima parte D.Lgs.38/2000)
3.3 Qualche riflessione ulteriore.
Emerge, forse, alla luce degli sviluppi giurisprudenziali di cui si è detto, una contraddizione tra prescrittibilità della rendita e sua rivedibilità per l’intera vita; tra causa lenta, e spesso subdola, e prescrizione del diritto.
Nel diritto a pensione sono soggetti a prescrizione solo i singoli ratei, per cui il lavoratore può presentare domanda amministrativa in qualsiasi momento, senza perdere irreversibilmente il suo diritto. L’imprescrittibilità delle prestazioni previdenziali non temporanee è normalmente ricollegata all’art. 38 Cost., discorso non valido per prestazioni a carattere temporaneo, che fronteggiano bisogni contingenti della vita, per cui sono imprescrittibili le prestazioni che che coprono bisogni permanenti,
Invece, il lavoratore infortunato o affetto da malattia professionale, che abbia lasciato decorrere il termine di prescrizione, perde il diritto alla rendita, che può costituire per le inabilità più alte l’unico mezzo di sussistenza, per tutta la sua vita futura. La Corte costituzionale, tuttavia, investita della questione, l’ha respinta.
Corte Costituzionale, 18/01/1977, n. 31
La congruità di un termine di prescrizione va valutata non solo in rapporto all’interesse di chi ha l’onere di osservarlo, ma anche con riguardo alla funzione assegnata al termine nell’ordinamento giuridico (cfr. sentenze n. 57 del 1962; n. 10 del 1970 e n. 138 del 1975). E il termine di prescrizione di tre anni trova giustificazione nell’esigenza che il diritto al risarcimento del danno da infortunio sia accertato nel più breve tempo possibile nell’interesse dello stesso danneggiato e per ovvie ragioni obiettive concernenti la raccolta delle prove, che l’adozione di un più lungo termine avrebbe potuto pregiudicare; laddove siffatte esigenze di acquisizione e conservazione delle prove, specie di quelle sul rapporto causale tra l’invalidità e l’infortunio, non sussistono nelle controversie dirette ad ottenere le prestazioni previdenziali previste per le infermità comuni, dato che in queste controversie l’accertamento ha per oggetto solo l’esistenza e la natura delle stesse infermità.
Non è, quindi, violato l’art. 3 della Costituzione, non essendo le fattispecie identiche; né è violato l’art. 24 della Costituzione in quanto la lesione del principio del diritto di difesa per brevità del termine di prescrizione di tre anni non è configurata nell’ordinanza nemmeno come concreta eventualità
3.4 L’estensione del principio di cui alla Corte Cost. n. 46 del 2010 agli infortuni sul lavoro.
Cass 17 gennaio 2018, n. 1048
Sul termine per l’esercizio della revisione della rendita Inail in caso aggravamento dell’inabilità per naturale evoluzione o per concausa sopravvenuta
Il termine per l’esercizio del diritto alla revisione della rendita INAIL stabilito dall’art. 83 del d.P.R. n. 1124 del 1965 si riferisce esclusivamente all’eventuale aggravamento derivante dalla naturale evoluzione dell’originario stato morboso, mentre, ove il maggior grado di inabilità dipenda da una concausa sopravvenuta, trova applicazione la disciplina dettata dall‘art. 80 del d.P.R. cit.
Dice, tra l’altro, la S.C.:
“In tempi più recenti , il giudice delle leggi con la sentenza n. 46 del 2010, è tornato ad occuparsi della regola di stabilizzazione dei postumi da malattia professionale in relazione ad una fattispecie concreta estremamente significativa di ipoacusia professionale aggravatesi oltre il quindicennio a causa del mantenimento nel tempo delle stesse condizioni lavorative di rischio patogeno.
Il rigore della regola di stabilizzazione dei postumi, ad avviso del giudice remittente, mostrava in tale fattispecie la criticità della ricerca di un punto di equilibrio tra l’art. 38 Cost., comma 2, e il D.P.R. n. 1124 del 1965, art. 137, laddove la possibilità di revisione della rendita per aggravamento derivante dalla malattia professionale incontra il limite temporale di quindici anni dalla sua costituzione.
La Corte costituzionale, in tale occasione, ha indicato al giudice in termini concreti in che modo il “sistema delle assicurazioni nel suo complesso” garantisce il rispetto del precetto costituzionale dell’art. 38 Cost., comma 2, e ciò ha fatto limitando l’ambito di operatività del D.P.R. n. 1124 del 1965, art. 137, alla ipotesi dell'”aggravamento eventuale e consequenziale dell’inabilità derivante dalla naturale evoluzione della malattia”, mentre ha collegato l’ipotesi del maggior grado di inabilità che dipenda dalla protrazione dell’esposizione al medesimo rischio patogeno alla disciplina del D.P.R. n. 1124 del 1965, artt. 80 e 132, che regolano l’ipotesi di “nuova” malattia.
11. La dottrina più attenta ha colto il notevole rilievo sistematico della decisione interpretativa di rigetto, mettendo in evidenza che l’operazione di sussunzione della fattispecie di malattia, aggravatasi oltre il quindicennio e derivante da permanente esposizione allo stesso rischio patogeno, nell’art. 80, piuttosto che nel D.P.R. n. 1124 del 1965, art. 137, consentendo l’unificazione della rendita costituita con i nuovi postumi, fa salvo il principio della stabilizzazione dei postumi la cui legittimità costituzionale è stata ripetutamente affermata ed al contempo realizza il principio di totale copertura dell’intera complessiva inabilità patita dall’assicurato.
Anche la Corte di cassazione ha recepito le indicazioni di Corte costituzionale n. 46/2010 nelle sentenze nn. 5548 e 5550 del 2011.
12. Per evidente coerenza sistematica il medesimo principio deve trovare applicazione anche nell’ambito, contiguo rispetto a quello dell’evoluzione in peius della malattia professionale, delle proiezioni temporali dei danni derivati da infortunio, tenendo conto che seppure tra aggravamento dei postumi da infortunio ed aggravamento delle malattie professionali il discrimine è rappresentato dalla certezza del dies per la causa violenta uno actu dell’infortunio a fronte del carattere subdolo dell’evoluzione lenta della malattia (Corte cost. n. 351/1991), non vi è dubbio che tale differenza se può giustificare una diversa durata dell’intervallo temporale al cui interno può trovare conferma la presunzione di stabilizzazione dei postumi, non potrebbe di certo giustificare una soluzione interpretativa che obbligasse a sussumere nell’area di operatività dell’art. 83 d.p.r. n. 1124/1965 anche il peggioramento delle condizioni di inabilità dovuto, non alla naturale evoluzione del processo morboso seguente all’infortunio, ma ad una concausa sopravvenuta originata pur sempre dall’infortunio oggetto di indennizzo”.
Nel caso di specie, ad una menomazione a carico dell’arto inferiore dx. seguiva, oltre i limiti revisionali, una sequela di “aggravamenti” sino all’amputazione dello stesso arto dovuta a concausa sopravvenuta, che lo stesso Inail non escludeva correlabile, in qualche modo, con l’evento primario.
I “due eventi infortunio” sono avvenuti, incontrovertibilmente, a cavallo di due regimi diversi – T.U. n.1124/1965 ed il D.Lgs 38/00.
Come si concilia con il disposto di cui l’articolo 13, comma 6 seconda parte del D.lgs 38/2000?
La norma testualmente recita:
6. Il grado di menomazione dell’integrità psicofisica causato da infortunio sul lavoro o malattia professionale, quando risulti aggravato da menomazioni preesistenti concorrenti derivanti da fatti estranei al lavoro o da infortuni o malattie professionali verificatisi o denunciate prima della data di entrata in vigore del decreto ministeriale di cui al comma 3 e non indennizzati in rendita, deve essere rapportato non all’integrità psicofisica completa, ma a quella ridotta per effetto delle preesistenti menomazioni, il rapporto è espresso da una frazione in cui il denominatore indica il grado d’integrità psicofisica preesistente e il numeratore la differenza tra questa ed il grado d’integrità psicofisica residuato dopo l’infortunio o la malattia professionale. Quando per le conseguenze degli infortuni o delle malattie professionali verificatisi o denunciate prima della data di entrata in vigore del decreto ministeriale di cui al comma 3 l’assicurato percepisca una rendita o sia stato liquidato in capitale ai sensi del testo unico, il grado di menomazione conseguente al nuovo infortunio o alla nuova malattia professionale viene valutato senza tenere conto delle preesistenze. In tale caso, l’assicurato continuerà a percepire l’eventuale rendita corrisposta in conseguenza di infortuni o malattie professionali verificatisi o denunciate prima della data sopra indicata.
Corte Costituzionale 13 aprile 2021, n. 63
L’art. 13, comma 6, secondo periodo, d.lg. n. 38 del 2000 è costituzionalmente illegittimo nella parte in cui non prevede che il grado di menomazione dell’integrità psicofisica causato da infortunio sul lavoro o malattia professionale, quando risulti aggravato da menomazioni preesistenti concorrenti, deve essere rapportato non all’integrità psicofisica completa, ma a quella ridotta per effetto delle preesistenti menomazioni, secondo quanto dispone il primo periodo del comma 6 dell’art. 13 d.lg. n. 38 del 2000.
Le risultanze finali “economiche” sono diverse secondo la ricostruzione giuridica che si segue.
Applicando il principio stabilito della Corte con applicazione ex. art.80 si dovrebbe pervenire, alla fine, ad una unica rendita con il valore tabellato con riferimento alla “amputazione” di coscia al terzo medio;
applicando, invece, il comma 6 dell’art.13, il soggetto manterrebbe la rendita cristallizzata al decennio con riferimento all’attitudine al lavoro al decennio cristallizzata, e si vedrebbe riconosciuta una nuova rendita con postumi in danno biologico in base all’aggravamento, non riconosciuto come tale, ma come nuovo infortunio.
In conclusione, è configurabile il concetto di nuovo infortunio?
A monte, è configurabile quello di nuova malattia?
Possiamo distinguere i concetti di “nuova inabilità” e “nuova malattia?
Con quali conseguenze?
- Termine massimi di revisione e nuovi eventi.
4.1 Revisione e unificazione (gli infortuni policroni)
L’art. 80 del t.u. 1124 disciplina l’istituto della unificazione della rendita per successivo infortunio (v. testo supra, 3.2.).
L’art. 83 del t. 1124 disciplina, invece, l’istituto della revisione:
“La misura della rendita di inabilità può essere riveduta, su domanda del titolare della rendita o per disposizione dell’Istituto assicuratore, in caso di diminuzione o di aumento dell’attitudine al lavoro ed in genere in seguito a modificazione nelle condizioni fisiche del titolare della rendita, purché, quando si tratti di peggioramento, questo sia derivato dall’infortunio che ha dato luogo alla liquidazione della rendita. La rendita può anche essere soppressa nel caso di recupero dell’attitudine al lavoro nei limiti del minimo indennizzabile.
La domanda di revisione deve essere presentata all’Istituto assicuratore e deve essere corredata da un certificato medico dal quale risulti che si è verificato un aggravamento nelle conseguenze dell’infortunio e risulti anche la nuova misura di riduzione dell’attitudine al lavoro.
L’Istituto assicuratore, entro novanta giorni dalla ricezione della domanda, deve pronunciarsi in ordine alla domanda medesima.
Se l’Istituto assicuratore rifiuta di accogliere la domanda in tutto o in parte ovvero l’infortunato non accetta la riduzione o la soppressione della rendita, alle relative contestazioni si applicano le disposizioni dell’art. 104.
Il titolare della rendita non può rifiutarsi di sottostare alle visite di controllo che siano disposte ai fini del presente articolo dall’Istituto assicuratore. In caso di rifiuto l’Istituto assicuratore può disporre la sospensione del pagamento di tutta la rendita o di parte di essa.
Nei primi quattro anni dalla data di costituzione della rendita la prima revisione può essere richiesta o disposta solo dopo trascorso un anno dalla data dell’infortunio e almeno sei mesi da quella della costituzione della rendita, ciascuna delle successive revisioni non può essere richiesta o disposta a distanza inferiore di un anno dalla precedente.
Trascorso il quarto anno dalla data di costituzione della rendita, la revisione può essere richiesta o disposta solo due volte, la prima alla fine di un triennio e la seconda alla fine del successivo triennio.
Entro dieci anni dalla data dell’infortunio, o quindici anni se trattasi di malattia professionale, qualora le condizioni dell’assicurato, dichiarato guarito senza postumi d’invalidità permanente o con postumi che non raggiungono il minimo per l’indennizzabilità in rendita, dovessero aggravarsi in conseguenza dell’infortunio o della malattia professionale in misura da raggiungere l’indennizzabilità, l’assicurato stesso può chiedere all’Istituto assicuratore la liquidazione della rendita, formulando la domanda nei modi e nei termini stabiliti per la revisione della rendita in caso di aggravamento.
In caso di revisione o di liquidazione a seguito di aggravamento, la misura della rendita d’inabilità è quella stabilita dalle tabelle in vigore al momento della revisione o della liquidazione a seguito di aggravamento”
La domanda di unificazione è soggetta all’ordinario termine di prescrizione triennale, che decorre dall’evento successivo da unificare.
Può capitare che la precedente rendita si sia consolidata, cioè non sia più soggetta a revisione per scadenza dei termini. In tal caso la rendita unica non può essere rapportata ad una inabilità complessiva inferiore alla percentuale in base alla quale fu liquidata la rendita ormai consolidata II medesimo principio è applicabile anche nell’ipotesi in cui, dopo la costituzione della rendita unica, si debba procedere (entro i termini previsti) alla revisione di tale rendita per eventuale variazione dei postumi dell’ultimo evento invalidante.
Un tempo la giurisprudenza escludeva la possibilità di un coordinamento tra le due distinte fattispecie legali, ritenendo che le modalità e le limitazioni temporali previste dall’art. 83 del T.U. non possono trovare applicazione nell’ipotesi di costituzione di rendita unica
Cassazione 20 marzo 1987, n. 2777
Ai sensi dell’art. 80 comma 1 t.u. n. 1124 del 1965, qualora il titolare di una rendita di inabilità sia colpito da nuovo infortunio indennizzabile con altra rendita, si procede alla costituzione di un’unica rendita non già rappresentata dalla somma aritmetica delle due rendite ma proporzionata al grado di riduzione complessiva dell’attitudine al lavoro causata dalle lesioni (sinergiche od indipendenti) determinate dal precedente o dai precedenti infortuni e dal nuovo; detta fattispecie è distinta da quella concernente la procedura di revisione della rendita disciplinata dall’art. 83 t.u. citato e quindi non soggiace alle modalità e alle limitazioni temporali stabilite dallo stesso art. 83.
Corte Costituzionale, 6 giugno 1989, n. 318
È costituzionalmente illegittimo – in riferimento all’art. 3 cost. – l’art. 80 comma 1 t.u. n. 1124 del 1965, nella parte in cui non prevede, nel caso di sopravvenienza di un ulteriore infortunio dopo il decorso di dieci anni dalla costituzione della rendita per un infortunio precedente, che al lavoratore sia assicurata quanto meno una rendita uguale a quella già erogatagli.
Cass S.U.19 dicembre 1990, n. 12023
Per effetto della sentenza della corte cost. 6 giugno 1989 n. 318, che ha dichiarato l’illegittimità dell’art. 80 comma 1 t.u. n. 1124 del 1965 nella parte in cui non prevede, nel caso di sopravvenienza di un ulteriore infortunio dopo il decorso di dieci anni dalla costituzione della rendita per un infortunio precedente, che al lavoratore sia assicurata una rendita non inferiore a quella già erogatagli, nell’ipotesi di infortuni succedutisi a distanza di oltre un decennio l’uno dall’altro, ove sia accertato, con il criterio stabilito dall’art. 78 del citato t.u. un grado di riduzione complessiva dell’attitudine al lavoro inferiore al grado di inabilità stabilito per il primo infortunio, cui è stata a suo tempo rapportata la relativa rendita, ormai consolidata, questa opera come limite esterno, non modificabile “in peius” nella costituzione della rendita unica; lo stesso criterio trova applicazione nelle ipotesi in cui, una volta costituita la rendita unica, si debba procedere a revisione per modificazioni dei postumi dell’ultimo evento inabilitante.
Con questa pronuncia è stata riconosciuta la legittimità della costituzione di rendita unica ex art. 80 del T.U. anche nel caso in cui per uno degli infortuni i postumi si siano consolidati per il passaggio del decennio, e, di conseguenza, è stata esclusa l’intangibilità della relativa percentuale di inabilità già riconosciuta, dal momento che, per addivenire alla costituzione di rendita unica, si deve necessariamente procedere alla valutazione della complessiva riduzione dell’attitudine al lavoro, non già in corrispondenza alla somma aritmetica delle percentuali di riduzione attribuite alle singole lesioni, ma avendo riguardo allo loro reciproca influenza ed al loro complessivo risultato inabilitante, sulla base di un giudizio di sintesi.
Poichè i due istituti della unificazione delle rendite e della revisione sono normativamente distinti, occorreva stabilire se il principio di stabilizzazione dei postumi, enunciato dall’art. 83 fosse applicabile in sede di costituzione della rendita unica a norma dell’art. 80, rendendo cosi intangibili i postumi di eventi infortunistici (o relativi a malattie professionali) anteriori di un decennio alla unificazione. L’art. 80 ha previsto la costituzione di una rendita unica «in base al grado di riduzione complessiva dell’attitudine al lavoro» causata dalle lesioni provocate dal precedente o dai precedenti infortuni e dal nuovo. Questa regola di valutazione globale posta dall’art. 80 si applica anche quando l’inabilità sia derivata in parte da infortunio sul lavoro e in parte da malattia professionale (art. 132 d.P.R. 30 giugno 1965 n. 1124), nonostante il differenziato termine di stabilizzazione dei postumi degli infortuni sul lavoro (dieci anni) e delle malattie professionali (quindici anni).
L’art. 83 del T.U. attiene invece, come detto, all’istituto della revisione della rendita per infortunio sul lavoro;
4.2 Giurisprudenza successiva non adeguatasi a S.U.del 1990
La giurisprudenza successiva a Corte Cost. del 1989 e S.U.del 1990 si è per lo più adeguata, tuttavia con significative sacche di resistenza.
Cassazione 26 febbraio 2000 n. 11193
Nell’ipotesi in cui, dopo la costituzione della rendita unica, si proceda a revisione di essa per variazione nei postumi di uno o alcuni degli infortuni considerati, va tenuto conto non soltanto del cosiddetto “limite esterno”, costituito dalla rendita complessiva che non può, in ogni caso, essere inferiore a quella già stabilizzatasi ex art. 83 t.u. n. 1124 del 1965, ma altresì del “limite interno” costituito dal consolidamento delle rendite parziali per gli infortuni più antichi, non più suscettibili di revisione oltre il decennio; ne consegue che non può ritenersi legittima una revisione che, pur non diminuendo la rendita unica complessiva già consolidata, provveda però ad una differente (e inferiore) valutazione di quegli infortuni la cui incidenza invalidante si è già cristallizzata per il decorso del decennio.
Cassazione civile, sez. lav., 13/01/2001, n. 417
In materia di assicurazione contro gli infortuni sul lavoro, in caso di costituzione di una rendita unica a seguito di un nuovo infortunio nel decennio, con considerazione a tal fine dei postumi del primo infortunio ma senza un loro riesame, se si procede alla revisione di detta rendita unica entro il decennio dal suo riconoscimento ma dopo il decennio dal primo infortunio, devono essere rispettati gli effetti del cosiddetto consolidamento del primo infortunio.
4.3. Orientamenti pregressi sulla questione del periodo entro il quale rilevano le modificazioni dello stato di inabilità ai fini della revisione della rendita unica costituita per effetto di infortuni e malattie professionali.
Un primo orientamento considerava il termine di 15 anni in caso di rendite costituite da infortuni e malattie professionali.
Cass. 19 febbraio 2000, n. 1919
In caso di costituzione di una unica rendita Inail, ai sensi dell’art. 80 del d.P.R. n. 1124 del 1965 in relazione all’art. 131 dello stesso testo normativo, in base al grado di riduzione complessiva dell’attitudine al lavoro causata da lesioni determinate sia da infortuni sul lavoro che da malattie professionali, la presunzione di definitiva stabilizzazione delle condizioni fisiche – che esclude la revisione della rendita – si ha con il compimento del quindicesimo anno dalla costituzione della rendita, secondo quanto disposto dagli art. 83, comma 8 e 137, penultimo comma del medesimo d.P.R. n. 1124 con specifico riguardo alle malattie professionali. Infatti, l’unicità della rendita, non consentendo di distinguere sul piano giuridico la parte di essa ascritta agli eventi infortuni sul lavoro e la parte derivante dagli eventi malattie professionali e comportando la necessità di valutare complessivamente e unitariamente le variazioni delle condizioni fisiche dell’assicurato, esclude che, nell’ipotesi considerata, possa farsi riferimento al termine decennale (decorrente dalla data dell’infortunio) previsto per delimitare la rilevanza dei postumi degli infortuni.
Un secondo orientamento considerava invece il termine di 10 anni
Cass. 10 gennaio 2003 n. 235
In materia di revisione della rendita l’art. 83 t.u. n. 1124 del 1965, non produce alcuna discriminazione tra rendita singola e rendita unificata, ma consente in via generale l’accertamento delle variazioni della percentuale di inabilità che si verificano nel corso del decennio; viceversa si deve ritenere che in sede di revisione della rendita unica è consentito procedere a nuova valutazione medico legale del risultato inabilitante complessivo, che può essere accertato anche in misura inferiore a quello provocato dall’infortunio i cui postumi sono consolidati; tuttavia in sede di liquidazione la rendita non potrà essere determinata in misura inferiore a quella precedentemente consolidata, e quindi anche in sede di revisione vale il c.d. “limite esterno” che la Corte cost. ha ravvisato come operante in sede di costituzione di rendita unificata ex art. 80 t.u. cit.
Il terzo orientamento ha invece previsto la possibilità della scomposizione degli eventi indennizzabili.
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Cass. 234 aprile 2003, n. 6499
In caso di rendita unica derivante da più inabilità soggette a diverso regime temporale di revisione, al fine della individuazione del termine entro il quale, nel caso di specie, può procedersi alla revisione della rendita, a domanda dell’assicurato o per disposizione dell’Istituto, è possibile operare una scomposizione all’interno della rendita unica in relazione alle diverse inabilità, derivanti da eventi differenti; in particolare, il termine di consolidamento della rendita unica derivante da malattia professionale rivedibile entro il quindicennio e da silicosi, non soggetta ad alcun termine di consolidamento, va individuato in relazione al regime giuridico del consolidamento proprio della inabilità di cui è stata rilevata la variazione, senza che ciò comporti una violazione del principio della valutazione finale di sintesi.
4.4. Cass, S.U.25 marzo 2005 n. 6402 (e 6403)
Si arriva al pronunciamento delle Sezioni Unite del 2003, che in aderenza al terzo orientamento enunciato pongono la seguente regola di diritto:
In caso di costituzione di rendita unica Inail ai sensi dell’art. 80 del d.P.R. n. 1124 del 1965, derivante da più inabilità soggette a diverso regime temporale di revisione (nella specie, malattia professionale e infortunio sul lavoro), il termine (esterno, cioè decorrente dalla data di detta costituzione) entro il quale può procedersi a revisione della rendita per variazioni dello stato di inabilità dell’assicurato (a domanda di questi o per disposizione dell’Inail) deve essere individuato in relazione al regime giuridico del consolidamento proprio della componente dell’inabilità complessiva di cui si rileva la variazione; conseguentemente, ove sia dedotto in giudizio il consolidamento della rendita unificata, per il decorso del termine della revisione il giudice adito deve stabilire, sulla base delle allegazioni e delle prove acquisite al giudizio, a quale componente dell’inabilità complessiva sia da riferire la variazione della riduzione dell’attitudine lavorativa in relazione alla quale è stata formulata la domanda dell’assicurato, o è stato disposto il provvedimento dell’Istituto.
In sostanza con dette sentenze viene stabilito che il giudice deve individuare la specifica componente della complessiva inabilità cui riferire la variazione dell’attitudine lavorativa (malattia professionale o infortunio sul lavoro): nel caso di specie, è stato accolto il ricorso dell’assicurato il quale aveva dedotto che la revisione non avrebbe potuto essere disposta dall’INAIL in quanto il miglioramento delle condizioni dell’assicurato era riferito ai postumi per infortunio sul lavoro, sicché trovava applicazione non il termine di quindici anni previsto dall’art. 137 del testo unico di cui al d.P.R. n. 1124, cit., ma quello di dieci anni di cui all’art. 83 dello stesso testo unico.
Viene anche ribadito il principio del c.d. «limite esterno», secondo cui non può escludersi una nuova valutazione medico-legale con la determinazione dell’inabilità complessiva in misura inferiore a quella derivante dai postumi già consolidati, poiché il limite esterno assicura solo la conservazione della misura della rendita unificata già attribuita, che non deve essere inferiore a quella già stabilizzata.
La necessaria correlazione tra principio di consolidamento e limiti temporali di revisione, esige che nella rendita unificata per eventi lesivi assoggettati a diversi regime temporali la variazione dello stato di inabilità, in relazione alla quale viene formulata la domanda dell’assicurato o viene adottato il provvedimento dell’Istituto, possa essere riferita a ciascuna di dette componenti dell’inabilità complessiva. Il giudice adito dovrà allora individuare, sulla base delle allegazioni e delle prove acquisite al giudizio, a quale componente dell’inabilità complessiva sia da riferire la variazione della riduzione dell’attitudine lavorativa in relazione alla quale è stata formulata la domanda dell’assicurato, o è stato disposto il provvedimento dell’Istituto; conseguentemente, la tempestività della revisione deve essere affermata o esclusa in base al regime temporale proprio dei postumi dell’evento lesivo di cui è stata fatta valere la variazione, operando quindi il termine decennale o quindicennale a seconda che questa riguardi i postumi dell’infortunio o la malattia professionale. Ugualmente, dovrà essere esclusa l’applicabilità di un termine di revisione quando la componente di riferimento riguardi le patologie di cui all’art.146 del T.U. 1124/1965.
In conclusione,. la unificazione dei postumi determina l’insorgenza di un quadro menomativo globale unitario, che sostituisce quello retto dalla rendita precedente.. In tale ambito i postumi dei singoli eventi perdono autonoma rilevanza e pertanto devono essere rivalutati tutti. sulla base di un giudizio medico-legale di sintesi avuto riguardo alla loro reciproca influenza ed al loro complessivo pregiudizio sull’integrità psicofisica del soggetto, ferma però la scomposizione di cui si è detto, ai fini dell’individuazione del termine di revisione.
Possibilità, a tal punto, di esempi e dibattito su casi particolari.
Esempi
- Infortunio del 1980
malattia professionale e costituzione di rendita unica nel 1982; ultima revisione nel 1997
GRADO 60%;
infortunio e costituzione di rendita unica nel 1999; GRADO 65%.
La rendita unica del 1982 si è consolidata nel 1997 (60%), con il decorso sia del decennio per l’infortunio sia del quindicennio per la malattia professionale.
Pertanto, sia in sede di costituzione sia in sede di revisione della success/va rendita unica costituita nel 1999 (ossia fino al 2014), l’lstituto può rivalutare i postumi dei precedenti eventi del 1980 e del 1982, rilevandone 1’eventuale miglioramento, ma dovrà liquidare una rendita ragguagliata a non meno del 60% (grado consolidato prima dell’unificazione dei postumi)
- rendita per infortunio costituita nel 1970 GRADO 60%;
segue malattia professionale e costituzione di rendita unificata nel 1975 GRADO 62%;
segue infortunio e costituzione di rendita unificata nel 1978 GRADO 65%; ultima revisione rendita unificata nel 1980 GRADO 50%.
Non essendosi consolidati, per decorrenza dei termini revisionali né i postumi dell’infortunio del 1970 (60%), nè quelli della rendita unificata del 1975 (62%), in sede di ultima revisione della rendita unificata del 1980 è stato possibile, in conseguenza dei miglioramenti dei postumi, scendere al di sotto della percentuale gia riconosciuta
- infortunio del 1995
segue malattia professionale e costituzione di rendita unica nel 1998; nel 2004 vi è richiesta di revisione passiva in cui si denuncia un aggravamento dei postumi dell’infortunio.
Qualora sia stata effettuata, nel 2002, la revisione al quadriennio, la richiesta andrà respinta in quanto la nuova revisione relativa al soli postumi dell’infortunio potrà essere effettuata solo al settennio.
Qualora invece la revisione al quadriennio non sia stata effettuata, sarà possibile accogliere la richiesta ed effettuare la revisione con valutazione “ora per allora”, sempreche’ dalla documentazione emerga che 1’aggravamento è riconducibile all’interno del quadriennio.
5 L’interruzione della prescrizione
Art. 112, comma primo, del T.U. “L’azione per conseguire le prestazioni di cui al presente titolo (il titolo primo riguarda gli infortuni e le malattie professionali nell’industria, ma la disposizione in esame si applica anche al titolo secondo, ossia, ai lavoratori dell’agricoltura, per effetto del rinvio contenuto nell’art. 212; n.d.r.) si prescrive nel termine di tre anni dal giorno dell’infortunio o da quello della manifestazione della malattia professionale”
Art. 112, comma 4, del T.U.“La prescrizione dell’azione di cui al primo comma è interrotta quando gli aventi diritto all’indennità, ritenendo trattarsi di infortunio disciplinato dal titolo secondo del presente decreto, abbiano iniziato o proseguito le pratiche amministrative o l’azione giudiziaria in conformità delle relative norme” (art. 112, quarto comma).
Il precedente art. 104 prevede un ricorso, motivato e documentato, dell’avente diritto allo stesso Inail contro il diniego di prestazione, con possibilità di adire l’autorità giudiziaria solo dopo il rigetto, espresso oppure manifestato attraverso il silenzio.
L’art. 111, già sopra esaminato, stabilisce che il procedimento contenzioso non può essere istituito se non dopo esaurite tutte le pratiche prescritte dal presente titolo per la liquidazione amministrativa delle indennità (primo comma). E che la prescrizione prevista dall’art. 112 del presente decreto rimane sospesa durante la liquidazione amministrativa dell’indennità” (secondo comma).
Tale liquidazione, peraltro, deve essere esaurita nel termine di centocinquanta giorni, per il procedimento previsto dall’art. 104 (liquidazione dell’indennità) e di duecentodieci per quello indicato dall’art. 83 (revisione della rendita). Trascorsi tali termini senza che la liquidazione sia avvenuta, l’interessato ha facoltà di proporre l’azione giudiziaria” (terzo comma).
Il quesito che si è posto è se questa prescrizione possa essere interrotta con atto stragiudiziale e più precisamente con un atto di intimazione o di richiesta, rivolto dall’avente diritto (assicurato o suo erede) all’istituto assicuratore in una forma idonea alla costituzione in mora (art. 2943, quarto comma).
Vi sono argomenti nei due sensi, entrambi sostenuti in passato dalla giurisprudenza, nelle sue massime espressioni.
- Tesi della necessaria proposizione di un’azione giudiziaria. Le Sezioni Unite del 1985
Cass., S.U.,, 8 ottobre 1985, n. 4857
L’azione per il conseguimento della rendita per inabilità permanente derivante da malattia professionale, secondo la disciplina dell’art. 112 del d.P.R. 30 giugno 1965 n. 1124 è soggetta a prescrizione triennale dal momento in cui la malattia medesima abbia dato luogo al postumo indennizzabile. Il predetto termine, in relazione alla peculiarità della sua funzione, si sottrae alla disciplina generale dettata dal codice civile in tema di sospensione ed interruzione, e resta soggetto alle sole specifiche disposizioni di cui agli art. 104 commi 2 e 3 e 112 comma 4 del d.P.R. n. 1124 del 1965, con la conseguenza, in particolare, che è interrotto dalla domanda giudiziale, non anche da altri atti di costituzione in mora del debitore.
Argomenti a sostegno:
1) Le esigenze “di certezza e di prontezza” delle indagini di fatto necessarie al riconoscimento della tutela previdenziale giustificano non solo la particolare brevità del termine di prescrizione ma anche la sottrazione al regime comune delle interruzioni
2) Il riferimento, nell’art. 112 cit., primo comma, alla sola “azione giudiziaria”, invece che al diritto soggettivo dell’infortunato o degli eredi, esclude la configurabilità di atti interruttivi stragiudiziali (Cass. 21 novembre 1985 n. 5750, 18 luglio 1987 n. 6354, 27 agosto 1992 n. 9888).
3) Il quarto comma dell’art. 112 cit. fa espresso riferimento, parlando di interruzione della prescrizione, all’inizio o prosecuzione delle pratiche amministrative per i lavoratori dell’agricoltura, nonché all’azione giudiziaria, così escludendo ogni altra forma di interruzione (Sez. un., n. 4857 del 1985 cit.).
4) il riferimento all’art. 111, secondo comma, sopra riportato, ed alla sospensione della prescrizione ivi prevista è determinata dalla domanda amministrativa: la previsione di sospensione basterebbe ad escludere l’effetto interruttivo di quella domanda.
5.2 Tesi della sufficienza, a fini interruttivi, di un atto strgiudiziale, ex art. 2943 c.c.. Le Sezioni Unite del 1999
Cass. Sez. Un., 16 novembre 1999, n. 783
La prescrizione delle azioni per conseguire le prestazioni dell’Inail prevista dall’art. 112 t.u. n. 1124 del 1965, può legittimamente essere interrotta, secondo le norme del codice civile, non solo con la proposizione di domanda giudiziale, ma anche con atti stragiudiziali; nè l’efficacia sospensiva della prescrizione ex art. 111, comma 2 t.u. cit., esclude l’efficacia interruttiva, che permane fino alla definizione del procedimento amministrativo di liquidazione.
Argomenti a sostegno:
1) Le esigenze di tempestività e celerità degli accertamenti di fatto, proprie non soltanto della materia previdenziale, giustificano la brevità del termine prescrizionale ma non richiedono anche uno speciale regime delle interruzioni (Cass. 15 settembre 1997 n. 9177).
2) Il riferimento all’azione giudiziaria, contenuto nel primo comma dell’art. 112, non basta a trasformare la prescrizione in decadenza, di per sè non suscettibile nè di sospensione nè di interruzione (Cass. 25 luglio 1984 n. 4367, Sez. un. 6 novembre 1980 n. 5945).
3) Il quarto comma dell’art. 112 era già presente nell’art. 67 r.d. n. 1765 del 1935, vigente in epoca in cui l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro in agricoltura era esercitata non dall’Istituto nazionale fascista infortuni, oggi Inail, bensì da casse mutue poi trasferita all’Inail, unificandosi così il regime assicurativo di agricoltura e industria. La disposizione in esame era intesa ad evitare che l’errore di domanda o di procedura dell’agricoltore infortunato, rivoltosi all’Istituto invece che alla competente cassa, potesse produrre la perdita della prestazione previdenziale per prescrizione. Essa, dopo l’unificazione dei due regimi assicurativi, venne tralaticiamente riprodotta nell’art. 112 del testo unico n. 1124 del 1965, ma, come non ebbe in origine, così non può conservare alcuna efficacia limitativa dell’interruzione della prescrizione, che sfavorirebbe l’assicurato, in contrasto con la sua ragion d’essere originaria (Cass., n. 9177 del 1997 cit., 21 gennaio 1998 n. 516, 5 marzo 1998 n. 2463).
4) l’atto stragiudiziale di interruzione della prescrizione avrebbe 10 scopo di “rendere l’assicuratore informato” e al contempo di “indurlo ad attivarsi per gli accertamenti necessari con la diligenza richiesta dal principio costituzionale (art. 97) di buon andamento della Pubblica Amministrazione”
Nella sent. 783/99 cit. si legge, fra l’altro, che la domanda amministrativa per il riconoscimento delle prestazioni produrrebbe l’effetto sia di sospendere che di interrompere il termine prescrizionale, con la precisazione che mentre la sospensione è istantanea, l’effetto interruttivo verrebbe conservato nel tempo, così come nell’ipotesi normativa di cui all’art. 2945, comma 2, .c.c., con la precisazione che se l’interruzione avviene con l’atto introduttivo del giudizio, la prescrizione non corre fino al momento del passaggio in giudicato della sentenza.
Da tener in ogni caso presente l’arresto del Giudice delle leggi in ordine all’efficacia interruttiva del ricorso giudiziale.
Corte Costituzionale, 23/05/1986, n. 129
È incostituzionale l’art. 112 comma 1 d.P.R. 30 giugno 1965 n. 1124, nella parte in cui non prevede che il termine triennale di prescrizione dell’azione per conseguire le prestazioni a favore dell’infortunato sul lavoro o affetto da malattia professionale sia interrotto dal deposito in cancelleria del ricorso introduttivo della controversia, seguito poi dalla notificazione di tale atto col decreto di fissazione dell’udienza di discussione.
DIBATTITTO
- Funzione delle prescrizione Inail secondo la Corte Costituzionale, nei termini già precisati
- E’ corretto considerare l’inerzia dell’Istituto come il modo in cui, di norma, I’INAIL si rapporta all’assicurato che chiede il riconoscimento del diritto alle prestazioni? O si deve dare rilevanza al fatto che il rapporto assicurativo previdenziale è invece caratterizzato dalla scansione di attività e termini rigidamente fissati dagli artt. 83 e 104 del Testo Unico?
- E’ rilevante e/o decisivo il dato testuale dell’interruzione dell’azione e non del diritto (tenendo conto che nel codice civile la prescrizione era stata precedentemente configurata quale istituto di diritto sostanziale, come nel diritto tedesco, ove si parla di prescrizione del dirittoe a differenza del diritto francese, ove si parla di prescrizione dell’azione)
- La contestualità di interruzione e sospensione di cui alle S.U. del 1999 che fondamento normativo presenta?
- In conclusione, si può o meno configurare una specialità della disciplina interruttiva della prescrizione deriva dalla natura dell’assicurazione pubblica contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, che si giustifichi esclusivamente con le modalità e i criteri di accertamento e di liquidazione della rendita INAIL?
- La funzione dell’art. 2945 c.c., che consiste nell’evitare che la prescrizione decorra nel tempo richiesto per la realizzazione del diritto in via giurisdizionale, può ritenersi riprodotta nel comma 2 dell’art. 111 del T.U. 1124/65? Quest’ultima norma ha anche o solo lo scopo di garantire che l’INAIL eserciti il potere di autotutela amministrativa prima che l’assicurato promuova l’azione giudiziaria?
- La decorrenza della prescrizione per il riconoscimento delle malattie professionali.
Un problema di decorrenza in realtà si pone anche per gli infortuni, data la possibile non coincidenza tra data dell’infortunio e data in cui gli effetti del medesimo si manifestano.
Corte Costituzionale, 23 maggio 1986, n. 129
È infondata la questione di legittimità dell’art. 112 comma 1 d.P.R. 30 giugno 1965 n. 1124, in riferimento all’art. 38 comma 2 cost., in quanto la norma denunciata va interpretata nel senso che l’azione per conseguire le prestazioni a favore dell’infortunato sul lavoro o affetto da malattia professionale si prescrive nel termine di 3 anni a decorrere dalla manifestazione del danno, e non dal momento dell’infortunio, quando tale manifestazione sia successiva a quel momento.
Il profilo, naturalmente presenta di particolare pregnanza per la malattia professionale, la cui evoluzione è per sua natura “subdola”
Corte Cost., 25 febbraio 1988, n. 206
È costituzionalmente illegittimo l’art. 135, comma 2 d.P.R. 30 giugno 1965 n. 1124, per contrasto con gli art. 3 e 38 cost., in quanto, considerando la malattia come manifestatasi nel giorno della denunzia, priva automaticamente dell’indennizzo il lavoratore la cui malattia si sia verificata nei termini tabellari, ma che sia stata tardivamente accertata o comunque tardivamente denunziata.
Partendo anche da quest’ultima pronuncia della Consulta, il profilo della manifestazione della malattia professionale è dibattuto ancor oggi con sfumature diverse all’interno della stessa S.C. , tra una tendenza “oggettiva” e una “soggettiva”
- La teoria “oggettiva”.
Cass. 15 gennaio 2016, n. 598 (est. Amendola)
La manifestazione della malattia professionale, rilevante quale “dies a quo” per la decorrenza del termine triennale di prescrizione di cui all’art. 112 del d.p.r. n. 1124 del 1965, può ritenersi verificata quando sussiste la oggettiva possibilità che l’esistenza della malattia, ed i suoi caratteri di professionalità ed indennizzabilità, siano conoscibili in base alle conoscenze scientifiche del momento, senza che rilevi il grado di conoscenze e di cultura del soggetto interessato (fattispecie in materia di rendita ai superstiti per congiunto morto di infarto).
Occorre, infatti, garantire un “equilibrato rilievo tra l’elemento oggettivo della manifestazione e la consapevolezza soggettiva da parte del lavoratore, che non frustri lo scopo degli interventi della giurisprudenza costituzionale (Corte Cost. n. 116 del 1969, n. 129 del 1986, n. 206 del 1988, n. 31 del 1991), quando la consapevolezza circa l’esistenza della malattia, la sua origine professionale e il suo grado invalidante siano desumibili da eventi oggettivi ed esterni alla persona dell’assicurato, che costituiscano fatto noto ai sensi degli artt. 2727 e 2729 c.c., quali la domanda amministrativa, nonchè la diagnosi medica, contemporanea, dalla quale la malattia sia riconoscibile per l’assicurato
Quanto, poi, alla “manifestazione”, quale fatto normativamente previsto dall’indicato art. 112, questa Corte ha già da tempo avuto modo di evidenziare (cfr. Cass. n. 11790 del 2003; n. 16178 del 2004;n. 8249 del 2011, n. 12317 del 2011, n. 14281 del 2011) che essa è la forma oggettiva che assume il fatto, nel suo essere manifesto, e che consente al fatto stesso di essere conosciuto; è, in definitiva, la oggettiva possibilità che il fatto sia conosciuto dal soggetto interessato, e cioè la sua “conoscibilità”. E tale conoscibilità coinvolge l’esistenza della malattia, ed i suoi caratteri di professionalità ed indennizzabilità. Si aggiunga che l’elemento della conoscibilità della eziologia professionale della malattia, rappresenta qualcosa di più rispetto alla semplice manifestazione della patologia, ma resta pur sempre in un ambito di oggettività per così dire scientifica. La conoscibilità, dunque, non solo è cosa diversa dalla conoscenza ma altro non è che la possibilità che un determinato elemento (nella fattispecie la origine professionale di una malattia) sia riconoscibile in base alle conoscenze scientifiche del momento. Non rileva invece (e non potrebbe rilevare, pena lo sconfinamento nel campo della pura soggettività) il grado di conoscenze e di cultura del soggetto interessato dalla malattia (così Cass. n. 1822 del 2013).
- La teoria “soggettiva”
Cass. 6 febbraio .2018 n. 2842
A seguito della sentenza della Corte Cost. del 25 febbraio 1988, n. 206, dichiarativa della illegittimità costituzionale del D.P.R. n. 1124 del 1965, art. 135, comma 2, nella parte in cui pone una presunzione assoluta di verificazione della malattia professionale nel giorno in cui è presentata all’istituto assicuratore la denuncia con il certificato medico) la manifestazione della malattia professionale, rilevante quale “dies a quo” per la decorrenza del termine triennale di prescrizione di cui all’art. 112 del d.P.R. n. 1124 del 1965, può ritenersi verificata quando la consapevolezza circa l’esistenza della malattia, la sua origine professionale e il suo grado invalidante siano desumibili da eventi obiettivi esterni alla persona dell’assicurato, che debbono costituire oggetto di specifico accertamento da parte del giudice di merito, senza poter identificare la conoscenza dell’origine professionale e del grado di indennizzabilità con l’esistenza della stessa (fattispecie in materia di carcinoma della vescica).
“Il “dies a quo” per la decorrenza del termine triennale di prescrizione dell’azione per conseguire dall’INAIL la rendita per inabilità permanente va ricercato con riferimento al momento in cui l’interessato abbia avuto consapevolezza dell’esistenza della malattia, della sua origine professionale e del suo grado indennizzabile, potendo a tal fine assumere rilievo l’esistenza di eventi oggettivi ed esterni alla persona dell’assicurato, che costituiscano fatto noto ai sensi degli art. 2727 e 2729 c.c., quali la domanda amministrativa, certificati medici che attestino l’esistenza della malattia al momento della certificazione od altri fatti noti dai quali sia possibile trarre presunzioni gravi, precise e concordanti;
che, pertanto, il giudice di merito, ai fini della decorrenza del termine di prescrizione, deve sempre accertare ai sensi del D.P.R. n. 1124 del 1965, artt. 112 e 135, il momento in cui l’esistenza della malattia professionale indennizzabile sia stata riconosciuta o fosse riconoscibile come tale dall’interessato e fornire congrua motivazione con riferimento ai momenti obiettivi esterni alla persona che offrissero all’assicurato una ragionevole probabilità di conoscenza dei tre elementi rilevanti (esistenza, natura e grado di indennizzabilità); senza poter identificare la conoscenza dell’origine professionale e del grado di indennizzabilità con la diagnosi della malattia”
- Un arresto recente
Cass. 24 gennaio 2020, n. 1661
La manifestazione della malattia professionale, rilevante ai fini della individuazione del “dies a quo” per la decorrenza del termine triennale di prescrizione di cui al d.P.R. n. 1124 del 1965, può ritenersi verificata quando sussiste l’oggettiva possibilità che l’esistenza della malattia, ed i suoi caratteri di professionalità e indennizzabilità, siano conoscibili dal soggetto interessato; tale conoscibilità, che è cosa diversa dalla conoscenza, altro non è che la possibilità che un determinato elemento sia riconoscibile sulla base delle conoscenze scientifiche del momento. (Fattispecie in cui si è ritenuto che il termine di prescrizione avesse iniziato a decorrere, già prima della domanda, dalla diagnosi della malattia prevista dalla tabella allegata al d.m. 14 gennaio 2018 come patologia con elevata probabilità di origine lavorativa nel caso di esposizione ad agenti, quali le ammine aromatiche, cui era stato esposto il ricorrente).
DIBATTITTO SULL’INTERPRETAZIONE DELA NOZIONE DI MANIFESTAZIONE DELLA MALATTIA PROFESSIONALE DI CUI ALL’ART. 112 T.U.
-Rilievo delle conoscenze e delle esperienze personali (per esempio: una familiarità può essere fuorviante?)
– Per la verifica dell’oggettività sulla base delle conoscenze scientifiche del momento quale indagine deve fare il giudice?
- Il rilevo della prescrizione Inail.
- Rilevabilità d’ufficio?
Vi è un arresto non recente che in modo espresso afferma la non rilevabilità d’ufficio della prescrizione in discorso.
Cass. 19 dicembre 1995, n. 12968
La rinuncia alla prescrizione non è che l’altra faccia della non rilevabilità di ufficio della prescrizione medesima: gli effetti sostanziali della mancata estinzione del diritto dell’altra parte si può raggiungere infatti o omettendo in sede processuale di sollevare l’eccezione o rinunciando, in sede extragiudiziale, alla prescrizione già maturata. Non vi è, infatti, nel T.U. alcuna norma che deroghi espressamente alle disposizioni del codice civile in materia di prescrizione, ma non è nemmeno prevista l’ipotesi più limitata dell’inefficacia dei pagamenti di prestazioni prescritte, come avviene ad esempio in materia di contabilità dello Stato, che consente il recupero delle somme pagate per ratei di stipendi e pensioni prescritti (vedi art. 3 r.d. 19 gennaio 1939 n. 295).
Occorre però considerare che secondo l’insegnamento della S.C. in materia previdenziale, costituisce ius receptum il principio secondo cui il regime della prescrizione già maturata è differente rispetto a quello proprio della materia civile, in quanto è sottratto alla disponibilità delle parti ed opera la prescrizione di diritto, con la conseguenza che essa può venire rilevata anche d’ufficio dal giudice.
Cass. 4 dicembre 2018, n. 31345
La prescrizione delle contribuzioni di previdenza e assistenza sociale obbligatoria è rilevabile anche d’ufficio e la relativa eccezione può essere proposta per la prima volta in appello.
DIBATTITO
7.2 Distinzione tra prescrizione e termini di revisione, decennale (per infortuni) o quindicennale (per malattie professionali).
Trattasi di una distinzione assolutamente pacifica in giurisprudenza
Cassazione civile, sez. lav., 21/11/2017, n. 27684
Il periodo di dieci anni dalla data dell’infortunio durante il quale l’infortunato, dichiarato guarito senza postumi permanenti o con postumi inferiori al minimo indennizzabile, può, a norma dell’art. 83, comma 8, del d.P.R. n. 1124 del 1965, chiedere la liquidazione di rendita se, a seguito di aggravamento, i detti postumi abbiano raggiunto la soglia di indennizzabilità, costituisce l’esclusivo periodo di osservazione entro il quale si può tenere conto dei mutamenti dello stato di inabilità del soggetto assicurato, determinandosi dopo il suo decorso una presunzione legale assoluta di immodificabilità dei postumi del fatto lesivo.
L’esame di tale profilo, allora, certamente è escluso da qualsivoglia preclusione nel processo e certamente può essere rilevato d’ufficio dal Giudice, anche in appello.
Al riguardo, molto puntualmente, Corte Appello Lav. Roma., n. 1001 pubbl il 26 aprile 2021
“Va, infine, disattesa anche la censura per cui il Tribunale avrebbe errato nel dare ingresso all’eccezione dell’INAIL di decorso del decennio, perché ad avviso dell’appellante tardiva.
Innanzitutto non può non evidenziarsi come il fatto da cui è scaturita la contestazione dell’Istituto è stato accertato solo in esito alle operazioni peritali e proprio in ragione di quanto accertato dal ctu, sicché a fronte di tale evoluzione della controversia si è imposta la difesa dell’INAIL.
Si tratta di una contestazione in diritto, che, contrariamente a quanto sostenuto nel gravame, non doveva essere mossa alla bozza della ctu secondo il disposto dell’art. 195 c.p.c., quindi correttamente è stata sollevata nel contraddittorio alla prima udienza utile successiva al deposito (quella di discussione, in cui la causa è stata decisa).
. Infine non viene in rilievo un’eccezione in senso stretto, ma vertendosi su un requisito legale della pretesa azionata, questo doveva comunque essere valutato dal giudice, sicché l’eccepita tardività è infondata.”