Elezioni, Fanelli: “La fine del populismo e la deflagrazione del centrodestra molisano”

Finiti i festeggiamenti (che per fortuna ho potuto fare!), qualche riflessione a voce alta: c’è un insegnamento che complessivamente si può trarre dalla tornata elettorale appena conclusa?

A mio avviso si. Anzi, diversi.

Primo. A livello locale, per i venti comuni del Molise che sono andati al voto, e a livello nazionale. Si chiama vittoria della politica praticata sui territori, per i tanti che hanno fatto la gavetta e non sono degli improvvisati. Sia per i “nostri” sindaci eletti, sia per quelli di altri schieramenti. Sia per i Governatori. In quest’epoca di new media e di rampantismo imperante, le risorse migliori in campo sono state le antiche armi del professionismo politico. La capacità di esprimere competenze, responsabilità, affidabilità. Poca “società civile”, intesa come amministratori improvvisati, e molta strada fatta di polvere e lavoro al servizio delle amministrazioni, nel buio dell’opposizione o in altre forme, senza arrendersi e mettendoci cuore e sudore anche quando era molto molto dura!

Emiliano in Puglia ha tirato dritto, sostenuto dai fedelissimi. Saia ad Agnone ha tirato dritto, sostenuto da quelli che in questi anni hanno visto quanto lavoro ci è voluto. E ha battuto 5stelle e centrodestra. E così molti dei sindaci sul territorio. O consiglieri eletti con tripudi di voti. Voglio dirlo anche per Antonio Tomassone neo sindaco di Pietracatella, la cui storia conosco bene. Per entrambi, così come per molti altri, è valsa la regola della “gavetta”: sanno leggere le delibere, capire il contesto, stare nelle associazioni, vivere la quotidianità del paese, non alzare i toni, non affidarsi all’urlo. Ma vale anche per i candidati di schieramenti civici non riferibili al centrosinistra.

Leggo questo dato in uno col risultato referendario. L’80% tributato al SI in Molise, dieci punti sopra la media nazionale, parla di un popolo stufo di questa scena politica. Nello stesso giorno, votano sindaci con percorsi di esperienza sul campo e che quindi conoscono e stimano, e mandano un avviso di sfratto a una politica che non tollerano più. Sicuramente c’è voglia di riforme, ma significa anche rabbia, diritti fondamentali non fruiti sui territori (sanità, trasporti, formazione, lavoro). Significa, voglia di cambiamento anche rispetto al Governo regionale. E non solo, rispetto a tutta la “politica” che non produce risultati. Senza parlare del dato di astensione più alto che altrove che parla di persone che non vanno più neanche a votare per esprimere dissenso, tale è il livello di sconforto.

Tutto questo va compreso e incanalato. Competenze e cambiamento dello “status quo”. Nuove scelte, ma con capacità e responsabilità. Voltiamo pagina, ma affidiamoci a chi sa e non a chi urla.

Secondo. Lo sapevamo che il centrodestra era spappolato, che Toma è disastroso sul piano della tenuta della squadra, ma in questa misura non avevamo immaginato. L’autogol della “vittoria sconfitta” di Bojano è clamoroso. Oggi sui giornali le sue dichiarazioni di costante tracotanza fanno capire che lui avrebbe vinto. Sicuro? Se vincere significa distruggere la compagine e soprattutto accreditarsi voti di altri, allora può anche ammiccare per vanagloria. Ma la conclusione è sconcertante. Poco o niente è accreditabile alla linea di Maurizio Tiberio, lo stratega degli enti locali, nelle venti amministrazioni al voto nella regione da loro guidata, e molto invece è riconducibile a esperienze locali, laddove ispirate a posizioni politiche tutt’affatto indirizzabili al Presidente. Toma sul referendum (era per il no), Toma sulla Puglia (è andato a sostenere Fitto), Toma a Bojano (che sfascia il centrodestra). Un successo strepitoso per lui!

E non voglio ricordare che il successo si somma a quello amministrativo e finanziario del “Toma assessore al bilancio” del Comune di Bojano, perché purtroppo su quello la storia sarebbe molto più lunga. Ma sicuro che ha brillato come tecnico? Non lo so. Nel dubbio, mi auguro che il Preside Ruscetta, a cui rivolgo gli auguri di buon lavoro, faccia scelte diverse.

E qui voglio inserire una doverosa autocritica: anche io potevo fare meglio; spero di recuperare in futuro.

Tornando a Toma, qualche suo assessore piazza dei colpi sul territorio. Ma di sicuro non è un assessore amico e questo lo indebolisce ulteriormente.

Infine, ci torno dopo, Toma “leghista” amico di Salvini che punta sul cavallo il cui declino sembra segnato.

Ricapitoliamo: il nostro Governatore colleziona dopo questa tornata elettorale 5 bocciature politiche (referendum, Salvini, governatori, amministrazioni locali molisane, avversari interni ed esterni che si rafforzano). Capolavoro!

Terzo. In Liguria e a Montenero, analogie e differenze. Gli esperimenti di unione coi Cinquestelle, nazionali e locali, non hanno dato frutti. Un motivo per tornare indietro?

A mio avviso, vanno proseguiti e rilanciati. L’errore di essere stati tardivi nell’accordo e comunque andare contro navi ammiraglie (Toti e Contucci, da tempo a capo di maggioranze consolidate), non deve scoraggiare. Anzi, incentivare a fare meglio. Va tenuta ferma la linea nazionale. Va presa sul serio l’alleanza, spingere perché diventi – pur se tra inevitabili contrasti – fisiologica e si estenda.

Occorre tuttavia un saldo quadro strategico. Il Pd e il centrosinistra ce la possono fare anche da soli. Ma i 5telle no! Il Pd è centrale, punto. E laddove i grillini si sono incaponiti per determinare la sconfitta del PD, dei governatori o dei sindaci molisani, hanno finito con l’essere irrilevanti. Oggi Di Battista si agita? Ha perso lui e la sua linea. Questo dovrebbe far riflettere anche i “Grecoboys” locali e coloro che nel movimento continuano ciecamente a ragionare con oltranzismo. E non serve e non basta ripetere ossessivamente “io ci metto la faccia” per giustificarsi delle continue sconfitte elettorali, anche nel proprio paese natale. La faccia ce la mettiamo tutti, la differenza sta però nei risultati. E nel far valere le proprie idee, senza dare addosso agli altri, soprattutto quando si perde. Ma questo non vale per tutti i pentastellati, perchè alcuni di loro, con maggiore senso delle cose, stanno sul pezzo amministrativo e si aprono all’unico percorso possibile per rilanciare un’agenda riformista.

Quei temi che ad entrambi gli schieramenti stanno a cuore: lavoro (stiamo tentando il salvataggio Gam non voluto dal Governo Toma), acqua pubblica (Occhito, battaglia comune), ambiente (voltata la pagina elettorale della Campania e di Bojano, riprendiamo il discorso Parco e rilanciamo la sede nel Matese molisano). Per il Pd vale lo stesso: senza i 5stelle resiste o muore? Oggi, dopo la sbornia di due anni fa e il covid che ha chiesto al mondo competenze e non populismo, le urne dicono che non muore. Anzi! Stiamo in piedi – più forti che pria – e possiamo farcela con le competenze e la capacità di mettere insieme i percorsi di esperienza e di reti territoriali sane, fatte di onestà, responsabilità, conoscenza e militanza. Vale a Roma, in Campania, in Molise.

E siamo in una posizione di vantaggio anche perché, come per i Governatori delle regioni che sono andati al voto e hanno piazzato il colpo, il nostro campo è più ampio. Il campo di quelli che detestano gli urlatori si estende bene ai moderati, ad una visione di cosa pubblica avveduta che punta a crescita, a sviluppo, al tessuto delle micro imprese e delle partite iva che boccheggiano nella nostra regione sul ciglio del meno 10% di PIL.

Prima di chiederci quindi qui se persone in Molise possono stare insieme, dobbiamo chiederci se queste istanze e visioni possono convivere. Io penso di sì. E penso che ci vuole la sana mediazione – che non è più una parola brutta dal 21 settembre scorso! – e la visione. Il quadro strategico. Fatto di temi, l’agenda, e di visione complessiva del percorso.

Ma ci vuole coraggio! Dice bene Stefano Cappellini oggi sull’editoriale di Repubblica spronandoci, spronando il nostro partito a livello nazionale. “Il tempo del coraggio”: il successo delle urne può essere un rischio per il Pd, per cullarsi continuando a fare tal quale. Non si può invece smussare, rinviare o trattare al ribasso. L’agenda richiede una sanità rinforzata dal Mes. Serve soprattutto a regioni come la nostra. Servono progetti utili dal piano sul recovery fund e per noi qualcuno capace di avere la forza politica per “piazzarli”. Sistemi idrici, strade, green, scuola. Anche su questo fronte, però, non ne vedo, però, un Governo regionale capace di intessere utili collegamenti romani. Al Pd serve il coraggio di sfidare il populismo anche quando si manifesta con sembianze diverse da Salvini. Certo, sono “cose diverse”, ma per molta parte riconducibili ad un’unica matrice. Sconfitta dalle urne dopo la sbornia del passato e ascrivibili al raziocinio e alla stabilità imposta dalla pandemia. Il rinnovamento e insieme il coraggio devono quindi essere la cifra nuova e di sintesi di questa parte del campo.

Quarto e ultimo. Fine della fascinazione Lega. L’uomo che l’estate scorsa al Cala Sveva di Termoli sembrava avesse in pugno il Paese, a tal punto che molti esponenti locali andarono a renderli omaggio. L’uomo che tutti contendevano anche solo per un caffè, quello di Venafro, che sapeva di accordo per l’Assessore regionale al lavoro, come sarebbe successivamente stato confermato (salvo che nessuno si occupava delle vertenze). Quell’uomo ha preso l’onda discendente. Dice bene sempre l’editorialista originario di Oratino: “Salvini ha perso la partita più importante, e diretta. Il tentativo di espugnare la Toscana, facendo personalmente campagna porta a porta. Ha fallito, come già a gennaio in Emilia Romagna. Ma stavolta, il boccone è molto più amaro da ingoiare. Per altri due dati, che mettono in dubbio la strategia su cui il Capitano ha fondato, fino ad oggi, il suo primato. Il primo è il tracollo della Lega al Sud, mettendo forse una pietra tombale su quel progetto di partito nazionale che era stata la principale novità della gestione salviniana. Il secondo dato, ancora più insidioso, è la crisi individuale del leader. La personalizzazione era stata il vero asset del segretario con la sua strepitosa ascesa nei sondaggi nel volgere di meno di un anno. Ed è proprio qui che Salvini subisce il colpo più duro. La spinta alla apoteosi di Zaia in Veneto viene, infatti, dalla sua lista, che arriva quasi a triplicare i voti ufficiali della Lega”. E dunque si è “sciolto” lui e si sono “sciolti” i sostenitori locali.

Aspettiamo l’ultimo uomo con la spilla di Alberto da Giussano, l’avvocato termolese, persona gentile e politicamente multiforme, alla prova dei fatti. Lo aspettiamo perché deve risolvere i problemi della Gam e ammodernare l’organizzazione del lavoro regionale. Riuscire a rimettere a posto la cornice di un settore nevralgico, ridare speranza, e cambiare i tasselli. Sarà capace? Se riprendesse le proposte di legge da noi già depositate in Consiglio Regionale si troverebbe metà del lavoro fatto! Ma chissà se finalmente si applicherà. Speriamo.

Un poker di lezioni che a mio avviso giungono da questi giorni e che rendono agevoli parallelismi multilivello, cioè fra esperienze diverse nei piani di governo – nazionali, di altre regioni, e locali – ma riconducibili ad alcune chiavi di lettura utili per muovere i passi futuri.

Tre conclusioni: il populismo è finito; il centrosinistra è più forte; il centrodestra di Toma, già agonizzante, è finito”.